La moltiplicazione dei giornalisti Rai

lunedì 16 ottobre 2023


La Rai, nonostante oltre 1.800 giornalisti in organico, ricorre sempre più spesso a collaboratori esterni. Cinque anni fa è scoppiato il caso di Daniele Piervincenzi, il reporter che, durante un servizio della trasmissione di Radio 2 Nemo, nessuno escluso, venne preso a testate a Ostia da Roberto Spada, un personaggio considerato esponente dell’organizzazione della famiglia Casamonica. Allora vennero stabilizzati alcuni precari. La situazione era grave quando Stampa romana (con i leader Arturo Diaconale e Gilberto Evangelisti) intervenne su indicazione del gruppo dei “Cento” per chiedere al Cda di Viale Mazzini di porre fine a numerose posizioni irregolari. Il tentativo venne considerato “un’ingerenza esterna” da parte sia dei vertici di Viale Mazzini che dai leader dell’Usigrai (Giuseppe Giulietti, Roberto Natale, Roberto Reale, Franco Poggianti, Santo della Volpe), i quali trovavano più conveniente concordare con il Cda, a maggioranza di sinistra, alcune assunzioni per questa o quella testata diretta dagli “amici” del sindacato interno.

Il perimetro dei precari non si esauriva mai, tanto che l’utilizzo dei collaboratori esterni è continuato e si è aggravato dal 2019 quando la Rai procedette a un “Bando d’accertamento giornalistico” e indicendo contemporaneamente un concorso per 90 giornalisti con contratto a tempo per la Testata dell’informazione regionale. Nella prima fase si trattava d’individuare e regolarizzare 250 persone già in forza alla Rai, ma che erano iscritti all’Ordine dei giornalisti. Nella commissione che li doveva selezionare c’era anche Aldo Biscardi, mitica figura del Processo del lunedì e il responsabile della Scuola di Perugia. Il “recupero” doveva avvenire tra coloro che lavoravano in trasmissioni note come Porta a Porta di Bruno Vespa, Agorà di Andrea Vianello, Ballarò di Giovanni Floris, In mezz’ora di Lucia Annunziata, Petrolio, Uno Mattina, La vita in diretta e altri programmi radiofonici.

La selezione riguardava, cioè, le trasmissioni che la Rai riteneva di approfondimento escludendo quanti lavoravano in programmi diversi. Le condizioni, comunque, erano severe: tre prove (scritto, orali, lingua facoltativa), 36 mesi di lavoro nel quinquennio 2014-2018 oppure 21 mesi dal 2016 al 2018. Molti degli esclusi fecero ricorso. A causa dell’esplosione della pandemia da Coronavirus, i vertici di Viale Mazzini tennero nel cassetto le graduatorie salvo poi a giugno 2019 dare il via alle selezioni di 240 lavoratori compresi nella lista degli ammessi, ma senza ulteriori esami e senza sostenere altre prove. Su circa 300 candidati, 240 vennero regolarizzati mentre ne restarono esclusi 86, con l’aggravante che la Rai organizzò la prova per 90 posti nelle sedi regionali, alla quale parteciparono circa duemila candidati. La telenovela è continuata fino al 13 aprile 2023, quando la Rai e l’Usigrai stipularono un accordo per “il giusto contratto di 200 persone che ritengono di poter avere i requisiti per diventare giornalisti ed essere inquadrati da Viale Mazzini con questo contratto”.

Dai corridoi di Saxa Rubra, di Viale Mazzini e da Via Teulada e dalle sedi regionali emerge un profondo malessere per le modalità dell’organizzazione del lavoro. Ci sono molti giornalisti interni che non hanno incarichi precisi. L’insoddisfazione maggiore è per i casi di Porta a Porta, in cui Bruno Vespa fa il bello e il cattivo tempo, per l’affidamento dello spazio di Raitre all’“esterno” Marco Damilano con Il cavallo e la torre e all’ex ministra Nunzia De Girolamo, con Avanti popolo, per la libertà concessa all’ex amministratore delegato Marcello Foa nella radiofonia, per lo strapotere di Amadeus, che ripresenterà il Festival di Sanremo, con una super-redazione, e per l’ondata di “inviate” delle trasmissioni pomeridiane. Le perplessità sono editoriali, culturali, politiche ed economiche.


di Sergio Menicucci