sabato 4 marzo 2023
La disabilità in senso lato può riguardare tutti, anche chi non fruisce di apposite leggi, in virtù di una visione aperta di abilismo plurimo e differenziato, non esclusivo, non unidirezionale, mai aprioristicamente escludente. Il poli-abilismo non ghettizza, non rinchiude in torri categoriche le persone per classi di soggetti definite da forbici eteronome e fisse. Il poli-abilismo presuppone che una disabilità sia accompagnata eventualmente dal riconoscimento di tante altre abilità, o da abilità manifestate in modo divergente rispetto a quelle dei più. Il poli-abilismo se non rende tutti disabili in qualcosa, almeno rende tutti uguali nelle diversità. All’insegna di questa visione che potrebbe edificare ponti verso nuove libertà, e non barriere o prigioni sociali, è possibile leggere con maggiore sensibilità la normativa sui diritti dei cosiddetti disabili, nella Legge 104 del 1992. Nella legge 104 il legislatore ha utilizzato più volte l’espressione “persone handicappate”. Sfogliando le pagine di un buon dizionario, in relazione al termine “handicappato” è possibile leggere l’espressione definitoria “persona affetta da handicap”. Accanto al termine “handicap” si legge quanto segue: “condizione di svantaggio, d’inferiorità nei confronti degli altri”, ed anche “incapacità di provvedere a sé, interamente o parzialmente, alle normali necessità della vita individuale e sociale, determinata da una deficienza, congenita o acquisita, fisica o psichica, e da una conseguente incapacità a livello della persona, che comporta conseguenze individuali, familiari e sociali”. In una accezione tipicamente sportiva del termine “handicap”, è possibile leggere quanto segue: “competizione in cui, per equiparare le possibilità di vittoria, si assegna uno svantaggio al concorrente ritenuto superiore o un vantaggio a quello ritenuto inferiore mediante aumenti di punteggio, di peso, di colpi, abbuoni di distanza e simili”. Lo sport, come spesso accade, riporta i concetti alla dimensione più plastica ed immediata. Nella accezione tipicamente sportiva del termine in questione, l’handicap è connotato da un sistema di riequilibrio che corrisponde ad un sistema di regole convenzionali. Anche il linguaggio basato sul binomio inferiorità-superiorità è marcatamente relativo al sistema convenzionale di prestazioni specifiche, di carattere sportivo, di volta in volta considerate.
La normalità delle esigenze, a cui fa riferimento una delle altre definizioni sopra riportate, può essere riportata – anch’essa – su un piano convenzionale, attraverso una sua relativizzazione poli-abilista. L’impianto normativo della Legge 104 è strutturato su una parte introduttiva e generale, seguita da una serie di previsioni che tracciano le aree oggetto di disciplina. In particolare, agli articoli 6 e 7 viene stabilito infatti che a favore dell’handicappato siano disposti interventi di prevenzione, cura e riabilitazione. L’articolo 8 si occupa del processo di integrazione sociale. Al raggiungimento di questi risultati si possono agganciare le diverse previsioni normative presenti nella legge, intese ad assicurare all’handicappato il diritto all’educazione ed alla istruzione ai sensi degli articoli 12 e seguenti, o alla formazione professionale ai sensi dell’articolo 17, all’inserimento lavorativo agli articoli 18 e 33. L’articolo 23 la Legge n. 104/92 si occupa del diritto alle attività sportive, turistiche e ricreative, gli articoli 24 e seguenti si occupano del diritto alla mobilità; l’articolo 29, più specificamente, del diritto politico di voto. Nella legge sono poi presenti alcune previsioni di agevolazione fiscale. Sul piano penale sono previste circostanze aggravanti di pena per i reati, nei casi in cui questi offendano la persona handicappata (articolo 36). L’articolo 37 invece demanda a specifici decreti la regolamentazione delle modalità di tutela del portatore di handicap, destinatario di un trattamento statale all’interno dei locali di sicurezza, nei luoghi di custodia preventiva e di espiazione della pena. Tutto l’impianto normativo rappresenta una declinazione della finalità di umanizzazione della vita associata nella quale la persona handicappata svolge e realizza la propria personalità. Gli strumenti di tutela apprestati da questo settore specialistico dell’ordinamento giuridico, così, divengono dei mezzi, degli strumenti utili a rendere effettivi i valori libertà, autodeterminazione, parità, dignità per i diversamente abili. In dottrina è stato rilevato che in alcuni casi la legge provvede con precise determinazioni, in altri il tenore della normativa è “tutt’altro che prescrittivo: orientandosi (il testo delle disposizioni), in più di un’occasione, a formulare previsioni (ancora) di carattere generale in ordine alle specie di attività da attuare da parte delle singole autorità per (cercare di) raggiungere le finalità della legge”. A tal proposito è stato quindi rilevato come lo stesso lessico, utilizzato dal legislatore, almeno in alcuni passaggi esprime lo spirito “programmatico” della legge. Precettive o programmatiche che siano state le disposizioni normative di cui alla Legge 104, gli anni ‘90 del secolo scorso hanno rappresentato, sul piano sistematico, una primavera dei diritti civili e sociali per le persone diversamente abili.
