I turpiloqui di Vittorio Sgarbi sturano i timpani del politicamente corretto

lunedì 3 luglio 2023


All’inaugurazione della stagione estiva del Maxxi di Roma, il museo più trend della Capitale, il critico d’arte e sottosegretario alla Cultura Vittorio Sgarbi, in coppia con Morgan, si è lasciato andare a un dialogo definito sessista, con uso di termini pesanti, cioè le “parolacce”. Nulla di nuovo, il solito Sgarbi “irregolare, collerico e fuori dalle righe”. Ma poiché ciò è avvenuto nell’area del Maxxi, cenacolo dell’arte contemporanea da pochi mesi guidato da un presidente “galantuomo” di centrodestra, Alessandro Giuli, sotto l’egida di un ministro “raffinato” come l’ex direttore del Tg2 Gennaro Sangiuliano, apriti cielo! Ai politicamente corretti si sono sturate le orecchie e, finalmente, sono rimasti colpiti e offesi. Mi permetto di dire: “Un bene”. E conoscendo Vittorio Sgarbi, di cui nutro una stima professionale rara, voglio pensare che nulla accada per caso. Perché dopo anni di volgarità, iniquità, indecenze e ogni tipo di scorrettezza a mezzo schermo e immagine finalmente si è verificata una reazione. Finalmente si è aperto l’ascolto a quella parte della società, soprattutto romana, paladina di ogni decadenza e trasgressione.

Di quello che ha detto e fatto Vittorio Sgarbi sono pieni i giornali, ma della devastazione culturale quotidiana, che si protrae da anni, si dice molto poco. Per cui parto da qui, dal turpiloquio politicamente corretto, che fa chic, che fa libero, che fa emancipato, che contrasta il perbenismo conservatore, il medioevo etico tricolore. Potremmo fare la storia della “parolaccia mediatica”, ma andando per sintesi partiamo dai fatidici anni Settanta, quando una nota autrice pubblicò un noto libro per giovani, “Maialini con le ali”, in cui si narravano le prime sperimentazioni sessuali socio-politiche, il preludio del Gender e le sue declinazioni queer. Quel libro fin dalle prime righe proponeva la carrellata più erudita e informata di termini per definire gli organi sessuali maschili e femminili, epiteti anche volgarissimi che sono diventati il lessico rivoluzionario di una generazione. Definizioni postsessantottine, il vocabolario della Contestazione, espressioni che la maggior parte dei giovani hanno continuato a considerare “parolacce scurrili”. Ne scaturì un dibattito infuocato, mentre ai tanti che leggevano Love story, le poesie di Jacques Prévert, che cantavano Lucio Battisti e Claudio Baglioni fu strappata l’innocenza.

Pier Paolo Pasolini dedicò all’analisi delle frantumazioni di classe e delle degenerazioni giovanili molti articoli. In particolare quelli indirizzati a Italo Calvino, il quale l’8 ottobre 1975 sul Corriere della Sera aveva scritto: “Nella Roma di oggi quello che sgomenta è che questi esercizi mostruosi avvengono in un clima della permissività assoluta. Si presentano come la sguaiataggine truculenta delle bravate da caffè, con la sicurezza di farla franca di strati sociali per cui tutto è sempre stato facile”. Il 30 ottobre Pasolini rispose all’amico Calvino su Il Mondo, con un commento dal titolo “Tu dici”, in cui lo scrittore friulano contestava l’analisi sulla borghesia. Scrisse: “Tu hai privilegiato i neofascisti pariolini del tuo interesse e della tua indignazione perché sono borghesi, la loro criminalità ti pare interessante perché riguarda i nuovi figli della borghesia”. E insistette negli stessi giorni sul Corriere della Sera: “I poveri delle borgate, cioè i giovani del popolo, fanno le stesse cose che hanno fatto i giovani dei Parioli, che a volte vanno a finire male, molto male. Ma la differenza è che non finiscono in prima pagina e dietro a questa gravissima svista si va diffondendo una cancrena pericolosissima”. Alberto Moravia, che seguiva quel dibattito, già nel 1971 aveva pubblicato Io e lui (Bompiani), da cui bisognerebbe partire per affrontare la polemica odierna sull’intervento scandaloso di Vittorio Sgarbi. Perché nel libro uno dei più grandi scrittori del Novecento aveva sollevato la questione sessuale. Nel racconto quel “lui” sta per “pene”, lo stesso organo che Sgarbi ha apostrofato nell’accezione più popolare e comune. “Il problema che ho affrontato in Io e lui – spiegò Moravia in un’intervista – è terribilmente serio, anche se la veste è comica. È la sessualità, da una parte, personificata in “lui”, cioè nella virilità fisiologica e dall’altra parte, la spinta contraria alla sessualità verso una meta artistica, intellettuale, sociale e civile”.

Nel libro di Moravia si narra di Federico, “Rico”, un intellettuale con velleità da regista, uno sceneggiatore che vuole fare il salto di qualità. “La sua personalità – disse Moravia – risulta fortemente scissa: se l’io sta a guardare, lui agisce, l’inconscio parla, il sesso ha una voce che ordina e impone. Nella folle vicenda di questo regista mancato, nel costante dialogo tra il protagonista coatto, il suo sesso prepotente e il suo rimorso culturale (sublimazione o desublimazione?), la nevrosi, interpretata in chiave comica o tragicomica, non è lontana dall’assurdo”. Cosa aveva voluto dire Moravia? Il senso che Vittorio Sgarbi ha dato alla sua discussione sul termine più noto e diffuso. E cioè una fenomenologia molto autentica, molto vera, molto diretta. Ha sostenuto il critico ribelle: “Per lungo tempo i maschi sono catturati dal loro sesso, io ho scoperto solo di recente che esiste il pancreas, il fegato, la prostata. Ma cos’è la prostata? Ci sono voluti anni per scoprirlo, fino a che il baricentro è cambiato e dal sesso si passa alla prostata”. Il tutto condito con espressioni di uso comunissimo, tipo la versione popolare di “testicolo” per dire tonto o testa di cavolo o sega o corno o tubo. Insomma, persona poco intelligente e sleale. Quello che i milanesi chiamano “pirla”.

