Divagazioni teologiche su Dio, sulla croce e sul male

venerdì 4 agosto 2023


L’incredibile aspirazione di Tommaso d’Aquino fu la più contraria alla fede, “dimostrare” l’esistenza di Dio. Ma un Dio “dimostrato” non ha bisogno della fede, e soprattutto non è il Dio di “una” religione, è, sarebbe Dio. Esiste, però, una differenza costitutiva tra il Dio di “una” religione e Dio, non sono minimamente sovrapponibili. Tommaso d’Aquino, invece, stabilì la sovrapposizione distruggendo la fede e non convincendo la ragione. Infatti, per la ragione quel che Tommaso dimostra (dimostrerebbe) non è il Dio cattolico ma il Dio in generale e generico. Che Tommaso abbia avuto potente fortuna dipende da un equivoco, ritenere che Egli abbia dimostrato l’esistenza del Dio cattolico e abbia, insieme, dimostrato l’esistenza di Dio, appagando fedeli e razionalità. Ed è l’esatto contrario. Il clamoroso apprezzamento della “dimostrazione” razionale dell’esistenza di Dio mediante i cinque argomenti escogitati da Tommaso d’Aquino proviene da un equivoco: egli crede già in Dio, mentre invece pare che lo dimostri.

Se dice: esistendo un ordine cosmico, esiste un ordinatore e questo ordinatore è Dio; se ciò che esiste non si è fatto da sé, occorre un creatore, questo creatore è Dio. Ecco un’interpretazione estensiva infondata. Perché ritenere Dio l’ordinatore, il creatore? Non ne sappiamo alcunché. Corretto dire, se mai: vi è un ordinatore, vi è un creatore, ma ignoriamo chi sia. È l’obiezione di Immanuel Kant, fondatissima. Il quale a sua volta precipitò nel medesimo errore. Suppose che non è razionale una sorte identica per il giusto e il mascalzone, quindi la ragione esige un Dio che premi i buoni, danni i malvagi, e di necessità un’anima immortale. Sogni! Alla ragione, si fa porre quel che decidiamo noi ritenendola oggettiva e universale!

Non meno errabonde le concezioni sul male. Per Agostino il male è mancanza di bene (Defectus boni). Come può esistere la mancanza di bene se Dio è totalità di essere e di bene? Il male non può essere mancanza di bene, giacché Dio è Bene totale e non può mancare a se stesso. Quindi o il male non esiste o, se esiste, Dio non è la totalità di essere e di bene. Ma c’è dell’altro, su Dio ed il male. Alcuni pontefici si sono recati ad Auschwitz, luogo dove l’uomo ha dimostrato che discende dalle bestie in giù. Sommi rappresentanti della religione che concepisce un Dio paterno e un Figlio di Dio che ama e perdona, i Pontefici devono, sono obbligati a spiegare alla disgraziatissima umanità, in specie l’ebraica, non soltanto uccisa ma ferocemente aguzzinata, che Dio resta paterno. Non è impresa facile. Ma è in queste labirintiche articolazioni psicologiche-teologiche che le religioni raggiungono le vertigini della loro inventiva. Il Pontefice Santo Giovanni Paolo II si affidò a una risorsa consolidata della teologia morale: Dio, tra asservire l’uomo e lasciarlo libero di scegliere tra bene e male, preferì concedergli la libertà, il libero arbitrio, pur se a rischio che facesse il male. Il male è, dunque, in carico all’uomo, che lo compie con libertà. Se Dio lo impedisse, violerebbe la libertà dell’uomo. La presunta finezza dell’argomentazione non elimina obiezioni.

