#Albait. Le tre religioni del libro, il femminismo, la libertà, l’habeas corpus

mercoledì 18 ottobre 2023


Davanti all’efferato attacco di Hamas, l’attentato ad Arras e quello a Bruxelles, torna la paura degli islamisti. Una piccola spiegazione, prima di procedere in un ragionamento, va fatta. L’Islam, nella sua nascita e sviluppo, si espande sul filo delle spade, più che su quello del ragionamento, e non è affatto dissimile dal cristianesimo. Entrambe le nuove religioni hanno le loro radici nello stesso libro degli ebrei. Le distinzioni tra le tre religioni sono apparentemente numerose, ma la realtà è che sono davvero sfumature. Tra Islam e Cristianesimo, per esempio, la differenza sostanziale sta nella considerazione divina di Gesù: divina per i cristiani, profetale per i musulmani. Ma le novelle portate da Gesù e dall’esistenza di Maria fanno parte integrante, anzi fondante della religione musulmana. Moltissima parte delle moschee è dedicata alla Misericordia, che non ha caratteristiche diverse dalla concezione cristiana o ebraica. L’Islam, come l’Ebraismo, non ha un qualcosa di simile alla struttura verticistica cattolica. E questa è un’altra differenza. La tradizione musulmana, in questo senso, non esiste. L’Islam evolve continuamente e ha conosciuto stagioni marziali e stagioni di tolleranza. Il rapporto con Allah, o Dio, è diretto. Non c’è bisogno di mediazione di un ministro del culto.

Eppure i segni di un’involuzione dell’Islam verso una cultura dell’annientamento del nemico individuato nell’infedele, vale a dire in chi non professa esattamente dei valori ascrivibili a versione dell’Islam retrograde, sono evidenti. Chi non obbedisce, muore. È questa un’esigenza di fede? No. L’Islam che ha in Gesù e Maria gli elementi centrali della fede, sia pure interpretati dal Profeta, che siano benedetti, come prescrive la formula di rispetto, può rappresentare un pericolo non per i dogmi ma per l’interpretazione temporanea più diffusa. Da questo punto di vista, il tema è più di cultura generale, affine all’epistemologia e alla civiltà giuridica e istituzionale, che religioso. Islam, Cristianesimo e Ebraismo sono religioni che sono fondate sullo stesso concetto di divinità e sulla stessa Genesi. Quel che è differente, oggi, è la mancanza di evoluzione degli apparati giuridici e istituzionali.

Nella nostra tradizione occidentale i ministri del culto non coincidono con i rappresentanti civili. Lo stesso è accaduto nella tradizione ebraica, in Israele, soprattutto, ma anche nelle comunità ebraiche di tutto il mondo e, oggi, in molti Paesi musulmani. E allora il punto non è combattere l’Islam, ma il dispotismo asiatico. Che è presente non solo nel mondo islamico, ma anche in Russia e Cina, Corea del Nord e Nicaragua o Cuba. O in Iran e altri Paesi, quasi tutti scassati sul piano economico, guarda caso. Possiamo rispondere con le armi, se l’attacco che viene portato all’Occidente, è immediato e mina la nostra possibilità di vivere liberi e senza guerra. Ma non è questa la strada definitiva per eliminare questa forma di violenza, di guerra di ipotetica fede. Ho partecipato recentemente al Festival Medusa di Catania, organizzato da giovanissime compagne femministe. Il loro ambiente culturale è marxista o proto marxista, per alcuni aspetti. Se si affidano a quella impostazione filosofica si deve alla mancanza di alternative progressiste, a mio giudizio. E però, poiché si occupano di questioni concrete, le soluzioni ai problemi che propongono sono tutte condivisibili e auspicabili. Per la prima volta, da tanto tempo, non ho ascoltato discorsi vuoti sul pacifismo a oltranza.

Le donne intervenute, alcune combattenti, altre no, parlano di capacità di autodifesa, uniche in grado di garantire che le guerre non scoppino. E in effetti, questo ragionamento è chiaro e spiega come il pacifismo non può basarsi sul martirio, ma sul rispetto di sé e la forza propria. Allo stesso tempo, il rispetto di sé e degli altri ha un corrispettivo nelle istituzioni, il più possibile indipendenti dalla volontà di un potere unico e sulla necessità che a tutti, in tutto il mondo, siano garantiti i diritti dell’habeas corpus. Cos’è l’habeas corpus? È il diritto giuridico alla libertà. È una dichiarazione generale di tipo giuridico che obbliga chiunque eserciti il potere a presentare un recluso davanti ad una corte imparziale, per constatare le condizioni del detenuto e la legittimità del suo arresto. In senso più generale, l’habeas corpus è il diritto alla piena disponibilità del proprio corpo, con il pronunciamento di un’entità giudiziaria indipendente che può e deve indagare se l’autonomia personale è rispettata dallo Stato ma anche da tutte le strutture che esercitano il potere.

Le compagne femministe del Festival Medusa parlano di patriarcato, in questo senso. Gli spunti che provengono da Catania sono tanti. E coinvolgono la lotta alla violenza, alla soggezione a poteri senza limiti, perché l’habeas corpus non è riconosciuto a tutti. Troppo spesso, nemmeno alle donne, specie se giovani, specie negli ambienti islamisti dove il potere maschile è esercitato in modo totale e arbitrario. L’habeas corpus è una delle precondizioni per lo sviluppo di una società libera che poi naturalmente si evolve in mercato. Quando parliamo di azioni per lottare contro la violenza sulle donne e contro l’estremismo islamico dobbiamo tenere presente che dobbiamo garantire l’habeas corpus, vale a dire la piena disponibilità del corpo umano per ogni persona.

Ogni persona deve anche essere libera. Il tema della guerra come difesa dei valori di libertà va accompagnato al tema della lotta alla guerra, in generale. Rendiamo forte la lotta alla guerra se lavoriamo sulla capacità di autodifesa nel breve periodo, sulla distinzione tra i poteri in tutti i sistemi politici del mondo, con la garanzia obbligatoria dell’habeas corpus, in modo da mettere sullo stesso piano tanto le necessità sociali e statuali che quelle individuali. La capacità di autodifesa della libertà e delle persone dipende dalla capacità di difendere la libertà propria e di ciascuno. Lo dobbiamo alle donne di tutto il mondo, oppresse da quello che loro chiamano cultura patriarcale. Lo dobbiamo a noi che possiamo chiamare l’esplosione di violenza islamista l’ennesima dimostrazione della necessità della tripartizione dei poteri e della libertà intellettuale, giuridica, ma anche fattuale di ogni essere umano. In fondo, si tratta del semplice amore per sé stessi. E dell’orgoglio di essere liberi.


di Claudio Mec Melchiorre