Molto recentemente una parte della dottrina ha sostenuto che durante gli anni ‘90, sul piano delle impostazioni giuridiche internazionali prima e successivamente nazionali, si è passati da un modello medico ad un modello sociale di disabilità. È stato infatti ritenuto che a partire da quegli anni il modello sociale si è affermato come predominante, nel panorama internazionale, tanto da influenzare gli interventi dei legislatori e della politica in materia. Era stata abbandonata la visione assistenzialistica, per la quale le persone disabili erano escluse da ogni processo decisionale, e si faceva strada l’idea secondo cui solo attraverso la partecipazione politica attiva di tutti i cittadini, comprese le persone disabili, sia possibile garantire la trasformazione della società in senso inclusivo. La visione da ultimo menzionata, ancora in corso di realizzazione e sviluppo in questi primi anni Venti del nuovo millennio, ha rappresentato una via per democratizzare e rendere più inclusivi gli stessi spazi deliberativi, con un conseguente miglioramento di tutta la civiltà occidentale e mediterranea. Quando i diritti delle minoranze, o comunque delle individualità tutte, vengono edificati anche dagli stessi interessati, tutta la società avanza e progredisce come società policentrica, fondata sul miglior benessere degli individui. Nel processo di politicizzazione rappresentativa dei diversamente abili, all’interno degli spazi istituzionali dove si decide sulla legalizzazione delle loro speranze, il “loro” diventa un comune “noi”. Così le democrazie liberali classiche, basate sulla forza dell’individuo possidente, diventano democrazie libertarie, sempre più ad immagine e somiglianza delle esigenze eterogenee dei cittadini. La dottrina ha sostenuto che l’affermazione del modello sociale di disabilità ha contribuito in maniera essenziale al processo di riconoscimento e di tutela dei diritti delle persone con disabilità. Questo processo ha rappresentato la base ideologica per l’emersione di una nuova nozione di disabilità. È stato infatti osservato come in pochi decenni si è passati dall’assenza di qualsiasi tutela dei diritti dei disabili, spesso considerati quali non titolari di diritto in senso stretto, all’affermazione dei diritti umani, espressamente sanciti dalla Convenzione sui diritti delle persone con disabilità nel 2006.
La saggezza di chi studia i processi storici attraverso le fonti storiografiche, in dottrina, ci riporta al pettine alcuni nodi che le società devono riconoscere e fronteggiare, per evolvere realisticamente il concetto di disabilità, ed anzitutto le condizioni di vita dei diversamente abili. Attenti studi sulla storia della disabilità osservano la sua evoluzione dai tempi in cui essa era vista come “castigo degli dèi” ai tempi della “crisi del Welfare”. Una interpretazione delle disposizioni normative presenti nella Legge 104 non avrebbe i caratteri della sistematicità, se non facesse dialogare intersezionalmente i prospetti giuridici oggetto di tutela. Così i profili politici, quelli civili, quelli sanitari e formativi devono essere letti in una visione integrata con i diritti sociali, economici e professionali dei cosiddetti disabili. Come è stato autorevolmente sostenuto in dottrina, nel testo dell’articolo 1 della legge anzidetta, l’affermazione dei diritti di libertà e di autonomia, oltre che di dignità umana, “è collegata al riconoscimento dei diritti sociali di integrazione dell’handicappato”.
Come già la dottrina di Panunzio, quella di Rodotà, di Cafaggi e Galloni negli anni ‘80, la visione di Paolo Cendon durante gli anni ‘90, era volta a valorizzare il principio di eguaglianza sostanziale di cui al secondo comma dell’articolo 3 della Carta costituzionale, in tema di rapporto fra l’handicap ed il diritto. La dottrina del professor Paolo Cendon, oggi, prospetta ulteriori chiavi di lettura ed ulteriori spunti riformisti, in tema di protezione piena delle persone disabili. Il compito della Repubblica italiana di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e – più ampiamente – sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della personalità e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori alla organizzazione economica e sociale del Paese, è stato inquadrato come un compito comprensivo della tutela, della promozione dei soggetti socialmente “deboli” e, in questo senso, dei “diversi”.
