giovedì 21 dicembre 2023
Diciamolo chiaramente: non è stato un errore di comunicazione. È stato un errore, punto. Se poi questo possa essere derubricato addirittura a reato non saprei. D’altro canto, quando si firma un contratto con un’azienda importante, come la Balocco appunto, immagino vi sia uno stuolo di avvocati pagati per scandagliare, rigo per rigo, l’accordo tra le parti: condizioni, diritti di recesso, obblighi, clausole, postille e così via.
E comunque, a fronte dell’esatta dinamica dei (mis)fatti, direi che alcune osservazioni sono meritevoli di nota. Primo. È stupefacente come una parte del mondo progressista sia riuscita a tramutare i Ferragnez da autentici paladini del politically correct – e cioè socialmente inclusivi, gay-friendly, fautori della sostenibilità in tutte le sue formulazioni, anti meloniani – a esseri reietti per colpa dell’ormai famigerato pandoro, accusandoli di bieco capitalismo occidentale. La sinistra italiana che nasce per tutelare il proletariato è andata in cortocircuito con il mandorlato. Balocco, fate i buoni. Magari non i buonisti.
Arriviamo al secondo punto. C’è una bella porzione di Paese che ragiona secondo logiche poco aderenti al buon senso. Visita gli Uffizi poiché ha visto la Ferragni farsi la foto accanto a un Botticelli; è disposta a pagare una bottiglia d’acqua quasi un deca soltanto perché sull’etichetta è impresso lo stemma dell’influencer; è ben lieto di fare beneficenza solo per interposto pandoro griffato; scopre l’impegno civile solamente dopo aver guardato un video in cui la Ferragni parla di cose che non sa, se non superficialmente, ma sa come comunicarle e questo basta. Ergo, un bel gruzzolo di italiani è dipendente – anche emotivamente – da questa ragazza. Inquietante? Sì, direi di sì.
Infine, la terza considerazione. La metto giù, semplice-semplice. Al di là delle pratiche scorrette, forse sarebbe opportuno che i coniugi Ferragnez andassero a scuola di mecenatismo, quello vero. Guai a quel Paese che non annovera, tra i suoi cittadini modello, anche i mecenati assieme ai santi, ai navigatori e tutto il resto della ciurma. Ma il (vero) mecenate elargisce (il suo) denaro senza chiedere nulla in cambio e praticando il silenzio attorno alla sua generosità. Il mecenate non dice quanto regala, tutt’al più lo fa dire ad altri, senza che lui aggiunga ulteriori commenti, chiudendosi così in un riserbo magari un po’ ipocrita ma pur sempre sobrio e signorile. Il mecenate non chiede riconoscenza come contropartita, sebbene in cuor suo la speri ardentemente. Il mecenate, soprattutto, usa la beneficenza per un senso di pietas che lo pervade, una sorta di intima noblesse oblige, non di certo perché, tramite essa, può liquidare delle beghe di immagine e di etica pubblica che rischierebbero di travolgere lui e il suo mondo.
di Luca Proietti Scorsoni