Individualità e uguaglianza

giovedì 10 agosto 2023


Si tratta della disuguaglianza e dell’uguaglianza. Con una finalità: combattere la disuguaglianza, ingiusta, sopraffattiva, spadroneggiante. Gli uomini sono uguali e vanno tutti considerati e rispettati. In che senso, quale criterio valutativo renderebbe gli uomini uguali? Occorrono spiegazioni analitiche, non asserzioni. Se uno è alto oltre due metri e un altro centocinquantadue centimetri, secondo quale fonte di giudizio sono uguali? Se uno è panciuto e l’altro essiccato, per quale criterio sono uguali? Se uno comprende velocemente e l’altro è negato al capire, sono uguali?

Si obietterà: occorre rispettare il magro e il panciuto, lo sciocco e il ravvivato mentalmente. Certo. Ma in quanto disuguali! Appunto, perché disuguali li rispettiamo o, meglio, li valutiamo in ragione della loro specificità individuata. Ciò non esclude, tutt’altro, che siano disuguali. E pur rispettandoli, anzi rispettandoli, non posso trattarli allo stesso modo. Il rispetto esige la comprensione dell’individualità, della disuguaglianza. Se io tratto gli individui allo stesso modo, rinnego l’individualità. Ma se rinnego l’individualità, impongo l’uguaglianza. Così ho una uguaglianza innaturale, tutt’altro che una uguaglianza con riguardo per la disuguaglianza connaturata alla individualità.

L’individualità è opposta all’uguaglianza. È il rispetto delle disuguaglianze che dà valore appropriato all’individuo. Ripeto: trattare allo stesso modo chi è disuguale nega l’individualità. Ma nega anche l’uguaglianza intesa come rispetto per ogni disuguaglianza. Annientare la disuguaglianza è la prepotenza massima sull’uomo, la dissoluzione dell’individuo. A meno che non si pervenga all’ideologia della identità assolutizzata coerentemente sostenuta da Dom Deschamps, un benedettino utopista del XVIII secolo: identità priva di residui differenzianti al punto che morire non conta, l’altro sei tu, tu sei l’altro (a riguardo il mio libro, Vita e morte dell’utopia).

Le contorsioni tra uguaglianza, disuguaglianza, individualità drammatizzarono la “sinistra”. Le ho vissute. La mia scissione con la sinistra avvenne sul peso da assegnare all’individuo: la morte, la coscienza dell’io come prevalente sul lavoro produttivo per definire la specificità umana. Scrissi L’assoluto privato e Contro la ragione. Il marxismo tra il sesso e la morte. Intanto, mi capita di leggere un articolo dell’Unità del 3 agosto – esposto nei social – sulla disuguaglianza. Da giovane scrissi su Mondo Nuovo, Critica Marxista, credo, Paese Sera. Nessuna adesione di partito, scrivevo quel che sentivo. Poi quando dissero che ciò che esprimevo non era marxista, bene così: scriverò quel sento di scrivere. E continuai altrove. Il che oggi mi fa sorridere. Qualche lettore o responsabile de L’Unità per caso è a conoscenza che Karl Marx fu il nemico dell’egualitarismo, da lui definito “comunismo dell’invidia”, precedendo Friedrich Nietzsche e addirittura più disuguagliante di Nietzsche (le “caste” di Nietzsche sono egualitariste, all’interno delle caste. Un tema poco considerato, Nietzsche non era individualista).

L’uguaglianza, o comunismo dell’invidia, abbassa l’alto, mozza il cervello! Incredibile, Marx riteneva l’ugualitarismo un difetto della società borghese che sarebbe stato risolto nella società comunista, fondata sulla disuguaglianza! Dare lo stesso salario a persone disuguali era, per Marx, un difetto della società borghese, che verrà superato nella società comunista, quando a ciascuno verrà dato secondo i bisogni personali, disuguali tra individuo e individuo.

Ora, certo, possiamo anche pervenire a una sinistra senza l’ignoto Marx o contro Marx. Ma resta il problema: gli individui sono tutti e in tutto disuguali. Trattarli ugualmente è l’estrema ingiustizia e prepotenza. L’uguaglianza serve soltanto a rispettare per tutti la disuguaglianza. La disuguaglianza varrebbe suscitare il dominio? Per niente. È l’uguaglianza che suscita il dominio, in quanto nega la diversità dei bisogni e delle tendenze. Al dunque: se un individuo apprende con maggiori capacità dell’altro che fa, si trattiene per rendersi uguale al meno reattivo? Se uno corre velocissimo e l’altro cammina, che decidiamo? Non si trasformi la disuguaglianza in dominio, privilegio, diritti differenziati?

Ma chi è alto un metro e novanta non vuole dominare il bassetto, è più alto e basta. Se io canto e il mio prossimo stecca, io non voglio dominare: canto e non stecco. Identificare la disuguaglianza con il dominio e lo sfruttamento è insostenibile. La disuguaglianza è l’individualità. Siamo disuguali, irrimediabilmente. L’uguaglianza consiste nel non escludere alcuno dalla disuguaglianza. Questa è la vita, la società. Il contrario sarebbe violentare la natura, la società, l’individualità. La disuguaglianza non è dominio o privilegio ma rispetto delle differenze.

L’autore del libro L’ineluttabilità dell’uguaglianza è David Tozzo, il commentatore del libro è Filippo La Porta. Dicevo: nessuna notazione, almeno nell’articolo, su Marx, nemico disgustato dell’uguaglianza. Strano. Ma il recensore pare cosciente che individuo e uguaglianza non si appaiano. Ha qualche cenno svagato, tanto per dire “ma perché il talento dovrebbe generare differenza di reddito?” Che è bene fingere di non avere letto, tenuto conto che il talento arricchisce la società. Risulta oscuro perché non remunerare chi arricchisce maggiormente gli altri. Ma sono scorie.

Il difficile giunge quando il commentatore comprende che individuo e uguaglianza cozzano. Già, come rendere uguali i diversi! Non vi è che una strada, accettare la disuguaglianza e considerarla per quel che è: la varietà degli esistenti, non dominio. Il dominio si ha soprattutto quando si vuole imporre l’uguaglianza. I livellatori, storicamente, sono gli egualitaristi. La disuguaglianza può essere dominio, sfruttamento? Sì. Aboliamo lo sfruttamento non la disuguaglianza. Non si identificano! Anzi, coltiviamo le disuguaglianze delle soggettività!

Sia chiaro: Marx è anti-egualitarista. Ma sull’individualità rasenta Dom Deschamps. Ritiene che il soggetto sia un insieme di relazioni sociali, non un io cosciente di sé; giudica la morte una connotazione della specie. Sarà… È una connotazione della specie ma ciascuno muore come individuo!


di Antonio Saccà