giovedì 14 settembre 2023
Con l’inizio dell’anno scolastico tante famiglie si trovano a dover fare i conti con una figura scolastica molto importante, anzi fondamentale, che sarà il punto di riferimento di bambini e ragazzi che hanno bisogno di essere sostenuti nel processo di apprendimento e di inserimento nel contesto scolastico. Parliamo degli insegnanti di sostegno, una categoria fondamentale e che dovrebbe essere caratterizzata da un alto profilo professionale ma anche da una predisposizione personale all’esercizio del sostegno.
La figura dell’insegnante di sostegno nasce nel 1975 (Decreto del Presidente della Repubblica n. 970/75), regolamentata da una complessa normativa che sancisce il diritto delle persone portatrici di handicap a frequentare la scuola ma che specifica che l’attività dell’insegnante di sostegno è rivolta all’intera classe frequentata dall’alunno portatore di handicap. Un corposo apparato legislativo che ben rappresenta la complessità dell’esercizio di questa professione. Anche l’iter formativo è abbastanza impegnativo e si articola attraverso un percorso universitario in Scienze della Formazione Primaria o di un diploma sperimentale a indirizzo linguistico conseguito entro l’anno scolastico 2001/2002.
È necessario inoltre aver svolto almeno 2 anni di servizio (anche non continuativi) negli ultimi 8 anni e aver seguito il corso di specializzazione didattico per l’inclusione scolastica, della durata di un anno, che si tiene presso le Università. Anche chi desidera diventare insegnante di sostegno nella scuola secondaria di primo e secondo grado deve frequentare lo stesso corso ed essere in possesso dell’abilitazione all’insegnamento oppure di una laurea magistrale idonea all’insegnamento con 24 Cfu in ambito socio-psico-pedagogico. Dopo aver superato il concorso, l’insegnante di sostegno sosterrà un anno di insegnamento in prova per poi entrare a far parte del personale di ruolo.
Un iter formativo specifico che garantisce l’acquisizione di competenze e la messa alla prova delle proprie capacità di sostegno ma che non garantisce sufficientemente, a mio avviso, la qualità della prestazione professionale in relazione all’individualità e alle caratteristiche specifiche di ciascun alunno da sostenere.
Sostenere vuol dire innanzitutto conoscere approfonditamente l’alunno nelle sue molteplici caratteristiche oltre la diagnosi che ne definisce l’handicap. Tale analisi è multidisciplinare e necessita della valutazione di diversi punti di vista: familiare, medico, educativo, sportivo, relazionale e di una continua supervisione degli insegnanti. Spesso purtroppo il sostegno diviene intrattenere, assecondare, isolare mettendo in secondo piano tutta una serie di strategie di inserimento, aggregazione, stimolazione, creazione di un piano educativo e di apprendimento personalizzato ma anche contestualizzato alla classe di appartenenza.
L’inserimento nel gruppo classe è fondamentale nel processo educativo di apprendimento senza il quale il sostegno non ha valore qualitativamente significativo. A volte gli insegnanti di sostegno intraprendono questo iter perché rappresenta una via privilegiata per accedere ad un posto fisso. Questi ultimi non ottengono risultati educativi qualitativamente significativi non perché manchi loro la competenza ma perché viene meno quell’elemento fondamentale necessario per sostenere in modo efficace: la passione.
La passione per un lavoro che ha a che fare con la relazione, con l’analisi delle risorse specifiche, con l’inventarsi in modo creativo strategie che possano creare sintonia, empatia e collaborazione. Passione che rende questo lavoro uno dei lavoro più belli del mondo perché determinante per la valorizzazione dei talenti di bimbi e ragazzi che troppo spesso vengono visti solo ed esclusivamente per “l’handicap che portano”.
Solo chi lavora con passione, senso di responsabilità e competenza può svolgere lo sguardo oltre la disabilità, oltre il limite, oltre il pregiudizio e lavorare sul potenziamento delle risorse in modo individualizzato.
Solo chi lavora con passione ha la forza per sostenere gli insuccessi, le frustrazioni e imparare dall’esperienza per mettere in campo nuove energie e nuove strategie. Entrare in contatto con l’altro attraverso una visione educativa ampia non è affatto facile e richiede forza, volontà e determinazione oltre alla competenza, al senso di responsabilità e ad una certa dose di creatività e fantasia.
Solo chi si pone inizialmente in ascolto e osservazione e non si limita a mettere in campo un protocollo riesce a dare valore all’incontro.
Un incontro come quello che avviene tra un insegnante e una bimba nel suo primo giorno di scuola della prima elementare. Sin dal primo momento Ginevra e la sua insegnante hanno creato l’incontro educativo volto alla conoscenza reciproca al chiaro intento dell’insegnante di rendere Ginevra indipendente, ben inserita nel gruppo classe e a valorizzarne le risorse e le qualità. Un incontro che certamente sarà significativo per il futuro di Ginevra che potrà mettere in campo le competenze che apprenderà ma anche tutta una serie di strategie che le permetteranno di vivere una migliore qualità di vita. Ginevra è sostenuta da un insegnante competente, intraprendente, responsabile e con una chiara visione del suo ruolo e dell’importanza che ha per il suo futuro. La mamma di Ginevra ha subito compreso la preziosità di questo incontro e nel suo cuore e nella sua mente ha sperato che l’insegnante di Ginevra non è un eccezione ma una regola.
Ogni insegnante e in modo particolare gli insegnanti di sostegno dovrebbero ricordare ogni giorno a se stessi e ai loro colleghi che, come diceva Piero Angela: “L’insegnante è la persona alla quale un genitore affida la cosa più preziosa che possiede suo figlio: il cervello. Glielo affida perché lo trasformi in un oggetto pensante. Ma l’insegnante è anche la persona alla quale lo Stato affida la sua cosa più preziosa: la collettività dei cervelli, perché diventino il Paese di domani”.
(*) Psicoanalista, Docente universitario
di Maura Ianni (*)