Perde la causa per il figlio disabile, mamma in sciopero della fame

giovedì 20 luglio 2023


Settimo giorno di sciopero della fame. E una cosa certa: “Non ho nessuna proposta immediata che mi possa convincere a smettere e a ricominciare a mangiare”. Queste le parole di Elena Improta, caregiver, madre di Mario – 34 anni – affetto da una grave disabilità (tetraparesi spastica) e che ora si ritrova a pagare quasi 300mila euro di spese legali (276mila euro per la precisione), dopo una causa civile durata 27 anni contro la clinica dove partorì. Spese che, pur accettando il verdetto, non è in grado di sostenere.

Elena Improta, fondatrice de La Casa di Mario e presidente della Onlus “Oltre lo sguardo Aps” qualche anno fa ha lasciato la Capitale. E si è diretta in Toscana, a Orbetello (Grosseto), insieme al compagno e al figlio, dove sta portando avanti un progetto legato al Dopo di noi. All’epoca, intervistata dall’Opinione, disse: “Il nostro è un percorso di vita complesso”. E che bisogna avere l’umiltà “di saper chiedere aiuto. Non dobbiamo vergognarci di toccare il fondo o di pensare di non farcela”. Una forza che non è mai mancata a Elena Improta, mentre intanto è partita una petizione online: al momento sono oltre quattromila le firme raccolte.

“Sicuramente qualcuno dubiterà che io lo faccia sul serio, ma saranno solo coloro che non mi conoscono bene. Tra quelli che non sanno quanto io sia caparbia e quanto amore ci sia dietro le mie lotte per i diritti delle famiglie e delle persone con disabilità, ci sono coloro a cui ho lanciato il mio primo appello – ha detto – in primis la clinica e poi il ginecologo, gli eredi del pediatra e le loro assicurazioni. Non un soffio di vento! Silenzio assordante. Grande invece il vostro affetto e la vostra stima nei confronti di Mario e miei. I vostri post, appelli, messaggi, telefonate, proposte di raccolta fondi mi hanno dato grande nutrimento”.

E ha ricordato: “Alla politica abbiamo sollecitato almeno due riflessioni”. Cioè “una vera battaglia di giustizia”. Più precisamente: “Bisogna alzare il livello e analizzare il fenomeno, capire quante famiglie hanno portato avanti cause simili e quante hanno perso e quanti anni sono durate e se sono state condannate al pagamento delle spese e a quanto, secondo me, uscirà un quadro devastante e oggi sottotraccia. Questi sono i temi sulla giustizia, che toccano la vita delle persone, non la separazione delle carriere che oggi è il fulcro della proponenda riforma della giustizia e che certo non cambierà le tante ingiustizie che, oggi, vengono portate avanti dal sistema giudiziario italiano”.

Non solo: “Sarebbe bello se da questa vicenda nascesse una iniziativa dello Stato”. Per “impegnarsi a risolvere questo enorme problema, rilevando progetti come La Casa di Mario e facendoli diventare statali, con fondi dedicati da individuare non solo tra le risorse nazionali, ma anche attraverso finanziamenti dell’Unione europea, molto sensibile ai temi della disabilità, scaricando dalle spalle delle famiglie il peso di una realizzazione non sempre possibile”. Già, perché “la disabilità è uguale per tutti, ma non le possibilità economiche e non possono esistere disabili di serie A e di serie B”.

Con una considerazione: “Senza nasconderci dietro a un dito, sappiamo benissimo che ad oggi i progetti sul “dopo di noi” che Comuni, Regioni e Stato propongono non sono all’altezza dei bisogni reali, che non c’è ancora (e chissà quando ci sarà) una legislazione chiara in merito e l’incubo di ogni genitore è ancora quello di andarsene senza una soluzione adeguata”.

In quell’intervista sopracitata, Elena Improta confessò: “Ci sono giornate che non ce la facciamo e giornate in cui ce la facciamo. La chiave di tutto sta nell’avere un progetto nel cassetto, per arrivare al giorno dopo”. Adesso c’è un’altra prova, ancora più grande. Sicuramente difficile da descrivere. Ma lei seguirù quel filo che l’ha portata qui fino a oggi: “Noi non molleremo mai”.


di Claudio Bellumori