giovedì 26 ottobre 2023
L’analisi storica dei sistemi produttivi considera fondamentale la divisione del lavoro ritenendo però, che inizialmente, la divisione del lavoro non esisteva: tutti facevano tutto per tutti, una forma di Comunismo primitivo.
Con il tempo e lo sviluppo il lavoro cominciò a spartirsi, slegarsi e avvenne il fenomeno essenziale, la divisione tra lavoro manuale e lavoro intellettuale e, divisione non meno fondamentale, proprietà privata dei mezzi di produzione, possesso della forza lavoro (schiavi, servi della glebe), in vari modi, anche non esattamente proprietà privata, con l’accentuazione della separazione tra lavoro intellettuale e lavoro manuale, se non è esistita da sempre. La fase comunistica, posto che abbia avuto una realtà storica, svanisce e si ripresenta a tratti in orientamenti religiosi o laici fino a culminare in una categorica visione prospettica nel XIX secolo. Crescendo la tecnologia, gli strumenti di produzione e i sistemi si ampliano, hanno bisogno di estendere il campo delle loro merci. I nuovi strumenti esigono nuovi lavoratori nei nuovi adempimenti, esplode l’occupazione e si scopre che se un operaio compie una specifica, limitata funzione ripetitiva, la produttività cresce enormemente. Siamo già nel capitalismo, le tecnologie permettono ed esigono un gesto minimo dell’operaio in una successione di atti. La divisione del lavoro si parcellizza, una iper-divisione del lavoro, una sola operazione ripetuta in maniera monotona, deprimente, opprimente.
Il massimo teorico della parcellizzazione, Adam Smith, la ritenne fondamentale. L’operaio svolgeva una operazione semplice, ottusa, quindi bastava un apprendimento facile per compierla. Il lavoratore non doveva oltrepassare un minimo sforzo cognitivo e che la ripetizione del lavoro lo vulnerasse non interessava. Ciò che contava era la produttività del sistema produttivo, ed in effetti la produttività si milluplica. Tra XVIII e XIX secolo giungiamo nell’Era del capitalismo: parcellizzazione del lavoro, divisione tra lavoro manuale lavoro intellettuale, produttività iperbolica, mezzi di produzione innovativi efficientissimi, un insieme esplosivo. Campeggiano la netta proprietà privata, l’ampliamento dei mercati, addirittura mondiali. L’industrializzazione universale, il nuovo ceto reggente: gli scienziati, i produttori sostitutivi dei sacerdoti e dei militari (Positivismo: Saint-Simon, Comte), addirittura i commerci e la fine dell’epoca sacerdotale/militare avrebbero generato la pace, si credeva (Smith/positivisti). Tra quanti considerarono queste prospettive illusionistiche vi fu Karl Marx, ammiratore strenuo del capitalismo ma in una visione dialettica, come un inevitabile percorso ulteriore: prima la socialista; seconda, la comunista.
Su quali argomenti Marx riteneva inevitabile questa dialettica storica? In quanto il sistema capitalistico è obbligato per la concorrenza ad innovare le tecnologie e se stesso. L’innovazione tecnologica fa prevalere chi si innova. La concorrenza finisce con diventare vittoria di pochi sui molti, una concentrazione, i gruppi medi produttivi falliscono, restano i forti gruppi poderosamente innovativi. Non basta: le tecnologie esautorano i lavoratori. Se il ceto medio si proletarizza o fallisce, il proletariato scema a sottoproletariato. Imperano pochi. Intanto, con le nuove tecnologie la produzione cresce, evento stupefacente. Meno lavoratori, maggiore produzione: ma chi acquista se i lavoratori scemano? La contraddizione della grandiosa produzione e il crollo dei consumi, per Marx, stabilisce il trionfo e l’eclissi del capitalismo. Esso ha condotto l’umanità al vertice, l’automazione, una conquista eterna, lo scopo ultimo dei sistemi produttivi. Per questo Marx è del tutto favorevole al capitalismo, come fase dialettica, ripeto, al suo gigantesco sviluppo che però, insiste, lo reca a una contraddizione insuperabile al proprio interno. Sempre a dire di Marx: automazione, crisi dell’occupazione, consumi derelitti, più produzione e meno consumi, una assurdità. Lotta per i mercati, dazi, guerre. Ma non c’è soluzione, l’immane produzione e l’immane automazione non si raccordano. I disoccupati cresceranno a milioni. Chi consumerà? Per Marx occorre sovvertire i sistemi produttivi: favorire la soddisfazione dei bisogni con l’enorme produzione anche se l’apporto dei lavoratori è minimo (“da ciascuno secondo il lavoro, a ciascuno secondo i bisogni” – Critica al programma di Gotha).
Se si licenziano gli uomini, sostituendoli con le macchine automatizzate, e gli investimenti saranno per l’automazione competitiva, non vi sarebbe uscita. Ma chi è il soggetto storico idoneo a cambiare i sistemi produttivi? Nel mio libro Marx contro Marx (1983) ponevo la domanda. Marx riteneva che fosse il proletariato il soggetto rivoluzionario. Ma è così anche oggi? Vedremo. Il titolo del mio libro (ancora reperibile su Amazon) poneva già in Marx una contraddizione che Egli avvertiva ma non valutava contro se stesso. Vedremo. Appunto, chi è il soggetto modificatore dei sistemi produttivi nell’Era dell’Automazione se si dissolve il proletariato? Tempi lontani, ma no: li viviamo. I sommovimenti odierni nascono per questo futuro prossimo, l’Era dell’Automazione. È il nastro di partenza, tutti sul chi vive verso l’altro. Merita una analisi specifica.
di Antonio Saccà