Aggressioni al personale sanitario: genesi di un ruolo svalutato (dagli altri)

sabato 7 ottobre 2023


L’ultimo episodio in ordine di tempo ha come sede Roma. Per l’esattezza, uno studio medico di via Po. Francesco Le Foche, 66 anni, immunologo, viene massacrato di botte da un 36enne romano, arrestato dalla Polizia con l’accusa di tentato omicidio. Succede intorno alle 18 di giovedì 5 ottobre. Lo stesso medico a Repubblica racconta: “Era un mio paziente. Aveva avuto un problema alla spina dorsale, ma l’avevo guarito. Poi ha iniziato a chiedermi di curargli il cane. Ma io non potevo, non sono un veterinario. Credo sia questo il motivo per cui sono stato aggredito. Ma stiamo parlando di una persona con problemi”. Un pestaggio con conseguenze decisamente dolorose: “La frattura zigomatica di sinistra e la frattura dell’occhio interno. Dovrò fare degli interventi, certo. Dal collo in giù sto bene, almeno così sembra. È dal collo in su che sono ancora un po’ incriccato”.

Ad aprile i numeri dell’Inail – snocciolati in un periodo che vede la morte della psichiatra Barbara Capovani, aggredita da un ex paziente – mostrano un trend che deve far riflettere: i soprusi contro il personale sanitario sono complessivamente 1.600 l’anno. E vanno dagli ambulatori di psichiatria alle guardie notturne. La media non lascia spazio a interpretazioni: sono poco più di 4 al giorno. Numeri alla mano, di 4.821 vessazioni registrate dall’Istituto nazionale assicurazione infortuni sul lavoro, dal 2019 al 2021. Il 71 per cento vede come vittima una donna. Tra l’altro, gli operatori sanitari più colpiti, cioè il 39 per cento, hanno tra i 35 e i 49 anni. Il 37 per cento, invece, da chi ha tra i 50 e i 64 anni. Osservando le professioni che finiscono maggiormente nel mirino, troviamo gli infermieri e gli educatori impegnati con tossicodipendenti e alcolisti.  Poi gli operatori socio-sanitari (29 per cento) e a distanza i medici (3 per cento). Ma perché siamo arrivati a questo punto? Troppa gente che si informa su Google (forse per vedere l’effetto che fa) oppure che vanta una laurea all’Università della vita?

Filippo Anelli, presidente della Fnomceo, la Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri, oltre ad augurare una pronta guarigione al professor Le Foche, spiega: “Occorre una maggiore protezione dei professionisti, che non si traduce solo nella presenza delle forze dell’ordine negli ospedali, meritoriamente rafforzata dal ministro della Salute, Orazio Schillaci e dal ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, e nella piena applicazione della legge. Serve – va avanti – un piano più alto, che comprenda, da un lato, la presa in carico dei soggetti a rischio di compiere atti lesivi dell’incolumità propria e altrui. E che, dall’altro, non lasci i medici da soli, esposti. Occorre, soprattutto, una grande rivoluzione culturale, che valorizzi il ruolo dei professionisti della salute e che restituisca il rispetto per la loro figura e le loro competenze”.

Anelli, nel dettaglio, sottolinea: “Siamo rattristati e indignati, è il tempo di dire basta. Ma non possiamo eludere un’analisi delle cause che portano a questa escalation di violenza, che sembra non finire mai. Perché è dall’analisi dei rischi che si parte per poterli gestire ed eliminare”. Un’origine del fenomeno che è “sicuramente multifattoriale ma ha le sue radici in una svalutazione del ruolo del medico, visto come mero prestatore d’opera. Ecco, allora, che il cittadino pretende di vedere realizzate, subito, le sue istanze; non importa se inappropriate o addirittura controproducenti per la sua salute. Pretende di decidere lui diagnosi e terapia e sfoga la rabbia che ha per la sua malattia contro il medico che è lì per assisterlo”.

Mentre il presidente dell’Ordine provinciale di Roma dei medici chirurghi e odontoiatri (Omceo), Antonio Magi, rimarca: “È inaccettabile che professionisti, che hanno speso la loro vita a curare e proteggere gli altri, siano esposti a tali rischi. Esortiamo le autorità competenti a prendere tutte le misure necessarie, per garantire che tali incidenti non si ripetano in futuro e per assicurare che gli aggressori siano portati davanti alla giustizia. Auguriamo una pronta guarigione del collega e speriamo che possa riprendere presto le sue attività professionali. Ci uniamo in solidarietà – conclude – con tutti i medici e gli operatori sanitari che ogni giorno mettono a rischio la propria sicurezza, per il bene della comunità. Ora più che mai, è essenziale sostenere e proteggere coloro che si dedicano alla nostra salute”.


di Claudio Bellumori