Il caso Orlandi, mia sorella top secret

martedì 18 aprile 2023


Ora avete capito perché il Vaticano per quarant’anni ha fatto muro alle pressioni su Emanuela Orlandi? Appena reso noto che Papa Bergoglio ha disposto di andare a fondo sul caso è scattata una campagna dissacrante, che ha nel mirino la Chiesa e con essa il Santo Padre Giovanni Paolo II, il papa canonizzato, il pontefice del Muro di Berlino, della Perestrojka e della Glasnost, sul quale sono state fatte ricadere ipotesi a dir poco infamanti. “Illazioni offensive”, le ha definite il Papa durante l’Angelus costretto a intervenire. Insomma, partenza sbagliata per Pietro Orlandi, il fratello della ragazza scomparsa, che ora si tira indietro, ma in tivù non ha lesinato a sollevare ombre pesanti. Sarà l’ansia, sarà il tempo e il rancore, sarà che neppure lui sfugge alle strumentalizzazioni che ammantano questa vicenda, ma con la verità su Emanuela sembra iniziata l’Apocalisse che incombe da quel lontano 22 giugno 1983. Emanuela Orlandi, figlia di Ercole Orlandi commesso della prefettura della Casa Pontificia e di Maria Pezzano, sparì a Roma in quella data.

Nonostante sia una delle vicende di cronaca nera più indagate e narrate, ancora oggi la verità è ammantata di mistero. E al caso di Emanuela si collegano altre sparizioni a cominciare da quella di Mirella Gregori, avvenuta poco prima il 7 maggio. È notizia recente che il Vaticano abbia deciso di fare chiarezza, come ha riferito il fratello di Emanuela, che in questo lungo arco di tempo ha coordinato i vari filoni che si sono susseguiti e che ha tampinato stretto la Santa Sede. È stata inoltre costituita alla una Commissione parlamentare d’inchiesta sostenuta dal primo firmatario, il deputato del Pd Roberto Morassut, e dalla deputata dei 5 Stelle Stefania Ascari. Primi passi compiuti. Pietro Orlandi, assistito dall’avvocatessa Laura Sgrò, è stato ascoltato per otto ore dal promotore di giustizia Alessandro Diddi, che sta indagando ufficialmente per conto della Chiesa.

Pensare che la sparizione della ragazza sia un fatto trascurato è sbagliatissimo. Così come ritenere che insabbiature o rimozioni siano la causa dell’enigma. Piuttosto il contrario. La storia delle indagini su Emanuela è una storia nella storia, perché possiamo dire che “tutti” quelli che hanno avuto titolo tra magistrati, procuratori, investigatori, detective, servizi segreti, giornalisti specializzati hanno cercato prove e testimonianze. Dalla bravissima Pm Margherita Gerunda, la prima a indagare, a Domenico Sica, a Ferdinando Imposimato, alla serissima Adele Rando, ai titolari a lungo delle indagini Giancarlo Capaldo e l’ex procuratore capo Giuseppe Pignatone. L’iter investigativo è un fiume di pagine, di tappe, che ha visto in campo anche i servizi segreti italiani ed esteri. Non solo. A vario titolo sono entrati in scena anche una messe di personaggi vicini o appartenenti a bande, malavitosi di spicco, pezzi della Banda della Magliana e del terrorismo internazionale, da Renato De Pedis ad Ali Ağca, l’attentatore del Papa che dalla Turchia si è fatto vivo per sostenere che Emanuela sarebbe ancora viva. Exploit, scoop e sullo sfondo le oscurità della pedofilia e dei riti sessuali.

Questa giostra impazzita di voci, di personaggi in chiaro e scuro, di occulti, di grigi, di presunti calunniatori, di autodenuncianti, di prelati neri e di prelati informati, ha alimentato il caso giornalistico più affollato, per cui sono stati pubblicati libri, realizzate trasmissioni, prodotti docu film e persino una pellicola della Paramount. E, diciamolo chiaramente, tutti abbiamo scritto su Emanuela Orlandi. Alla fine si è innescata anche una “maledetta gara” dei più perspicaci, dei più informati, di quelli che puntano a tenere il finale in pugno. Io stessa all’epoca della sparizione, e poi nel divenire professionale, mi sono interessata a questo spaventoso giallo dalle mille teste e un grido, quello di una ragazza di quindici anni inghiottita in un buco nero. Una cosa l’ho capito, anzi due.

