giovedì 6 aprile 2023
Tutti vogliono innamorarsi, ma tutti hanno paura di farlo. Tutti vorrebbero avere un partner, ma nessuno vuole impegnarsi troppo e per un periodo di tempo troppo lungo. Tutti che cercano di capire i comportamenti della persona con cui escono da un po’ di tempo e che improvvisamente è cambiata o ha smesso di essere presente nella loro vita dall’oggi al domani e che, magari, dopo un po’ decide di tirarsi indietro. Tutti vogliono la felicità – che, come Aristotele aveva intuito, è la grande aspirazione di tutti gli uomini – al fianco di qualcun altro, ma la maggior parte è destinata a doversi accontentare – se tutto va bene – dei leopardiani momenti di spensieratezza tra le continue inquietudini. Inutile girarci attorno: il mondo dei sentimenti è diventato un delirio generalizzato, roba da reparto psichiatrico; e trovare una stabilità sentimentale è diventata ormai una fortuna per pochi eletti che nel corso della loro vita hanno la buona ventura di incontrarsi.
È la società liquida, bellezza. È la società dove tutto è mutevole, momentaneo, transeunte. È la società che, in fin dei conti, tutti abbiamo contribuito a costruire, nel nostro piccolo. È una specie di “anti-società”, perché “società” è il nome che descrive l’insieme di relazioni e legami tra individui: venuti meno questi, come anche la capacità di crearli e di renderli stabili e soddisfacenti, viene meno anche il significato collegato al nome stesso. Forse c’è da rattristarsi, ma non da sorprendersi, dato che i legami troppo stretti e troppo impegnativi vengono percepiti come qualcosa volto a “ingabbiare” le persone, a reprimerle, a privarle della loro libertà. Pensare al lungo periodo è diventato qualcosa di inaudito, in un tempo e in un contesto socio-culturale che parla tanto di futuro ma che vive unicamente di presente, di attimi fuggenti. Forse Cartesio aveva una visione troppo angusta della vita e dei rapporti umani.
Se non si possono fare programmi per il futuro e se il solo pensare a qualcosa che duri nel tempo è diventato una bestemmia, perché viviamo immersi nella società liquida dove tutto è momentaneo e destinato a cambiare da un momento all’altro, c’è da sorprendersi di tanta instabilità e di tutta questa difficoltà, sperimentata da sempre più persone, nel costruire dei legami forti e duraturi? Si accusano il capitalismo e la sua etica individualista di aver posto le basi della società liquida: i rapporti, concepiti come dei contratti, hanno la durata che le parti intendono attribuire loro in virtù della soddisfazione e dell’utilità che riescono a ricavarne. Quando il “contratto sentimentale” non soddisfa più una o entrambe le parti, queste hanno il diritto di recedere. Il capitalismo, quindi, avrebbe reso i rapporti più egoistici e, di conseguenza, meno stabili. Ciononostante, furono i socialisti delle origini i primi a criticare questo genere di rapporti, a inquadrarli nell’ambito delle “sovrastrutture” borghesi del sistema capitalista. Nondimeno, furono i loro eredi diretti, quelli che negli anni Sessanta e Settanta videro nelle relazioni stabili e monogame la “gabbia” in cui il moralismo borghese voleva costringere la spontaneità dei sentimenti e del desiderio.
Delle due l’una, quindi: o la società liquida è un prodotto del capitalismo – ma a questo punto la critica socialista e sessantottina perde ogni significato e non si capisce come mai la società sia diventata liquida nel momento in cui i tradizionali valori borghesi hanno iniziato a perdere terreno e a essere sempre meno influenti – o è un prodotto di quell’anticapitalismo pragmatico che ha scelto di scendere a patti col sistema per scardinarlo dall’interno o per vie traverse. Come insegnava Alexis de Tocqueville, l’egoismo, ossia la chiusura dell’individuo in sé stesso, è uno dei peggiori nemici della libertà. Non sono le relazioni, gli impegni e i vincoli che privano le persone della loro libertà, ma la mancanza di essi. È nella relazione con l’altro, infatti, che ciascuno di noi esercita concretamente e positivamente la propria libertà, facendo in modo che essa sia la base per costruire qualcosa e per soddisfare bisogni e aspettative dei singoli.
Pensare che noi si abbia la libertà di relazionarci con gli altri solo per costruire storielle di qualche settimana, per stabilire delle relazioni incentrate unicamente sul sesso o per dare vita a storie complicate caratterizzate dall’incertezza e dal famoso “tira e molla”, è come pensare che la libertà economica esista solo per cambiare lavoro ogni due settimane, per avviare attività che poi andremo a chiudere dopo un po’ di tempo o nelle quali non profonderemo alcun impegno dando per scontato che sarà un fallimento in ogni caso. Questa pseudo-libertà è l’antitesi della libertà capitalista e borghese. Questa è la finta libertà dei socialisti volta a isolare l’individuo, a distruggere le sue speranze, i suoi sogni e le sue aspettative, a renderlo un numero, un membro della massa informe e belante che per il potere sarà infinitamente più facile da manipolare e controllare. La libertà capitalista è quella dell’homo faber, una libertà che crea, stabilisce e ordina. La pseudo-libertà socialista produce il caos e l’incertezza.
Il senso profondo della critica di Tocqueville all’egoismo come nemico della libertà è questo: quando non ci si impegna abbastanza nel dare vita a legami e relazioni stabili e significative si finisce per restare soli e per perdere la propria libertà, la possibilità di esercitarla concretamente e di difenderla dai suoi nemici. La mentalità socialista – nelle sue varie sfumature – ha liquefatto i legami sociali in nome della falsa libertà. Una falsa libertà che la massa ha avuto la sventura di recepire e dalla quale si è lasciata lobotomizzare. Si pensa di essere più liberi solo perché si cambia partner a cadenza settimanale – magari deridendo chi invece porta avanti una relazione con abnegazione – e non ci si rende conto del fatto che la libertà serve a costruire, a evolvere, a migliorare: una libertà che non crea nulla, che non responsabilizza e non aiuta l’individuo a crescere, è la negazione della libertà ed è spesso il preludio a nuove e più crudeli forme di schiavitù, di cui la massima espressione è probabilmente il nuovo prototipo umano privo di radici, identità e legami e, per questo, infinitamente malleabile, capace di assumere ogni forma che il potere vorrà attribuirgli.
di Gabriele Minotti