Immagiamo che un uomo stia uccidendo un suo e nostro prossimo. Se prendessimo esempio da Dio, che non interviene per consentire all’uomo la libertà del volere, non dovremmo intervenire neppure noi. Sarebbe tracotanza ritenersi più morali di Dio! Al dunque, a quanto pare, per Giovanni Paolo II, Dio non impedisce il male per non togliere all’uomo la responsabilità del suo agire, dell’agire dell’uomo. L’uomo, invece, dovrebbe impedire il compimento del male. L’insieme logico non è del tutto comprensibile. Il Pontefice Benedetto XVI di fronte ai luoghi di sterminio usa dolentissime e si rivolge direttamente a Dio chiedendogli dove mai fosse, e perché non disse verbo e rimase nel silenzio. Non lo sappiamo, o almeno Benedetto XVI non ebbe risposta o non l’ha comunicata. Dio resta nel silenzio anche quando il “suo” Pontefice chiede i motivi del silenzio nel mentre accadeva l’orrore. Abbiamo anche la testimonianza dell’attuale Pontefice, Francesco. Egli riprende quasi alla lettera le interrogazioni di Benedetto XVI, attualizzandole.

“Dov’è Dio se nel mondo c’è il male, se ci sono uomini affamati, assetati, senzatetto, profughi, rifugiati?”. Il Pontefice Francesco ripete la domanda considerando molteplici condizioni di patimento e sempre chiedendo o chiedendosi: “Dov’è Dio?”. A queste raffigurazioni tragiche delle nostre sciagure Francesco oppone un non saper rispondere: “Esistono domande per le quali non esistono risposte umane”. Terribile. Desolante. Deludente. L’uomo non sa rispondere con riguardo al comportamento di Dio, né Dio ci rivela perché consente il dolore. A tal punto, però, una sterzata sorprendente: “Possiamo solo guardare a Gesù, e domandare a lui. E la risposta di Gesù è questa: “Dio è con loro”. Gesù è in loro, soffre in loro, profondamente identificato con ciascuno. Egli è così unito a essi quasi da formare “un solo corpo”. La Via della croce non è un’abitudine sadomasochista, è l’unica che sconfigge il peccato, il male e la morte. “Chi la percorre con generosità e con fede, dona speranza e futuro all’umanità”. Abbiamo trovato la soluzione? Interrogando Gesù, la vita, gli atti di Gesù, comprendiamo perché Dio rimane in silenzio?

Il Pontefice ne è convinto. Dio non risponde perché ha palesato in Gesù, con Gesù le Sue intenzioni. Imitare Gesù, l’uomo addossi la croce, e viva con la croce addossata, la Via della croce. In tal modo avrà Dio e Gesù con sé, da costituire “un solo corpo”. Questo cammino tormentato, sopra la schiena la croce, va però compiuto con “generosità e fede”, in tal caso donerà “futuro e speranza all’umanità” e sconfiggerà “il peccato, il male e la morte”. Il prigioniero di Auschwitz sopravvive in attesa della morte, affamato, assetato, oltraggiato non riesce a capire perché è capitato in un mondo nel quale deve subire tante sofferenze, oltretutto da suoi simili. Un compagno di strazio cerca di confortarlo, gli dice, sentitamente: “Amico, cerca di riscattare il dolore, esso ti rende unito all’altrui dolore e ti accumuna a Gesù, il quale, come sai, fu crocefisso. Soffri e perdona, amico mio, e non dimenticare che espiamo i nostri peccati!”. Il prigioniero ascolta e non ascolta, stava in quel momento in un mezzo delirio, e vagheggiava campi di fiori. Egli che correva con la giovane sposa ridente, mentre gli aguzzini lo detenevano ammucchiato in una sozza galera.

Tra sé e sé, con un resto di voce, balbetta: “Ma perché non evitare questa recita sanguinosa? Invece di applaudire la capacitò di soffrire di noi attori!”. Non finì il mormorio che lo afferrarono, lo intossicarono, lo bruciarono. Il suo compagno di cella pregò per lui prima di essere, egli pure, intossicato e bruciato, fino all’estremo pregò e perdonò. Ma i fraterni ebrei dell’uomo che non credeva nel riscatto del dolore non ebbero pace finché non lo vendicarono. Difficile stabilire, una volta che viviamo il male, come afferrarlo, se meglio subirlo o restituirlo. Certo, poteva non esserci. Ma, a quanto pare, nessuno risponde in merito.

