Il vincolo di affinità come vincolo di astrusità giuridica

giovedì 6 luglio 2023


L’Italia, definita la culla del diritto, in quanto luogo in cui fu generata la maestosa codificazione giuridica del Corpus iuris civilis di Giustiniano, continua a manifestare tutte le sue incongruenze legislative, che, con la conseguente interpretazione applicativa, rasentano l’assurdità per il tenore antinomico che generano negli arresti giurisprudenziali diametralmente opposti che ne derivano, benché facciano riferimento alla stessa normativa vigente. Per esempio, nel sistema giuridico italiano il coniuge, gli ascendenti, i parenti e gli affini entro il terzo grado, del sindaco o del presidente della giunta provinciale, non possono essere componenti della rispettiva giunta e tanto meno essere nominati rappresentanti del Comune e della Provincia, ciò è quanto si evince dall’articolo 64, III comma del Decreto legislativo del 18 agosto del 2000, n. 267 del Tuel (Testo unico enti locali). La motivazione di tale indirizzo normativo è quella di evitare che sussista il rischio, anche solo potenziale, di determinare una confusione degli interessi pubblici degli enti territoriali da parte di coloro che li governano con gli interessi privati e famigliari dei loro prossimi congiunti. Quanto finora esposto non rende opportunamente l’idea di ciò che voglio intendere se non entro nel merito dell’applicazione di questa normativa alla fattispecie concreta della cessazione degli effetti civili del matrimonio, simpliciter divorzio, in rapporto al vincolo di affinità. Invero, l’articolo 78, I comma e II comma del Codice civile, stabilisce che “l’affinità è il vincolo tra un coniuge e i parenti dell’altro coniuge. Nella linea e nel grado in cui taluno è parente d’uno dei coniugi, egli è affine dell’altro coniuge”.

Ora, fin qui, si delinea solamente il concetto di affinità dal punto di vista normativo ma è nel prosieguo della norma in esame che emerge l’aspetto più astruso da un punto di vista tanto logico quanto giuridico. Infatti, al III comma e al IV comma del medesimo articolo si stabilisce che “l’affinità non cessa per la morte, anche senza prole, del coniuge da cui deriva, salvo che per alcuni effetti specialmente determinati. Cessa se il matrimonio è dichiarato nullo, salvi gli effetti di cui all’articolo 87, n. 4”. Quindi, qualora un affine di un sindaco fosse nominato vicesindaco, sebbene il vincolo di affinità fosse sorto da un matrimonio i cui effetti civili fossero cessati a causa di un divorzio, ma nonostante ciò sempre valido ex lege, il medesimo affine non potrebbe ricoprire tale ruolo, perché vietato dalla normativa succitata. A tale riguardo sono intervenuti gli Ermellini della Corte costituzionale, i quali giudicando nel merito della legittimità costituzionale di tale indirizzo interpretativo della norma di riferimento hanno dipanato ogni dubbio con un arresto giurisprudenziale inconfutabile, in cui si afferma testualmente che “l’annullamento del matrimonio e il suo scioglimento sono situazioni accomunate da un’evidente vicinanza sotto il profilo effettuale, dato che in entrambi i casi interviene un’iniziativa giudiziale funzionale alla demolizione del vincolo matrimoniale. Ciò nonostante, in caso di annullamento del matrimonio il venir meno del vincolo coniugale comporta la cassazione del rapporto di affinità e abilita l’oramai ex affine a ricoprire la carica pubblica. Accesso alla carica che, invece, è precluso all’affine del divorziato”.

Da quanto sopra riportato si deduce che il vincolo di affinità permane per il parente del coniuge divorziato, anche quando il rapporto di coniugio, da cui tale vincolo si è generato, cessi i suoi effetti civili, con tutte le conseguenze del caso, considerando che il rapporto di affinità produce i suoi effetti su molteplici istituti del diritto civile, come ad esempio anche riguardo all’istanza o revoca dell’interdizione e dell’inabilitazione, al diritto agli alimenti, al diritto di surrogazione dell’assicurazione, alla corresponsione delle indennità nel rapporto di lavoro, ai rapporti societari, alle procedure concorsuali e altro ancora. Sebbene nella normativa citata non si faccia alcun riferimento al divorzio, in quanto nel 1942 quando entrò in vigore il Codice civile esso non era considerato nell’ordinamento vigente e nonostante che la Legge del 19 maggio del 1975 n. 151 non sia entrata nel merito, la dottrina continua a sostenere che il vincolo di affinità persiste anche quando avviene la cessazione degli effetti civili del matrimonio.

Questo perché la sentenza di divorzio avendo efficacia ex nunc non elimina il vincolo di affinità venutosi a creare grazie al precedente matrimonio, al contrario della dichiarazione di nullità che avendo efficacia ex tunc di conseguenza rende inefficace ogni vincolo sorto con il coniugio non valido. In questa nebulosa situazione da cui emerge tanta confusione interpretativa e assai poca logica giuridica, non meraviglia che possano essere emesse delle sentenze radicalmente divergenti, in quanto rispondenti a degli orientamenti giuridici decisamente antinomici, con la conseguente violazione dell’articolo 3 della Carta costituzionale riguardante il principio dell’uguaglianza formale e sostanziale di tutti i cittadini, che si trovano così a essere giudicati in modo opposto per la stessa questione giuridica.

Tant’è che nella sentenza di legittimità della Corte di Cassazione civile, I sezione, del 7 giugno del 1978, n. 2848, si è affermato che la pronuncia di divorzio non genera la cessazione del vincolo di affinità tra un coniuge e i parenti dell’ex coniuge, visto che tale vincolo può cessare solo nell’eventualità che venga dichiarata la nullità del matrimonio e quindi la sua invalidità ab origine, come stabilito all’articolo 78, III comma del Codice civile.

Mentre in una recente sentenza di merito del 9 ottobre del 2003 il Tribunale di Grosseto ha emesso il seguente principio: “La pronuncia di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio determina la caducazione del vincolo di affinità tra un coniuge e i parenti dell’altro coniuge. Si comprende infatti dal complesso della normativa, che la permanenza dell’impedimento matrimoniale ex articolo 87, I comma, n. 4, costituisce una deroga rispetto alla regola generale in base alla quale l’affinità viene meno con la pronuncia di divorzio, così come deroga analoga è prevista per l’ipotesi della nullità matrimoniale”. Al postutto, concludendo, se l’amore è eterno finché dura, il vincolo di affinità è “per sempre”, al di là di ogni ragionevole dubbio.


di Fabrizio Valerio Bonanni Saraceno