Non tradire la specie

sabato 4 febbraio 2023


Questioni problematiche del nostro momento, la questione delle aristocrazie o delle élite che dir si voglia, un gruppo traente che riesce a coinvolgere a fini supremi. È il punto nevralgico della nostra epoca, le aristocrazie odierne si sono adeguate al pubblico più che al popolo con i mezzi di comunicazione di massa i quali hanno enormemente favorito lo scivolamento. Spesso ciò che vale scarsamente ma che acquista valore diffuso, per la potenza del mezzo diffusivo rovina la qualità di ciò che vale ma non è diffuso. Potrebbe esserci una diffusione di massa di creazioni qualitative? Il mezzo di comunicazione deve necessariamente, essendo idoneo a diffondersi al più gran numero, valorizzare la mediocrità o al contrario può suscitare interesse nelle masse, renderle complici positive, formative della cultura superiore? Se permettiamo ai mezzi di diffusione di massa discussione, visione di un eccellente pittore, poeta, narratore, filosofo, in programmi per le masse, appunto, potrebbe elevarsi il livello o le masse respingerebbero l’ascolto e la visione. Un tentativo che non si è mai fatto sistematicamente, credo, bisognerebbe fare. Il cambiamento politico ha senso se ricostituisce l’élite. Élite, aristocrazie, valorizzazione dell’individuo, disuguaglianza di valore, non livellamento paritario come se eccellere fosse un voler dominare mentre di solito proviene dalla volontà di non soccombere all’insoddisfazione e volontà di più e meglio fare per stimarsi, irraggiungibilmente. Bisogna tentare a ogni livello di esaltare la qualità.

Discutere sulla qualità, che sia “qualità” mi sembra improprio, una società che ha perso l’idea della qualità, una società che discute sulla qualità, non è più civiltà. La civiltà si vive quando la qualità, il sentire la qualità è sentire diffuso, interiorizzato, sicuro. La qualità non si discute, è intuitiva, non che non vi sia da discutere, ma purché si abbia il senso della qualità. Significa: posso discutere a paragonare Giotto e Piero della Francesca, appunto: Giotto e Piero della Francesca, ma se li confronto dubitosamente a pittori minori, ecco la rovina: quando non si tiene fermo il livello. Vi sono dei tratti assoluti, ripeto, costitutivi delle civiltà, se queste agglomerazioni valutative sviliscono e si rendono indeterminate nel livello, la civiltà annega. Le grandi civiltà non dubitano di se stesse, e perfino quando dubitano non dubitano che dubitare sia la scelta più valida. I greci scettici si ritenevano comunque i maggiori filosofi, sebbene scettici, e lo erano, al punto che, insieme agli stoici e agli epicurei si imposero a Roma.

Intendiamoci, tutto va motivato, giustificato, anche la percezione immediata, ma se dubitiamo di avere un criterio qualitativo si mette in dubbio la civiltà, se si mette in dubbio la civiltà, la società non ha ragione di esistere, costituisce un falansterio quantitativo di soggetti privati della volontà di eccellere anzi accontentati di essere uguali e di tagliare la testa a chi cerca di sostenersi e soprattutto valorizzatori del non valore. Quest’ultimo è il fenomeno esemplare del nostro tempo. E i mezzi di comunicazione di massa favoriscono clamorosamente questa metamorfosi. La diffusione costituisce il nuovo criterio valutativo. Invece della qualità la diffusione (in passato recente non estinto la qualità perveniva dalla ideologia). L’ammirazione verso ciò che è diffuso sostituisce l’ammirazione verso ciò che vale. Ciò che è diffuso può valere ma non perché diffuso, in quanto vale in sé. Sostanziale avere il coraggio di stimare anche quel che è scarsamente conosciuto e riconosciuto.

Il coraggio della libertà, come possesso individuale e individualizzante. Il saper cogliere in prima persona non per imitazione o suggestione o per tremore di una opinione soggettiva o per circonvenzione dei mezzi di comunicazione. Vi è una sterminata sarabanda di personalità da ammirare. Ammirare è trasfigurativo, una elevazione dello spirito di chi ammira in chi viene ammirato. È stato detto che il compito della società con riguardo alla scuola sta nell’indurre all’ammirazione del genio. Assolutamente. Il “genio” dà senso, valore all’umanità, è socialissimo quando pure vive da eremita, generosissimo quand’anche opera per il suo sentire, lascia all’intera umanità di prendere da lui quanto fornisce ragion d’essere alla vita: bellezza, cognizione, ossia amore, giacché è l’amore che scatena conoscenza e bellezza, e anche amore del prossimo, di chi sente l’amore e lo corrisponde. Una favola? Sì. Reale, realizzabile. Basta leggere, guardare, ascoltare, respirare, toccare, basta vivere, che non è esistere, vivere è coscienza di esistere e sensazione dell’esistenza in ogni sensazione di ciascun senso. Questa è la civiltà. Dobbiamo recuperare valori sensitivi qualitativi. Estetici.

