Influencer, il virus più nocivo della società attuale

mercoledì 10 gennaio 2024


Ogni anno, durante la stagione invernale, subiamo la diffusione inesorabile dei virus influenzali, con statistiche e bollettini medici sconcertanti. Invero, nessuno qualche anno or sono avrebbe mai potuto immaginare che altri virus avrebbero soppiantato e superato i suddetti virus per la loro alta capacità di diffusione e per gli ingenti danni che determinano, nello specifico mi riferisco ai virus degli influencer. In una società degradata culturalmente verso la profonda desolazione, in cui le menti dei cittadini vengono assuefatte a reagire solamente a determinati input mediatici, perdendo la capacità analitica, in cui il conformismo più bieco e pernicioso predomina incontrastato, dettando il calendario delle tendenze sociali e politiche, trionfa la subcultura del Grande fratello, ossia l’arrogante presunzione per cui il nulla e l’ignoranza più assoluta del non saper fare niente e dell’incapacità incompetente predominano sulla cultura del sacrificio, dell’apprendimento, della conoscenza, del tirocinio, dell’esperienza.

Altresì, la grottesca tragedia dei nostri tempi non si limita solamente a far prevalere il “dogma” dell’immagine e dell’apparire su qualsiasi ipotetica qualità, ma avanza verso la più totale distruzione di qualsiasi identità, quella culturale, sessuale e altro ancora, in nome del principio inconfutabile della fluidità, perché tutta la società deve diventare fluida, indefinita e indefinibile, senza alcuna personalità. Già, il lungimirante intellettuale Pier Paolo Pasolini ebbe modo di illuminarci negli anni settanta con i suoi Scritti corsari (libro assolutamente da leggere per comprendere il presente) su quanto la società contadina, con i suoi paradigmi e la sua cultura fosse ormai estinta a causa della violenza omologante della cultura del brand, a causa del quale i nipoti di quelle classi secolari contadine avevano perso il testimone culturale dei loro nonni per acquisire una subcultura consumistica che rendeva indistinguibili tutte le differenze sociali ed economiche, raggiungendo in modo difforme e caricaturale quello sperato egualitarismo che l’utopistica ambizione del socialismo reale non era riuscito a realizzare, fallendo indiscutibilmente.

Pertanto, anche dalle suddette fondamenta deformate e deformanti sorge l’attuale surreale fenomeno degli influencer. Un fenomeno o per meglio dire, un “virus” sociale, fondato sul più assoluto nulla, grazie al quale chiunque può diventare un riferimento, se non un paradigma, a prescindere dall’età, ma soprattutto dal grado di istruzione e di competenze. Il mantra della società moderna è diventato possedere il maggior numero di follower (seguaci), che al loro volta diventano un patrimonio economico per ciascun influencer con cui lucrare per assicurarsi lauti guadagni dalle multinazionali per la promozione dei loro prodotti. Quindi, uomini, donne, giovani e anziani e addirittura bambini vengono assorbiti da questo vortice di influenze mediatiche, che condizionano il loro modo di vestire, di parlare e addirittura di pensare. Se Orson Welles fosse in vita girerebbe sicuramente il prosieguo del suo storico film Quarto potere (Citizen Kane), denunciando la pericolosità e la dannosità di questo nuovo potere condizionante, quello degli influencer, magari intitolandolo Influencer potere.

Il suddetto virus si diffonde con una celerità incredibile, insinuandosi in ogni meandro della società, senza soluzione di continuità. Questa decadenza sembrerebbe essere inesorabile, se non emergesse un dato confortante, ossia quello della tempistica con cui il fenomeno influencer si manifesta. Invero, la velocità con cui questi influencer raggiungono il successo e la notorietà, nonché la ricchezza, è direttamente proporzionale alla stessa con cui perdono tutto. In sintesi, dal niente e senza saper fare niente velocemente nascono come nel nulla e sempre senza aver imparato a fare nulla velocemente scompaiono. La riprova di quanto finora affermato, è rappresentato da ciò che stiamo assistendo in questi giorni con il “caso Ferragni”, un caso emblematico, dove tutti quegli elementi succitati emergono palesemente nel loro più assoluto squallore.

Il caso suddetto sarebbe limitato al mero grottesco squallore se non subentrasse un’altra caratteristica ancora più invereconda e perniciosa, ossia la mancanza di trasparenza, se non addirittura la possibile mancanza di legalità. Difatti, l’influencer Chiara Ferragni è indagata per truffa aggravata per aver promosso un pandoro ad un certo prezzo, millantando che parte del ricavato sarebbe andato in beneficenza, lucrando in tal modo su essa, visto che quanto pubblicizzato non è mai accaduto. Un modus agendi sotto indagine anche riguardo ad altri prodotti promossi dalla Ferragni, che non può pensare di non rispondere per le sue responsabilità effettuando della postuma e “forzata” beneficenza, anch’essa promossa con un video social alquanto discutibile, non solo per la sua inopportunità, ma anche e soprattutto per la sua non credibilità.

Detto ciò, da garantista, non voglio entrare nel merito delle indagini e tanto meno intendo condannare la Ferragni a priori, ma al netto dei suoi guai giudiziari, non posso non evidenziare quanto affermato precedentemente, ossia che la velocità con cui la succitata influencer è stata portata in auge è la stessa con cui sta decadendo, peraltro a causa dei medesimi strumenti social con cui ha raggiunto il successo, che in modo irreprensibile le si rivoltano contro come un boomerang, facendole perdere sponsor, guadagni, successo e ciò che per lei, come per ogni valido influencer, conta più di tutto, ossia i follower. La durata esistenziale (da bolla di sapone) di questi fenomeni sociali, insieme al loro smascheramento dal punto di vista almeno della correttezza e della lealtà, rappresentano un barlume di speranza per quella minoranza dotata ancora di buon senso nella nostra società, ossia la speranza che essi non diventino dei veri e propri modelli sociali da emulare (soprattutto da parte dei giovani) e si dissolvano come nebbia.

“Quod erat demonstrandum” (Euclide)


di Fabrizio Valerio Bonanni Saraceno