All’interno della Legge 104 il legislatore, nell’indicare gli aventi diritto alle tutela, non ha mancato di fornire una definizione di persona handicappata. Se già a livello internazionale ed anche interno-regionale una definizione era presente, a livello nazionale un legislatore che precisa chi è handicappato ha sicuramente avuto l’esigenza tecnica di farlo, anzitutto ai fini applicativi e di certezza del diritto nella sua fruibilità. La Legge quadro del ‘92, la n. 104, si focalizza sul riscontro di una menomazione comportante disabilità, la quale si traduce in handicap. In dottrina è stato sottolineato come per la Legge 104 il rapporto tra menomazione e handicap non è immediato e scontato. Il soggetto che versi in uno stato di menomazione o che abbia comunque subito una lesione a seguito di un evento morboso, così, non va ritenuto per ciò stesso affetto da handicap. Quest’ultimo deriverà eventualmente dalle difficoltà di vario genere che il menomato si troverà ad affrontare, nel corso della propria esistenza. Sempre in un’ottica costituzionalizzata, una parte della dottrina civilistica ha osservato che la lettura più attenta dell’articolo 2 della Costituzione (sul principio di solidarietà sociale, sui diritti inviolabili e sui doveri inderogabili) permette di privilegiare la libertà della persona. In particolare è stato sostenuto che l’articolo anzidetto privilegerebbe la tesi del riconoscimento della possibilità per tutti di compiere i negozi della vita quotidiana, così come tutti quegli atti negoziali attraverso i quali si estrinsecano le libertà fondamentali della persona, salve le interferenze dei genitori o del tutore, se motivate, nonché il diritto a prestare il proprio consenso informato ad interventi sanitari, anche invasivi.
La definizione giuridica di persona handicappata è tenuta ben distinta dalla definizione normativa di incapace di agire. Non tutti gli incapaci di agire sono handicappati, e non tutti gli handicappati sono incapaci di agire. Le aree dei due insiemi soggettivi possono eventualmente incontrarsi, nei singoli casi da accertare volta per volta. È quindi importante che lo stigma sociale che spesso e purtroppo di fatto deriva dalla incapacità d’agire non divenga l’alter ego per antonomasia della disabilità, nel senso comune delle situazioni di vita. Su questo profilo si dovrà ancora molto lavorare, a livello di consapevolezza da parte dei cosiddetti disabili e non disabili, con il fine di non creare confusioni poco evolutive. La realizzabilità delle finalità della Legge 104 e dalle altre disposizioni normative ordinarie, così come di quelle costituzionali, passa inevitabilmente dal grado d’interiorizzazione e di consapevolezza culturale che i più hanno circa le eterogenee realtà delle esistenze handicappate. Queste ultime dovrebbero essere non soltanto oggetto di protezione, bensì artefici di ogni politica legislativa in materia di abilità e diversità, nel divenire giuridico delle forme materiali di tutela. La dottrina storica ha rilevato che nel sistema dello Stato sociale allo sviluppo di maggiori attenzioni verso la disabilità, nonché verso la partecipazione ed il contrasto delle discriminazioni, hanno contribuito in modo decisivo anche le associazioni dei diretti interessati e dei loro familiari. Questo passaggio alla dimensione collettiva, malgrado le sue frammentazioni, ha rappresentato un importante elemento di novità, anche perché questo movimento è stato salutato come estraneo alle tradizionali logiche di schieramento partitico, oggi in crisi.
Anche se viva, una monade, restando tale nel proprio solipsismo, inevitabilmente decresce. L’esistenza handicappata è stata a lungo relegata ai margini della dimensione sociale. Quest’ultima è quasi sempre stata concepita come troppo veloce per chi ha tempi cognitivi e motorei differenti, prolungati, meno frenetici. Eppure nella corporeità a geometrie e velocità variabili si apprendono e si comprendono sfumature che non potrebbero essere sperimentate altrimenti. L’esperienza delle plurime e divergenti forme di abilità, in una rinnovata consapevolezza oltre ogni assolutismo abilista, è una esperienza che non può che arricchire la società. La società pertanto non solo avrebbe il dovere morale di valorizzare con peculiari attenzioni e strumenti le abilità più lente, ma sicuramente ha una ricchezza intellettiva ed empirica da acquisire, nel momento in cui appresta tutti gli strumenti utili ad accogliere le morfologie corporee e le tempistiche di tutti. Se l’umanità ha come attributo concreto e non soltanto potenziale la socialità, con la Legge 104 quella socialità diviene più accogliente ed omnicomprensiva, inclusiva e non esclusivista.
