mercoledì 18 ottobre 2023
“Se non fosse cosa vera, sarebbe da ridere”. Si tratta dell’ennesima dimostrazione di come un’importante Amministrazione dello Stato manchi di una visione prospettica, risultando costretta a inseguire ogni problema piuttosto che anticiparne la possibilità che esso prenda corpo, ponendo per tempo ogni doveroso correttivo, in quello che dovrebbe essere un contesto di banale ed ordinaria amministrazione della cosa pubblica. Invece accade che se ne attenda la massima espressione di criticità, con tutte le conseguenze che inevitabilmente ne perverranno, risultando poi costretta a muoversi in affanno e, semmai, adottando provvedimenti di natura straordinaria che, per loro intrinseca natura, possono non poche volte favorire una opacità della stessa azione amministrativa, in ragione di quella che poteva essere la prevedibilità degli ovvi scenari, ove si fosse operato con la necessaria diligenza e senso di responsabilità. Ma forse sconto una visione romantica della funzione di ogni Amministrazione pubblica, perché formatomi in una scuola di pensiero che imponeva l’attenzione assoluta verso il buon funzionamento della macchina amministrativa, ritenendosi deleterio e segno d’incompetenza quello di chi, rappresentandone il board, operasse favorendo, con la propria insipienza, il formarsi di un nocivo affanno amministrativo, all’interno di un complesso sistema organizzativo già di per sé, da anni, sotto pressione, nonché capace di scontentare proprio tutti, detenuti e detenenti.
LA STORIA
Il Dap, Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, ha emanato un “interpello straordinario” rivolto al personale del Corpo della Polizia penitenziaria (ricordo, per chi non lo sapesse, che è un Corpo delle forze dell’ordine che ha celebrato i duecentodue anni dalla sua fondazione e che, gioco del destino, trovava proprio la sua più antica origine nella marineria militare del Regno, circostanza che emergeva anche nel linguaggio in uso fino a qualche anno fa, evocativo del mare: ancora oggi impieghiamo il termine “galera” per indicare le prigioni, il quale richiama le antiche “Galee”, tipiche imbarcazioni romane che impiegavano, come “motore” dei rematori, uomini quest’ultimi condannati ai lavori forzati), finalizzato a individuare un certo numero di poliziotti penitenziari che siano dotati di brevetti specialistici per essere impiegati nelle unità navali di cui l’organizzazione penitenziaria dispone.
Un tanto, è scritto sulla lettera ministeriale del 10 ottobre scorso, al fine “di scongiurare il blocco delle attività di navigazione e sorveglianza”; immagino dei natanti, talché l’urgente necessità di provvedere all’individuazione del personale della polizia penitenziaria da adibire ai servizi navali del Corpo presso le basi di Venezia e Livorno, nonché la sede distaccata di Marina del Campo sull’isola d’Elba. Da qui la ricerca di un certo numero di poliziotti penitenziari da pescare tra i ruoli che vanno da quello degli ispettori a quello dei sovrintendenti e agenti, i quali andranno poi impiegati sulle diverse unità con incarichi di comando delle imbarcazioni, se non anche di nocchieri, radaristi, motoristi. Ovviamente l’interpello è rivolto a personale che abbia le necessarie e certificate competenze specialistiche (rectius: brevetti militari).
La procedura amministrativa alla quale attenersi, pur trattandosi di una situazione di criticità straordinaria, ed essendovi un obbligo non da oggi per le Pubbliche amministrazioni di preferire la velocizzazione dei procedimenti, adottando forme di dematerializzazione degli atti cartacei, attraverso l’impiego di piattaforme informatiche, le quali, già solo per questo, dovrebbero assicurare una maggiore tempestività nella formazione delle relative pratiche, risulta invece un commisto tra antico e nuovo, con la chicca finale che, una volta esaurite le fasi di predisposizione e allegazione delle stesse, esse dovranno essere inviate con corriere. Il che, ove ciò non significhi l’impiego di un corriere “privato” presente sul mercato di tali servizi, ma quello di dipendenti, cioè dei poliziotti penitenziari, vorrà dire il dover sottrarre dagli altri compiti d’istituto, in una stagione che continua a vedere una grave carenza di personale all’interno delle sezioni detentive, seppure per alcuni giorni, altri agenti. Un tanto con evidenti ulteriori costi per l’erario, perché i predetti si muoveranno in regime di missione, con la previsione di pasti e sistemazione alberghiera dove occorra, se i viaggi dovessero superare i 400 chilometri di distanza, al fine di recarsi a Roma per consegnare presso un ufficio del Dap i plichi, per poi ritornare nelle proprie sedi.
