Un incontro “apocalittico”

mercoledì 13 settembre 2023


Mentre viaggiavo, con qualche difficoltà alla vista ed al movimento, comunque ormai seduto, un signore, dopo avermi ben scrutato, dico “signore” in quanto uomo, era piuttosto giovane, una breve peluria nel mento, nelle labbra superiori, occhi larghi ma incassati, scuri, fronte tondeggiante e netta, capelli duri e corti, un popolano all’antica, un piccolo proprietario di paese, me lo definivo senza definirlo, per automatismo analitico, lo sguardo fisso, diretto, proprio uno che guarda, “ti” guarda, lo incuriosivo, o così fatto.

Mi recavo in prossimità dell’Urbe, un’ora, e direttamente o di scorcio inevitabilmente ci dirizzavamo le occhiate. Mi cadde il bastone, immediato lo afferrò e lo affidò cortesemente, dissi: grazie; disse: un dovere. “Un dovere”? Accennai un sorriso, che qualcuno pronunciasse il termine “dovere” mi parve gradevolmente inconsueto. Improvvisamente, soli nel vagone, iniziò a parlare . Quel che disse lo riferisco presso che direttamente come un passaggio da me agli altri, dunque, ecco. “Ho l’impressione, la certezza che Lei è stato mio professore o che Lei sia Professore (diedi un segno di consenso), non parli, La prego, ascolti, se vuole, non cerco contrasti, o convincere, Le dirò quel che sento e penso (resi un minimo atto di accoglienza). Sono laureato, una famiglia benestante, agrari, viaggio, il mondo, eppure, dico a Lei e lo ricordi, voglio la distruzione del mondo! Il mondo non ha più ragione di esistere. Perché, vuole sapere perché (non diedi scossa di risposta)? Perché la vita supera la qualità umana (mi piacque l’espressione, trattenendo di manifestarlo). Sì, ascolti soltanto (aveva capito!), superiore agli uomini e quando c’è questa differenza non si può continuare. Lei capirà. La vita vale se l’uomo vale, se l’uomo non vale la vita non vale, anzi vale ma è sprecata, e sprecare quanto vale è peggio che sprecare quanto non vale. Il valore della vita, sprecato, è un omicidio estremo per l’estremo valore della vita. Le chiedo, non mi risponda, le chiedo io dentro di me, chiedo a Lei chiedendo a me, che immagina del nostro futuro? L’umanità si sta abituando alla guerra, no, no, non dico la guerra come guerra, questa o quella guerra, ieri, domani, oggi, dico la morte, la morte inferta dall’uomo all’uomo senza tragedia! Come la morte inevitabile inferta dalla natura. Questo l’orrore. Mi comprende? La morte è dentro di noi, è la morte del valore dell’uomo, che può essere ucciso perché non vale, non suscita tragedia. Vi sono mille e mille ragioni di guerra, e miliardi di ragioni del valore del singolo, il singolo, il capolavoro riuscito della natura, il singolo, capisce che vuol dire il “singolo”, uno, quell’uno che vive e muore come “io”, limitatissimo, finitissimo, per sé l’universo, e noi uccidiamo questa rarità! Non è uccidere che uccide ma non dare valutazione all’uccidere, uccidere senza la tragedia dell’uccidere, senza valutare il valore del singolo. La tragedia dà valore all’uomo. È d’accordo? Non parli, non risponda (io non parlavo né rispondevo). Mi dica, conosce un autore tragico nel XX e XXI secolo? No. Perché non c’è il valore del singolo, della inestimabilità di essere uno, ciascuno, “quella” vita da tutelare come i tesori delle fiabe. Il valore della vita nel valore del singolo. Ma se la vita ha valore in sé non in quanto inclusa nel valore dell’individuo, la vita vale, l’uomo non vale. E che vale la durata dell’uomo se non fa valere in sé la vita mantenendola in vita per sé e per gli altri? Talvolta, necessita difendere la vita perfino uccidendo? Sì, sì, ma che avvenga tragicamente, con il peso di questo compimento, altrimenti l’uomo si stacca dal valore della vita e la morte spadroneggia su uomini già morti. Si perde facilmente quanto è già perduto, il valore della vita dei singoli. Dei singoli! Dei singoli. La morte di singoli anche se muoiono molti! Il valore del singolo è... Basta. Il valore che rende preziosa la vita senza limiti di estimazione, il singolo, prima di colpirla la dobbiamo considerare ma se non vale la gettiamo, uccidiamo e moriamo così, senza niente perdere, perché niente consideriamo la vita. Farò saltare il mondo, non sopporto questa svalutazione, e se la vita dentro l’uomo non vale pochi soffriranno la morte, i molti, essendo già morti, la meritano e l’avranno. Lei ha conosciuto l’omicida dell’universo!”. Si alzò, scese.

Avevo qualche tratto di viaggio, aprii una sezione del telefono, musicale, e mi giunse la Sonata Opera 20, Postuma, di Franz Schubert. Un motivo ripetuto, e ancora, e di nuovo, ancora, ancora, come mai un compositore di tale espressività esagera in queste ripetizioni? Già. Vuole esagerare. E perché vuole esagerare? Perché non riesce a staccarsi dalla bellezza della musica che ha concepito! Talmente bella da essere, Egli e chi ascolta, avvinti insradicabilmente. O chi sa, forse compose quando giovanissimo seppe di dover morire, e quel motivo è l’attaccamento alla vita mediante la musica, come le ultime Sonate di Ludwig van Beethoven, addii, disperazione, saluto all’umanità. Che pensare? Che se non viviamo per fini sublimati la vita perde valore e morire, uccidere svale egualmente? Il rivoluzionarissimo Lenin ascoltando, credo, la Patetica o l’Appassionata di Beethoven ebbe un moto di ribellione in se stesso e disse che per conservare lo spirito rivoluzionario quella musica era micidiale. La bellezza distrae e mette in dubbio l’odio. Devo scendere.


di Antonio Saccà