Autorevole dottrina civilistica, ad orientamento progressista attento alle plurime dimensioni delle persone fragili, all’interno dell’articolato di cui alla Legge 104 ha valorizzato il primo comma dell’articolo 7. È stato infatti osservato come esso, per la cura e la riabilitazione della persona handicappata, preveda la realizzazione di programmi con prestazioni sanitarie e sociali integrate fra loro. Viene sottolineato che questi programmi a prestazioni integrate hanno la finalità di agire sulla globalità della situazione di handicap, coinvolgendo specificamente anche la famiglia e la comunità, affinché il soggetto interessato realizzi la rimozione delle complicazioni e degli ostacoli incontrati.
Il legislatore italiano con la Legge n. 104 del 1992 ha aderito ad un modello definitorio di handicap, secondo una parte degli studiosi, più vicino alle espressioni presenti negli “Standard Rules on the Equalization of Opportunities for Persons with Disabilities”, approvati dalla Assemblea generale dell’Onu. Tra i commentatori non sono mancate alcune critiche, soprattutto tra chi avrebbe auspicato una formulazione in positivo dell’handicap. C’è infatti chi, come gli studiosi Breda e Santanera a metà anni ‘90, guardando alla circostanza che nei concorsi ippici il termine in questione indica le penalizzazioni per i cavalli favoriti per riequilibrare le prestazioni in competizione, hanno proposto di definire la persona handicappata come la persona che nel percorso della vita deve affrontare maggiori difficoltà, rispetto alla generalità degli altri soggetti, per raggiungere una certa serie di mete.
Ad essere integrato è anche il piano multilivello delle fonti del diritto, sulla materia delle disabilità. Ai sensi del primo comma dell’articolo 117 della Costituzione italiana – così come riformato dalla legge costituzionale n. 3/2001 – la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle regioni nel rispetto della carta costituzionale medesima, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento eurounionale e dagli obblighi internazionali. I prospetti giuridici transnazionali, così, rappresentano la migliore nuova frontiera per non avere frontiera nella fruizione delle opportune tutele. Questo assetto giuridico integrato ha il fine di garantire protezione a tutti i diversamente abili, nella loro libertà di movimento transcontinentale. In dottrina è stato osservato come le Nazioni Unite hanno iniziato ad occuparsi dei diritti dei cosiddetti disabili nell’ambito del loro sistema di tutela dei diritti umani solo in tempi recenti. Malgrado l’Oil, l’Unesco, l’Unicef e l’Oms si siano impegnate su questi temi dai primi tempi delle loro attività istituzionali, la disabilità è stata per decenni trascurata in una questione di Welfare, piuttosto che di tutela dei diritti essenzialmente umani, per le persone disabili.
Gli strumenti ermeneutici da utilizzare ed implementare sull’articolato di cui alla Legge 104, in questa direzione ordinamentale integrata e multilivello, non possono evolversi se non tengono conto di quella che sui piani sovranazionale ed internazionale è stata definita la “disability policy”. Seppur con i limiti che ogni dettato normativo può presentare appena entra in vigore, per le esigenze di costante aggiornamento all’insegna delle sempre mobili esigenze, e per via dei tanti studi evolutivi che sopravvengono dalle scienze umanistiche di riferimento, dalla psicologia alla psichiatria, dalla antropologia alla sociologia, la Legge 104 ha sintetizzato un metodo olistico di trattamento ordinamentale delle persone fragili, ed in particolare dei diversamente abili. È stato infatti evidenziato che la legge in questione ha inteso promuovere una stretta connessione tra la fase sanitaria, legata all’attività, e la fase concernente il mantenimento o l’inserimento nella dimensione sociale, in favore della persona handicappata. A tale proposito, l’articolo 5 della Legge n. 104/92 garantisce al contempo l’intervento tempestivo dei servizi terapeutici e riabilitativi, da un lato, ed il mantenimento della persona handicappata nell’ambiente familiare e sociale, dall’altro lato, oltre alla sua integrazione e partecipazione alla vita associata. Per quel che concerne la socializzazione e il piano di inserimento ed integrazione sociale, l’articolo 8 ha prefigurato interventi di carattere socio-psicologico, di assistenza sociale, sanitaria a domicilio, nonché di aiuto domestico. Viene inoltre assicurata alla famiglia della persona handicappata una informazione di carattere socio-sanitario con il fine di facilitare la comprensione degli eventi, anche in relazione alle finalità di recupero e d’integrazione in società del diretto interessato. L’articolo 8 presuppone e promuove una cultura della collaborazione da parte delle famiglie dei disabili, ma anche una cultura dell’aiuto delle famiglie stesse, assicurando ad esse un adeguato sostegno psicologico e psicopedagogico, strumentale e tecnico.
di Luigi Trisolino