Ebbene, è “normale” tutto ciò? Così funziona il mondo? Oppure è prova patente d’incapacità amministrativa? Voglio ricordare a me stesso che l’Amministrazione penitenziaria dispone di speciali competenze amministrative, costituite da personale informatico di diversi profili, nonché di sistemi e piattaforme digitali dedicate anche alla gestione del personale, oltre che delle persone detenute. Mah! Che io sappia, a meno che non intervengano situazioni straordinarie e davvero imprevedibili, quali la presenza di uno stato di malattia irreversibile, oppure la morte di un dipendente, il suo licenziamento o comunque una causa che non risulta ampiamente prevedibile nelle ulteriori conseguenze, un’Amministrazione pubblica accorta è sempre in grado di prevedere per tempo quella che potrà risultare essere una carenza di personale, al fine di porre in essere, e per tempo, ogni necessario correttivo. Ma se quello che provo ad affermare fosse davvero giusto, allora come può giustificarsi quanto ho descritto? Come si può arrivare al punto che addirittura ci sarebbe il rischio (lo scrivono proprio dal Dap) di un blocco della navigazione e delle attività di sorveglianza che vengono assicurati dalle unità navali, tra l’altro impiegati soprattutto nella traduzione di persone detenute dalla terraferma verso le isole e viceversa, idem per lo stesso personale di stanza nelle nostre residue isole-prigioni?
Dirò di più. Se le carenze di organico fossero addirittura la conseguenza dei pensionamenti di quanti, poliziotti penitenziari, siano arrivati al termine del loro rapporto di lavoro con lo Stato, il tutto sarebbe ancor peggio, perché si tratterrebbe di previsioni davvero semplici da farsi e che avrebbero dovuto consentire un’attivazione delle procedure di ricerca di personale con tempistiche che non sarebbero dovute essere di tipo straordinario, al punto di rischiare di fermare per tempi che non siamo neanche in grado d’immaginare degli importanti servizi istituzionali, determinando l’interruzione di un servizio essenziale. Insomma, stiamo alla frutta, una frutta che appare irrimediabilmente “bacata”. Ecco perché, ancora una volta esorto, da cittadino, il Governo, con la sua presidente, Giorgia Meloni, ed il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, affinché mostrino la necessaria prudenza nell’affidarsi tra le mani di quanti potrebbero essere non la risposta ai problemi ma, al contrario, ne costituiscano una parte rilevante degli stessi, perché quelli sì che sono grandi navigatori, ma non di navi da guerra o commerciali, ma dei propri personali e attrezzati natanti, che impiegano ormeggiando da un approdo all’altro, qualunque bandiera sia issata sui porti del potere politico, percorrendo abilmente le distanze tra una poltrona e l’altra. Mentre si fanno beffa di ogni inconsapevole per quanto motivato governante, il quale sarà quest’ultimo che rischierà di affondare, trascinando tutti i marinai della ciurma, pieni di rabbia e pronti all’ammutinamento. Sempre che quel che ho provato a descrivere sommariamente non sia, in realtà, una tecnica sottile affinché prenda piede l’ipotesi di un ritorno ad un antico passato in cui taluni servizi venivano “esternalizzati”: che Dio non voglia! Intelligenti pauca.
(*) Presidente dell’Osservatorio internazionale sulla legalità di Trieste
di Enrico Sbriglia (*)