La prima è che la verità su Emanuela Orlandi è disseminata in tutte queste ipotesi, di cui spesso l’una nega l’altra e l’altra copre l’una. La verità non è nascosta, è sommersa in una sorta di “inquinamento” di fatti e particolari, i quali hanno dato luogo a una scandalosa deontologia mediatica, che ha creato quel genere investigativo da spettacolo che ha affogato la giustizia. Capisco la famiglia e Pietro Orlandi, con cui parlai di questo, il quale mi rispose: “Non posso trascurare nulla e seguo tutto perché io voglio ritrovare mia sorella, almeno il corpo”. La verità, però, ha bisogno anche di silenzio e di credibilità. La Commissione parlamentare e il Vaticano il primo buon servizio che dovrebbero rendere sarebbe mettere ordine in quel mondo parallelo che dagli anni Ottanta inquina la cronaca, avendo spostato l’investigazione nei salotti tivù, nei copioni delle trasmissioni, nella brama di pubblicità e fama, nel mercato delle notizie, in quel macabro scenario noir nel quale non esitano a scendere anche pezzi forti dell’investigazione, giornalisti a caccia d’immagine e grandi firme a scapito di una giustizia sempre più imperfetta, di casi giudiziari da criminal mind e di sentenze a furor di popolo. In questo diabolico caravanserraglio l’autentico profilo delle vittime spesso si perde a uso e consumo della suspense e delle audience.

È capitato anche a me di venire a conoscenza di particolari. Tuttavia ho sentito l’esigenza di lavorare al contrario e cioè ho redatto un dossier di una ventina di pagine che consegnai ai magistrati e al Vaticano con una dicitura “Top secret”. Non perché non riconoscessi il diritto di cronaca, io che ne facevo parte, ma perché ritengo che le ipotesi vadano pubblicizzate solo quando abbiano riscontri effettivi. Proprio per non prestare il fianco ai depistaggi e alla seduzione dei gialli criminali. I fatti mi danno ragione. L’attacco contro Giovanni Paolo II non è un inciampo. Lo testimonia un articolo pubblicato da L’Opinione il 15 aprile scorso a firma Renato Cristin, in cui l’autore spiega come anche in Polonia sia in corso un’onda diffamatoria per un Papa universalmente amato. Il pretesto è stata la pubblicazione il 3 marzo del libro di un giornalista olandese, Ekke Overbeek (Massima colpa. Giovanni Paolo II lo sapeva), nel quale sulla base dei servizi segreti del regime comunista si sostiene che nei primi anni Settanta l’allora cardinale di Cracovia, Karol Wojtyla, avrebbe coperto casi di sacerdoti pedofili.

Che dire? Gli scandali vaticani non sono nulla di sconosciuto, ma per chi ha fede, per chi promuove il credo, questa non è altro che l’atavica lotta e siamo in tempi in cui una parte del mondo con il Gender, con le battaglie sul genere sta attentando alla sacralità teologica per imporre un ordine ateo e progressista. Non solo i comunismi di un tempo, il marxista satanista si è irradiato nelle ideologie e cammina nelle società. Da qui le guerre, gli orrori, il male, le crisi, la cronaca nera. Dissi a Pietro Orlandi che a mio parere sua sorella Emanuela era caduta proprio in queste trame, che risalgono dagli Anni di piombo, degli opposti estremismi, del caso Moro, i casi in cui la politica e la cronaca hanno incrociato il trascendente.

Penso alla madre di Federico García Lorca, quando sfinita dal regime per l’occultamento del corpo e della verità sull’assassinio di uno dei più grandi poeti del Novecento nella Spagna franchista, disse “non lo voglio sapere perché Federico è solo il mio”. L’unico modo per porre fine alla tragedia delle speculazioni, che ancora dura. Mi auguro che Pietro Orlandi sfugga al macabro gioco delle illazioni, all’indecente strumentalizzazione in salsa ateista. E che la giustizia per Emanuela coincida non con la vergogna di stampo marxista dei peccati della Chiesa, o con le manovre della Teologia della Liberazione che ora insegue i cardinali ricchi e fa i conti nelle loro tasche, o con le guerre per bande e le tifoserie politicizzate, ma con la Chiesa di Dio, di cui Emanuela resta una pura fanciulla e i suoi cari, una famiglia di fedeli servitori.


di Donatella Papi