Ci stiamo infossando in una apatia atrofizzata senza paragone peggiore nell’insieme della storia, in tale aspetto: le epoche più scadenti mantennero aristocrazie e le masse non avevano potere e mezzi per sormontarle e le aristocrazie non si abbassavano, tutt’altro. Oggi le masse detengono mezzi idonei a imporre la loro “cultura”, esattamente: i padroni dei mezzi di comunicazione pur di avere consumatori, pubblico, li assecondano. Questa coniugazione di padroni dei mezzi di comunicazione e masse fruenti è la cerimonia di requiem alla civiltà. E non soltanto nell’arte e nella cultura ma nel vivere associato. Il campo del lavoro, nel campo della demografia, nel campo alimentare, conquista della civiltà, sapori grandiosi, sapori, assaporare i sapori, una delle incarnazioni della sensibilità dell’uomo, uomo per questo, è sensibile alla varietà dei sapori, li associa musicalmente, secoli per una combinatoria che si stabilizza per secoli, questo è l’uomo, essere animato cosciente e sensibile. E invece si cerca di scardinare il sapore e rendere il non sapore, l’insapore un valore universale, del resto questa indifferenziazione è generalizzata, si prepara un’entità né uomo né donna, un terzo genere asessuato, bisessuato in uno, dio sa che, e la disoggettivazione umana si spinge nel Metaverso che stravolge spazio e tempo e ci si colloca nell’irreale, spaesandoci, l’Intelligenza artificiale ci sostituisce addirittura la mente, il robot il lavoro: confusione e alterazione! Le invenzioni odierne pur nella loro stupefacente caratterizzazione sono distruttive dell’individualità. Aggiungo l’immigrazione che non accetta la cultura della nazione dove si pone.

L’universalismo generico della merce valida per tutti e uguale dappertutto nei mercati sopprime ogni differenza, ogni scelta, ogni rifiuto. Occorre rigenerare e restare fedeli alla natura, nell’alimentazione, nella sessualità (altro è l’omosessualità altro l’eliminazione di ogni identità naturale), nell’idea del tempo, che deve restare lineare, dello spazio, che deve essere nel presente concreto, della tradizione nazionale, nella differenza disuguagliante individuo per individuo, nell’ammirazione per l’eccellenza e la conferma sulla importanza dell’eccellenza, e nel rendere l’arte, la conoscenza valori estremi, con l’amore. La capacità dei laboratori non deve sottoporre tutto all’elaborazione laboratoriale. Un pugno di uomini spietatissimi potrebbe rifare l’uomo a sua determinazione di una neo-schiavitù artificiale dove nessun criterio di qualità regge e un individuo de-individualizzato pascola e bela a comando. Ciò è possibile, e sarà iperpossibile. L’uomo è condizionabile radicalmente, e lo sarà radicalmente. A meno che non insorga una aristocrazia dello spirito che resta fedele non passivamente alla civiltà umanistica, bellezza, conoscenza, amore. Insomma, riastocratizzare la società, distruggendo, se possibile, l’unione padroni dei mezzi di comunicazione/masse, coniugazione che annienta, rende invisibile o secondario quanto di meglio fa l’uomo ma che non viene diffuso. Bisogna reagire nettamente. Si sta colpendo l’individualità sia come individuo individuale, sia come individualità nazionale, sia come soggetto naturale, in ogni campo, suscitando entità generiche, prive del sapore alimentare, sessuale, artistico, un uomo merce, insapore. I laboratori sono entrati nell’uomo, e lo ricostruiscono, lo sostituiscono. Sostituiscono la totalità della vita.

Inutile illudersi, e non dobbiamo fingere, dannosissimo, ci precipitiamo nella laboratorializzazione della vita, non solo dell’umanità. A scopi di dominio. O persino di estinzione di gran parte dell’umanità. Bisogna impedire questa società o allungare i tempi dell’affermazione della subumanità antiumana. Poi, certo, le conquiste genetiche, le conquiste del controllo sociale attraverso applicazione di microrganismi alla mente e al corpo, il passaggio di cellule dagli animali agli uomini, tra animali eccetera, i mezzi tecnici dentro l’uomo regaleranno grandi effetti da voltastomaco.

Tuttavia, se riusciamo a mantenere una coorte di uomini che sono renitenti ai laboratori degenerativi non sarà facile alterare l’uomo e la natura. Fondamentale: sapere contro chi e cosa combattiamo: combattiamo la negazione della libertà di essere uomini naturali sorretti da una scienza che li sostiene e non li rinnega. La libertà occupa un ulteriore territorio: essere liberi di restare uomini, individui, naturali, sensibili, esteti, innamorati della vita. La vita, non un meccanismo caricato dagli altri. Per questo è indispensabile una aristocrazia dello spirito, appunto per fronteggiare fini disumanistici e per tentare di volgere a scopi umanistici scienza e tecnica, che pretendono di dominare esclusivamente, al servizio di uomini traditori della specie.


di Antonio Saccà