A proposito di libertà di stampa

giovedì 4 maggio 2023


Nel suo come sempre ottimo “Buongiorno” su “La Stampa” Mattia Feltri ricorda, a proposito di libertà di stampa e di stampa minacciata, il caso di Massimo D’Alema: molto risentito nei confronti di Giorgio Forattini, al punto di chiedere tre miliardi di lire come risarcimento per una vignetta. E si era nel 1999.

Molti anni prima, mi è capitato di essere direttore responsabile del “Male”, settimanale satirico i cui sberleffi sono diventati storia e oggetto di culto.

Non era facile essere direttori responsabili del “Male”, faceva male. Il compianto Calogero Venezia fu letteralmente sommerso di querele, denunce, condanne. Subentrò poi Gianfranco Spadaccia, che dovette lasciare perché eletto senatore. A quel punto assunsi io la direzione (ir)responsabile del settimanale; in pochi mesi ne ricavai un centinaio tra denunce e querele e una detenzione di sette giorni nel carcere di Regina Coeli, finita poi con la classica formula: “Per non aver commesso il fatto” (resistenza e oltraggio a un pubblico ufficiale).

Tutte le querele e le denunce sono poi finite in gloria, meno una: il tribunale di Perugia in primo grado mi condannò, per lo sberleffo in una vignetta di un altro, a due anni e sei mesi di carcere senza condizionale. L’appello, a Orvieto, confermò la sentenza. Giunti alla Corte di Cassazione, e nel timore di dover davvero scontare la pena, feci la cosa più scorretta che si poteva fare (ma primum vivere): chiedere alla politica di intromettersi. Venne presentata un’interrogazione parlamentare al ministro della Giustizia (la devo a Geppi Rippa), firmata da tutti i gruppi parlamentari presenti allora alla Camera dei deputati: primo firmatario Massimo Abbatangelo (Msi), ultimo Luciano Violante (Pci). In mezzo tutti gli altri. La Cassazione “comprese”. Individuò un cavillo, restituì il processo ad altra corte (de L’Aquila), e lì venne “dimenticato”.

In quell’occasione a difendermi furono: Oreste del Buono, Giorgio Forattini, Giampiero Mughini. Marco Pannella, Salvatore Sechi, i cui articoli su Il Giorno, Il Giornale, L’Europeo, ben incorniciati sono affissi dietro la mia scrivania. Di Norberto Bobbio conservo una lettera, intestata Senato della Repubblica, che più o meno dice: “La legge è legge”, amen.  L’allora presidente della Federazione della Stampa, Miriam Mafai, disse che non sapeva nulla di questa storia. Saputala, continuò a comportarsi come se non la conoscesse. Erano i “mitici” anni Ottanta del secolo passato.

Ps.: la vignetta in questione – forse qualcuno l’avrà intuito – riguardava un magistrato della procura romana. Da qui, anche, il mio “amore” per chi si assume il compito di giudicare.


di Valter Vecellio