Una ragazza di nome Giulia e il figlio di sette mesi

lunedì 5 giugno 2023


Siamo ipocriti un bel po’. Si parla di un diverso modo di essere (sempre più) inclusivi, a partire da un uso accorto del linguaggio, per poi declinare il nostro approccio su scelte insulse e contraddittorie come nelle migliori eterogenesi dei fini. In questi ultimi tempi, per dire, ci siamo affannati nel tutelare il maggior numero di minoranze – tra quelle sessuali, politiche, religiose – dimenticandoci però di difendere la più piccola tra queste, ovverosia la singola persona umana. Forse perché tuttora non abbiamo una piena contezza di cosa significhi l’essere e l’esserci. Il nostro Ecce Homo, insomma, è una dimostrazione etica e antropologica confusa, ricca di distinguo e priva di essenzialità. Nel prendere spunto da un referendum di qualche tempo fa, ci siamo arrovellati se un feto fosse minimamente un qualcosa di accostabile all’umanoide e siamo ancora qui a brancolare nel buio.

Anzi: peggio. Perché poi accade che l’altro giorno viene uccisa quella povera ragazza di nome Giulia, la quale portava nel grembo una creatura di 7 mesi. Capita spesso a che a 7 mesi un bambino nasca. Ed è, per l’appunto, un bambino. Piccolissimo eppure già formato anatomicamente. Ed è morto anche lui, morto perché ucciso insieme a sua madre. E quindi è stucchevole parlare di interruzione di gravidanza senza consenso. Quello che è accaduto è stato un duplice omicidio, punto. Magari in punta di diritto ciò non è (ancora) ammissibile e salvaguardiamo pure (e soprattutto) in questo caso quanto di più garantismo disponiamo. Ma il buon senso, la logica e la pietas di cui siamo in grado dovrebbe far accusare l’ex compagno e l’ex padre di due (ripeto: due) omicidi. Tanto più gravi perché una delle vittime non si è potuta nemmeno difendere.


di Luca Proietti Scorsoni