L’ebbrezza della lentezza

mercoledì 18 ottobre 2023


Chi ha perso gran parte della voglia di guidare la propria automobile, ed è indeciso – la vendo, non la vendo – può risolvere ogni dubbio imboccando l’autostrada che collega Bilbao e San Sebastián, Donostia nella lingua basca. Anche con un mezzo a noleggio, non c’è problema: la sensazione sarà comunque strabiliante. Un centinaio di chilometri, quattordici euro di pedaggio, ma non importa. Si parte immaginando di arrivare sulla spiaggia più chic della Penisola iberica in meno di un’ora, essendo centoventi orari il limite spagnolo nelle autovie e nelle autopiste, tutte a quattro corsie, ma queste ultime a pedaggio. Limiti inferiori sono giustificati da percorsi montuosi, e questo lo è. Anzi, attraversa magnifiche foreste verdi, un vero spettacolo che ricorda le Alpi svizzere e austriache. Ma le curve sono tutte ampie, e i primi cartelli che ci fanno rallentare a cento, ottanta, sessanta, ci sembrano eccessivi, ma non ci facciamo caso. Poi inizia il videogioco: autovelox uno dietro l’altro, piccoli, gialli, ognuno con un segnalino che indica la velocità massima di quel punto, che cambierà subito dopo, e così via, anche due volte in un chilometro.

Cento, poi ottanta, sessanta, ancora cento, ma per poco: accelerazioni e decelerazioni trasformano la nostra vettura in una di quelle controllate da un joystick. Vai, frena, vai, frena, con gioia dell’apparato digerente. Sembra uno scherzo, ma a Donostia non si arriva mai, e non bisogna guardare tanto la strada quanto i cartelli e i rilevatori di velocità, sempre pronti a mandarci regalini se non li abbiamo rispettati. In attesa di posta indesiderata, arriviamo a San Sebastián, e qui gli accusatori del Comune di Bologna, quelli che hanno definito il limite di trenta orari come roba della sinistra politicamente corretta, avranno una certa delusione: i trenta campeggiano in tutte le città spagnole, e scendono a venti nelle aree pedonali in cui si avesse il permesso di circolazione. Ma la basca Donostia ha fatto di più: nelle piccole traverse perpendicolari al lungomare, si scende a dieci all’ora di velocità massima. Lo zero è vicinissimo, e occorre una certa esperienza di guida per realizzare queste acrobazie statiche da guinness dei primati.

Il senso di tutto questo dovrebbe essere quello di salvare vite umane. Ma gli eccessi fanno pensare ad altro, e ci si chiede come l’industria automobilistica, soprattutto quella che si vanta di cinquecento cavalli a soli duecentomila euro, resista a questi segnali, non pensi di aver perso la propria ragione di esistere e inizi a riconvertire le produzioni verso l’agricolo. E Gianni Morandi? Sarebbe costretto a cantare “andavo a dieci all’ora”: chi avrebbe comprato il suo disco? Già da tempo Oslo ha proibito la circolazione urbana alle automobili con motori termici: forse i norvegesi compreranno in massa la Rimac Nevera, con un elettrico da 1914 cavalli che garantisce quattrocentoquindici chilometri orari e un mal di testa che non passerà per un mese, visto che scatta da zero a cento all’ora in un secondo e otto decimi. E non è la più veloce del mondo, stracciata dal gruppetto delle cinquecento, non nel senso di Fiat, ma di auto che raggiungono o superano una velocità cinquanta volte superiore al limite dei vicoletti baschi. Ma dove? Pilotate da chi? Siamo nell’universo delle contraddizioni, il buon senso è presente solo con rare tracce, e mentre i pedoni ci sorpassano ci chiediamo se qualcuno, altrove, molto altrove, si stia lamentando perché l’utilitaria non infranga ancora la barriera del suono. Bei tempi erano quelli degli onesti centottanta liberi, anche se è innegabile che producevano incidenti, le cui vittime finivano troppo spesso nei carri funebri. Comunque, più veloci dei Suv nelle strade basche.


di Gian Stefano Spoto