Ragioni e torti al “Corriere della Sera”

martedì 20 giugno 2023


Puntualizzazioni, punzecchiature, modi diversi di concepire il futuro del giornale, divergenze sull’utilizzo del palazzo di Via Solferino. Dopo due giorni di sciopero e le dimissioni di tre dei cinque membri del Comitato di redazione (che sarà rinnovato a fine mese) tutta la vicenda è stata portata all’attenzione dei lettori del primo quotidiano italiano. È ormai evidente che tra l’assemblea (il documento da pubblicare era stato redatto da 8 redattori dei settori economico-sindacale) e l’editore Urbano Cairo le relazioni industriali sono deteriorate. È dovuto intervenire il direttore Luciano Fontana a indurre l’editore a non trincerarsi dietro la mancata firma del Cdr, abilitato istituzionalmente dall’articolo 34 del contratto, e a non opporsi alla pubblicazione della lunga nota su quanto sta accadendo nel quotidiano milanese. Il racconto parte dalla constatazione che non si tratta soltanto di rivendicazioni economiche e dall’acida replica di Cairo, presidente e amministratore delegato del Gruppo Rcs (“guadagnate tanto, in una redazione nella quale la media delle retribuzioni è pari a 90mila euro lordi”). In realtà, nessuna delle due parti disconosce che i dati ricavati dalla vendita nelle edicole, dagli abbonamenti digitali, dalla pubblicità non siano soddisfacenti.

Il quotidiano milanese resta il più venduto in Italia. Ha confermato autorevolezza anche in Europa. Cosa non va allora? Il problema principale sono le relazioni industriali. Non vanno verso il verso giusto da tempo. I contrasti sindacali derivano soprattutto da alcune impostazioni autoritarie dell’azionista di maggioranza che ha anche altri interessi editoriali e calcistici (è proprietario del Torino calcio). A Cairo la redazione riconosce di aver effettuato assunzioni: con le ultime 56, l’organico è passato a 489 dipendenti, 295 collaboratori con contratto e 520 collaboratori a borderò. Avendo, inoltre, incorporato 104 giornalisti delle edizioni locali, l’ammontare dei professionisti a busta paga sono saliti a 1.304. A fronte di questo e alla crisi dell’editoria italiana ed europea l’editore rivendica altri due punti di successo: gli abbonamenti digitali sono saliti a 520mila e la sede storica di Via Solferino è stata riacquistata, in considerazione del valore simbolico consolidato da oltre cento anni di vita. E proprio sui lavori di ristrutturazione della sede si sono appuntate le critiche dei redattori per la sistemazione di uffici per l’editore Urbano Cairo, il direttore generale Alessandro Bompieri e il responsabile delle risorse umane Vito Ribaudo”.

Una scelta, scrive l’assemblea, che rischia di violare una legge non scritta ma che è stata la vera forza del Corriere della Sera, quella che impone una netta separazione degli spazi: “da una parte i giornalisti e da un’altra parte i rappresentanti dell’azienda”. Si aggiunge anche che da troppo tempo “la linea rossa che deve separare informazione e marketing è sempre più sfumata, fino ad arrivare a commistioni che fanno male all’immagine e alla tradizione di autonomia del giornale”. Preoccupano i redattori altri due aspetti. I mezzi tecnologici sono spesso inadeguati, il sistema editoriale presenta gravi bug operativi, mancano figure tecniche per lo sviluppo digitale. Il secondo aspetto è il peggioramento delle condizioni di lavoro, come evidenziato dallo sciopero per strappare 6 giorni di Smart working al mese e difendere l’aggiornamento professionale che fa parte delle buste paga da sempre. In definitiva, secondo l’assemblea dei redattori (130 sì su 168 presenti) le risposte dell’azienda “sono irrisorie in un gruppo che ha dichiarato cospicui utili e distribuito dividendi”.


di Sergio Menicucci