Era artificiale artica

martedì 16 maggio 2023


È gran tempo che in una sezione dei miei libri non letterari ma sociologici mi interesso dell’automazione, destino inevitabile dell’industrialismo, della tecnologia. La tecnologia ha quale fine l’automazione, la vittoria del macchinismo autosufficiente, dopo un primo impulso dall’uomo, ma preciserò. Macchine che muovono macchine responsabilmente. L’uomo le progetta, ma le macchine possono da questo inizio proseguire e far da padrone. Non soltanto in terreno “forza lavoro”, anzi: in campo intellettuale, dirigenziale, organizzativo. Anzi, perfino, addirittura: campo espressivo! Anni, molti anni trascorsi, un esperimento combinatorio. Dalla relazione tra molte parole sorgevano versi o frasi mirabolanti. Successivamente, in territorio pratico, abbiamo concepito e suscitato il robot. Al dunque, sia nella forza lavoro sia nell’attività mentale le macchine sostituiscono (sostituiscono!) l’uomo. L’Intelligenza artificiale è l’evento recente massimamente clamoroso che l’umanità ha pensato e attuato, genererà una disumanità parallela o un’umanità parallela, in ogni caso idonea a sostituire l’uomo. I “potentati” con l’Intelligenza artificiale a loro disposizione possono controllare e, ripeto, sostituire gli esseri umani in vastissimi territori, far governare gli uomini da organismi onniveggenti, riproduttivi (macchine che creano macchine, macchine che regolano macchine), cognitive, espressive anche se non senzienti come “io”, oggettivamente espressive, e dunque espropriare l’individuo di quanto il singolo e la collettività conquistavano con fatica. L’uomo si avvarrà di queste facilitazioni (poniamo: non imparerà le lingue avendo un traduttore meccanico, non dipingerà avendo un pittore meccanico, non scolpirà avendo uno scultore meccanico, non insegnerà, avendo un professore meccanico, eccetera).

Nasce il dilemma epocale. Il libro La quarta scelta fu letto da Giovanni Paolo II. Glielo recava il mio editore, Salvatore Dino, legato al Pontefice. Nel libro, del 1981, scrivo, con riguardo alle macchine che sostituiscono l’uomo: “Il lavoro liberato potrebbe essere ridistribuito tra tutte le persone in grado di lavorare per consentire effettivamente la riduzione del tempo di lavoro per i singoli produttori; oppure, potrebbe invece essere utilizzato per restringere ulteriormente la base produttiva, cioè per fare gravare il lavoro materiale su una base di lavoro sempre più ristretta” (pagina 203). E il dilemma epocale o uno dei dilemmi. L’automazione eliminerà lavoro perché le macchine faranno altre macchine o produrranno senza l’uomo (l’automazione è questa, la sua idoneità eversiva, le macchine che regolano macchine o producono senza o minimamente apporto umano). Pertanto: o si riduce l’orario di lavoro o se si mantiene il passato orario servono pochissimi individui e un gruppo di magnati potrebbe possedere il circuito produttivo automatizzando il sistema, eliminando operai e classe dirigente, poiché le macchine sono intelligenti non soltanto forzute. Ma chi acquisterebbe l’immane produzione? Una massa di disoccupati e di sottoccupati non acquista! Il che sta accadendo già nel presente, temibile contraddizione: si restringe la fascia dei lavoro, cresce la produttività, e la produzione, si potrebbe avere una massimizzazione della produzione e minimizzazione della domanda. La guerra dei mercati diverrebbe letale, rientra nel corso storico, ma in futuro l’antitesi sarà esponenziale per l’eventuale disoccupazione di massa e accresciuta produzione. Nel mio libro citato, affermo che saremo costretti a riversare socialmente l’esuberante produzione, a porre in discussione il profitto, il salario, che hanno perduto la relazione con il lavoro vivo essendo dovuti in gran misura al lavoro morto (macchine, automazione).

Quest’ultimo aspetto, la relazione tra lavoro, produttività, produzione pone dilemmi estremi da valutare peculiarmente. Al dunque e nettamente: l’era dell’automazione esige un cambiamento nei sistemi produttivi. Siano o meno intelligenti le intelligenze artificiali avranno effetti diavoleschi. I sistemi produttivi produrranno esageratamente rispetto alla sincope della base dei consumatori con la disoccupazione di massa eventuale. Allora: o si accorcia l’orario di lavoro, o si favorisce il consumo abbassando il costo della grandiosa merce (non sono in antagonismo), o addirittura si perviene a una gestione sociale della produzione (lavoratore imprenditore, solo un cenno), o si sminuisce il profitto, si abbatte il costo delle merci, oppure: si riduce la base sociale umana, suscitare guerre, pandemie che decurtano l’umanità, colonizzazioni spaziali, abitazioni nei deserti fertilizzati e quant’altro. L’unica certezza è che i sistemi produttivi non potranno continuare come in passato. È stato detto: con il mutamento degli strumenti di produzione mutano i rapporti di produzione. Per dire: se vi è la macchina la carrozza, il cavallo, il cocchiere, spariscono. Se c’è l’Intelligenza artificiale, il robot, l’operaio e molti lavori mentali spariscono. Li facciamo morire o cambiamo sistema per reintegrarli? E in altro campo: se possiamo trasformare la natura la trasformeremo. Inutile illudersi. Lo faremo. Intelligenza artificiale e robot, transgenesi: società e natura salteranno. Per quale altra società? Credere che qualche guerra, qualche freno a questo o a quel Paese risolvano è non cogliere che le evenienze dialettiche evolutive sono interne ai sistemi. L’antitesi tra automazione, produzione, occupazione è interna ai sistemi non è dovuta alla Cina, alla Russia, agli Stati Uniti, né si risolverebbe con un conflitto. Si risolve rivedendo orari, salari, profitto, occupazione, distribuzione. All’interno di ciascun Paese.

Stiamo trattando eventi tellurici (automazione sostitutiva, transgenesi snaturante) come se avessimo soltanto tensioni egemoniche di mercati. Che vi sono ma che esigono soluzioni al tremendo dilemma: produciamo di più, disoccupiamo di più, chi consumerà? E anche: che vogliamo fare della natura? Snaturarla? Sarebbe necessario occuparsi della società al tempo dell’era artificiale, sociale e naturale. Evitando i luoghi comuni: che non vi sarà disoccupazione di massa, che il tempo libero dal lavoro favorirebbe la cultura, lo “spirito”. Temo che avremo disoccupazione all’ammasso e tempo libero da disoccupati. Eppure sarà presso che inevitabile una produzione per l’umanità. Sarebbe coerente con la potenza degli strumenti di produzione. In effetti potremmo inondare il pianeta di beni. Potremmo.


di Antonio Saccà