Si dà il caso che, come ho raccontato in questi giorni a proposito del tema per la maturità sugli Indifferenti di Alberto Moravia, che ai tempi abbia fatto una lunga intervista sul tema dell’amore al grande scrittore e, ovviamente, gli feci la domandina impertinente. Ricordo gli chiesi: “Non è scandaloso dedicare un libro a “lui”, signor Moravia?”. Lavoravo alla Rusconi Editore, al settimanale Gioia, dunque rappresentavo una casa editrice cattolica, conservatrice, culturalmente riferibile all’Italia democristiana. Alberto Moravia rispose: “Non bisogna avere tabù, l’intelligenza non ne ammette. E per tabù si devono intendere parole censurate, pensieri vietati e se ciò riguarda una parte del corpo la censura e l’inibizione assumono la gravità di un’amputazione mentale e cioè sociale e culturale”. Poi mi scrutò, severo. Alberto Moravia, come ha spiegato in questi giorni la scrittrice e sua compagna Dacia Maraini, appariva severo soprattutto per via delle sopracciglia folte, ma in realtà era ironico e giocoso. Io ero rimasta ferma e inespressiva. Era la mia educazione. Allora lui aggiunse profetiche parole: “Verranno…verranno i tempi in cui tornerà utile tutto questo, perché come dice Pasolini la cancrena si riverserà e serviranno intelletto e ragione. Come insegnava Dante, il volgare vale per tutti senza però scalfire l’intelletto umano”.

Eccoci qua, signori e signore. Sono arrivati i tempi. Sul palco del penultimo Festival di Sanremo, quando fu proclamato vincitore un noto gruppo di giovani, che poi ha avuto fortuna in tutto il mondo, il co-conduttore Fiorello disse al conduttore Amadeus: “La senti cosa sta dicendo, la senti Ama, bestemmie a tutto spiano”. Non sappiamo fosse vero, ma di certo la bestemmia oggi vola sulla bocca di troppi giovani. Vi scandalizzate per Vittorio Sgarbi, il più acuto, formato, appassionante, erudito e vivace critico d’arte del nostro tempo che parla sui palchi del Maxxi come parlano decine di centinaia di ragazzini e ragazzine? Vittorio Sgarbi appartiene ancora al genere elegantone, che colleziona fidanzate, ma decine di centinaia di tizi e tizie non sono così forbiti nello sfoggiare la forma popolare di “fallo” a ogni respiro. Che siano donne, signore, nonne perfino, non fa scalpore. È stato sdoganato tutto. Solo che se lo fanno e lo dicono i politicamente corretti è libertà, acume, diritti, personalità, originalità, battaglia ai luoghi comuni, al perbenismo, alla santificazione e ai divieti. Se per caso è un professionista di centrodestra è un nemico da abbattere. Per dire che queste polemiche, oltre che caccia alla visibilità, sono un vigliacco modo per togliere di mezzo un avversario. A questo si è ridotta la politica e il potere, all’ignoranza e all’invidia. E nella polemica sollevata sul caso Sgarbi il bersaglio non è solo lui, Vittorio, ma i nuovi responsabili della cultura italiana: il ministro Gennaro Sangiuliano e il presidente del Maxxi Alessandro Giuli.

Nella guerra delle lottizzazioni dei protagonisti di Rai, tivù e giornali le polemiche abbondano. Pertanto, suona esagerata e strumentale la reazione del gruppo di dipendenti del Maxxi che, in una lettera, hanno chiesto di stigmatizzare il frasario di Sgarbi, con la conseguenza di sollevare il polverone delle dimissioni. Il miglior critico italiano fatto fuori per un “fallo”? E quelli che parlano come indicavano Pasolini e Moravia? Proprio vero che l’ipocrita sente il fruscio dell’orecchio dell’altro e non si accorge del palo nel proprio. “Che dice Giorgia Meloni?”. E che deve dire? Vogliamo cominciare a censurare Roberto Benigni, il nostro Oscar onnipresente, che su scurrilità, turpiloqui e parolacce ha fatto la sua folgorante carriera? O vogliamo cacciare Beppe Grillo, per cui “il vaffa” coincide con l’orgoglio a cinque stelle? Vogliamo eliminare dai cast e dai copioni, dalle serie e dai libri, dalle canzoni e dalla cronaca la massa di gente che usa epiteti sconci e offensivi? Chiudiamo i social per uso illecito della lingua italiana? Per non parlare dei “falli nell’arte”, di cui lascio l’argomento a Sgarbi, che saprà partire dall’antichità fino alle Biennali della provocazione con quell’artista che sconvolse Venezia con le sue opere fallocentriche. Vogliamo parlare di educazione, di galateo, di rispetto, di forma, di limiti dopo aver assistito agli attacchi rivolti alla premier per aver detto la cosa più sensata e più urgente rispetto alla droga? “Tutta la droga fa male, senza eccezione alcuna”. Speriamo che le orecchie di tanti abbiano iniziato a fischiare. Anzi, speriamo che qualche timpano si sia proprio sturato. Se fosse questo il miracolo, Vittorio Sgarbi, Gennaro Sangiuliano, Alessandro Giuli e Giorgia Meloni sono le persone migliori per provare a riparare i danni.


di Donatella Papi