sabato 4 marzo 2023
Bisognerebbe riavvolgere il nastro. E non fermarsi alla traccia che porta il nome di Pandemia. Sì, quel passaggio probabilmente ha acuito alcune situazioni, ma il malessere – secondo i dati degli esperti – ha avuto un’accelerazione almeno negli ultimi dieci anni. “Uno si dichiara indipendente e se ne va, uno si raccoglie nella propria intimità, l’ultimo proclama una totale estraneità”: è la depressione “caspica” in cui i nostri giovani sono intrappolati. E parliamo di una generazione dove convivono ansia, problemi psichici, disturbi alimentari, criticità legate alla sfera sessuale. La vita come labirinto, gli antidepressivi e le ricette mediche come via di fuga. E quella domanda “fuga ok, ma da cosa?”, mentre il suicidio è la seconda causa di morte nell’adolescenza.
Non bisogna avere paura di parlare dei fenomeni depressivi: è questo il senso di una lettera apparsa su Repubblica e firmata da Emi Bondi, presidente della Società italiana di psichiatria (Sip). Una lettera scritta dopo che una ragazza si è tolta la vita nei bagni dell’Università Iulm, a Milano. La dottoressa Bondi, in seguito, interpellata da Sanità Informazione fa un attimo il punto della situazione: la depressione, spiega, è una delle principali cause di comportamenti autolesivi nei giovani. E i motivi sono diversi: gli adolescenti agiscono d’impulso, tra rabbia, frustrazione, disperazione.
Per Emi Bondi, inoltre, sussistono dei campanelli d’allarme. E un gesto estremo, comunque, prende forma da un malessere radicato. Pertanto, sottolinea il presidente della Società italiana di psichiatria, è importante “prestare attenzione agli stili di vita dei nostri ragazzi, alle ore di sonno, all’isolamento (troppe ore al computer o senza stare in compagnia di coetanei ed amici), e a tutti i cambiamenti nel carattere o nelle modalità di espressione: un ragazzo che diventa taciturno, scontroso, insonne, isolato, che non vuole più uscire o fare sport, sta lanciando un Sos che non è sempre e solo ascrivibile alla caratteristica difficoltà del periodo adolescenziale. Insomma, è vero che non bisogna drammatizzare, ma neanche sottovalutare o banalizzare”. E, soprattutto, non bisogna avere paura di chiedere aiuto.
Allo stesso tempo, puntualizza la dottoressa Bondi, bisogna pure tenere conto del contesto. Quindi abbiamo il lockdown del periodo del Covid, la riduzione dei rapporti sociali, l’isolamento e la solitudine. Inoltre, “siamo immersi in una società estremamente competitiva, ma al tempo stesso insicura e incerta. Le nuove generazioni sono le prime nella storia a non avere un’aspettativa di miglior tenore di vita rispetto a quello dei propri genitori. Il futuro è estremamente precario, non solo dal punto di vista lavorativo, ma in generale sulla sicurezza”. Non solo: “In passato le reti relazionali e affettive erano maggiormente sviluppate, le famiglie erano più allargate e stabili, i ragazzi avevano sempre figure di riferimento oltre ai genitori. Oggi le famiglie sono sempre più isolate, spesso sono monogenitoriali, di conseguenza anche i figli sono più soli”.
Il tema è complesso. E affrontarlo ha bisogno di armi, che spesso non ci sono. In tal senso, l’inchiesta di Panorama a firma Terry Marocco offre un quadro dettagliato della fotografia scattata nel nostro Paese. Un’istantanea che è, per certi versi, in bianco e nero. Stefano Benzoni, neuropsichiatra infantile, consulente per la Fondazione Irccs Ospedale Maggiore Policlinico di Milano, ricorda che, al momento, in Italia un terzo dei ragazzini che ha dei bisogni neuropsichici riesce a trovare delle risposte nel servizio pubblico. Il resto, giocoforza, deve dirottare nel privato. Il fatto è che le liste di attesa diventano chilometriche. Per dare un’idea, ricorda Benzoni, in Lombardia ci sono 10mila adolescenti che necessitano di un ricovero specialistico: la metà lo trova, l’altra fetta si ritrova catapultata “in strutture non adeguate”.
Mancanza di una visione globale, progettualità a parole, zone senza un reparto ad hoc. Come confessa Erminia Mannarino, neuropsichiatra infantile all’Asp di Cosenza: “Non possiamo ricoverare i nostri ragazzi. Prima della pandemia venivano mandati al di fuori della Calabria. Dopo, con l’aumento drammatico delle richieste, i tempi di attesa sono diventati infiniti. Così, siamo costretti a curarli in ambulatorio. E questo comporta pesanti responsabilità. Non abbiamo nemmeno strutture residenziali terapeutiche. Cerchiamo di fare il nostro meglio con gli strumenti che abbiamo”. Addirittura “la macchina per fare l’elettroencefalogramma è ancora rotta da prima della pandemia”.
Un calvario, una “psichiatrizzazione di ritorno”, con comunità terapeutiche sature – incalza Benzoni – richieste che raddoppiano rispetto ai posti realmente disponibili. Ricoveri che aumentano, così come crescono durata e allontanamenti dalle famiglie. Senza dimenticare tutto il resto del calderone, come l’abbandono scolastico, l’aumento del disturbo della condotta alimentare, l’autolesionismo (la cicatrice francese come ultima follia sui social network). Secondo Dario Calderoni, neuropsichiatra infantile al Policlinico Umberto I di Roma, in un anno compaiono ragazzi, “anche bambini di 10 anni”, che hanno alle spalle anche quattro ricoveri: “Prima del Covid l’aumento era del 15 per cento l’anno. Dopo siamo arrivati al 30-40 per cento di crescita costante. Bisogna ripensare alle politiche della salute mentale nell’adolescenza”.
Infine, ci sono i social. Lo scorso ottobre Elena Bozzola, consigliere nazionale Sip, rimarca: “La depressione è collegata a un rapido aumento della comunicazione digitale e degli spazi virtuali che sostituiscono il contatto faccia a faccia con uso eccessivo dello smartphone e delle chat online. Bambini e adolescenti navigano in Internet per lo più da soli, consultando con assiduità i social media. Primi tra tutti, Instagram, TikTok e YouTube. Con inevitabili conseguenze sulla loro vita: dalle interazioni sociali ed interpersonali al benessere fisico e psicosociale”. E Alfio Maggiolini, direttore della scuola di Psicoterapia psicoanalitica del Minotauro, nonché autore di Pieni di Rabbia (Franco Angeli, 154 pagine, 22 euro) sempre su Panorama racconta i giovani d’oggi: “Manifestano disagi attraverso comportamenti oppositivi, trasgressivi, aggressivi. Chi non ha una famiglia solida, con risorse alle spalle, ma è annegato nelle problematiche familiari, subisce effetti deflagranti. Hanno risentito della crisi economica, il disagio sociale è alla base di questa nuova rabbia”.
Strutture al collasso, ricchi e poveri, domande senza risposta. E, in lontananza ma non troppo, la stessa melodia: “Uno si dichiara indipendente e se ne va, uno si raccoglie nella propria intimità, l’ultimo proclama una totale estraneità”.
di Claudio Bellumori