Si Deus est, unde malum?”. Lo chiedeva Boezio sulle fondamenta di Agostino. Agostino, dicevo, trovò risposta: il male è mancanza di bene. Con esiziale confusione, giacché carenza, mancanza non significano inesistenza. Dunque, il male esiste, comunque. Esiste, è presenza della mancanza non già inesistenza. Come esiste, esiste, ed esiste come male, e poiché Dio è l’essere totale il male è in Dio. Decidiamoci: se esiste è in Dio che è totalità di essere, se non esiste si abbia il coraggio di dirlo, non solo, ma non esisterebbe il peccato! Tutti in Paradiso! Mancanza di bene? E perché non: presenza di male! Un Dio assoluto essere che manca di sé è inconcepibile. E, soprattutto, non si confonda mancanza con inesistenza. La mancanza esiste!

Da aggiungere: quando Dio ordina ad Adamo ed Eva di non mangiare i frutti dell’albero della conoscenza del bene e del male. Chi ha fatto l’albero se Dio ha fatto la totalità? Anzi: è la totalità! L’uomo “sceglie” il male che già esiste. Dio lo definisce esistente, e non dice: non mangiare i frutti dell’albero della conoscenza del bene e della mancanza di bene, dice: del bene e del male, coesistenti! Chi ha creato l’albero del bene e del male? Non l’uomo. Perché l’uomo non crea alberi. Non Satana, che non ha creato alcunché. Anzi, non è creato. E non comprendiamo perché diventi il maligno se Dio è totalità di bene. Ed il serpente chi lo ha posto in Paradiso (un serpente in Paradiso!). Come creatore, almeno fino al presente, è considerato soltanto Dio. Del bene e del male? La vicenda del male e della sua inspiegabile presenza se Dio è tutto l’essere e tutto buono ha trame da sbandare. A Gottfried von Leibniz sorge un rimedio: “Il male è un ingrediente, il più confortevole e vantaggioso per l’uomo. Tra i mondi possibili, Dio suscitò il mondo con la minore dosatura di male (il migliore dei mondi tra i possibili)”. Come Leibniz scopre questa evenienza lo ignoriamo, suppongo lo ignorasse anch’egli. Ma lo scopo è il solito: liberare Dio dal contagio del male. Addirittura, provvede la Provvidenza. Il male serve al bene quindi non è male (di certo, Giacomo Leopardi morì precocemente anche per la bile di questa concezione che lo schifava, alla quale aderiva sentitamente Alessandro Manzoni).

Ma per chiarezza, quando la religione si scurò non cessò l’occultamento del male. Anzi, lo storicismo dialettico mondanizzò la Provvidenza. Il male è l’aspetto antitetico per il superamento. Il negativo permette l’avanzamento del positivo (la negazione della negazione), per dire: la schiavitù, ci fa amare la libertà; la povertà ci fa tendere al benessere; la morte valorizza la vita; la guerra la pace. Insomma, il male è, per vie tortuose, a fin di bene. Il bene trionferà. Almeno, Agostino riconosceva che il male è mancanza di bene. C’è perfino nella cultura secolarizzata chi ritiene il male strumentale al bene. Dubito che i morti e gli infelici si ritengano un apporto al bene. Il male è male. Netto, senza riscatto, non nasconderlo, non giustificarlo, non renderlo strumento di bene. Il male è male! Possiamo farlo, lo facciamo. E dovremmo riconoscerlo per quel che è: male. Servirebbe? Forse. Riconoscendolo come male ne compiremmo meno di quanto ne compiamo? Forse. Di sicuro, non riconoscendolo come male, ne compiamo senza risparmio.


di Antonio Saccà