Messina Denaro, Sava: “Abbiamo vinto la battaglia, non la guerra”

mercoledì 25 gennaio 2023


Una pagina di storia del nostro Paese. Lia Sava non ha dubbi. In un’intervista alla Gazzetta del Mezzogiorno la procuratrice generale di Palermo sostiene: “Però la storia non inizia e non finisce il 16 gennaio 2023. Per noi la cattura di Matteo Messina Denaro è stato un momento molto importante perché con lui si chiude il filo degli stragisti”. Ricorda Sava: “Nel 2016, proprio mentre io ero a Caltanissetta come procuratore facente funzioni, insieme col collega Gabriele Paci, abbiamo fatto prima la misura cautelare, poi la richiesta di rinvio a giudizio per Matteo Messina Denaro per le stragi di Capaci e via D’Amelio. Lui è stato condannato in primo grado, ma in contumacia. Ora il giudizio è in appello ed è parte processuale, lo Stato sa dov’è e già questo, anche solo sul piano simbolico, è importante”.

Matteo Messina Denaro “è responsabile di tante cose efferate, penso all’omicidio del piccolo Di Matteo, cose per le quali è stato condannato e ora sconterà. Ma i colleghi della Procura distrettuale di Palermo non sono arrivati alla cattura d’emblée, è un lavoro iniziato tanto, tanto, tanto, tempo fa, con colleghi che si sono passati, diciamo, la staffetta nella ricerca di questo latitante”. Con la cattura di Messina Denaro, spiega Sava, “abbiamo vinto una battaglia – sottolinea – non la guerra. Adesso il rischio è che si dica la mafia non c’è più, è sconfitta. Questo farebbe il loro gioco perché non è per niente sconfitta, semplicemente ha cambiato strategia. Mentre i corleonesi avevano la strategia di attacco frontale allo Stato e lo Stato ha reagito in modo esemplare sconfiggendo l’ala corleonese, ora la mafia è sommersa e fa i suoi affari. Quindi – ribadisce la procuratrice generale di Palermo – noi dobbiamo affinare sempre più gli strumenti investigativi per fare in modo che non vinca”.

Intanto, il boss Matteo Messina Denaro, arrestato lunedì dai carabinieri del Ros, ha rinunciato a comparire all’udienza preliminare nel procedimento che vide coinvolti padrini, gregari della mafia agrigentina e l’avvocata Angela Porcello. La posizione del capomafia era stata stralciata perché Messina Denaro era latitante e in questi casi la legge prevede la sospensione del procedimento. All’udienza di oggi, alla quale il boss avrebbe potuto partecipare in videoconferenza dal carcere de l’Aquila, a rappresentare l’accusa c’era il pm della Dda Claudio Camilleri.

Il processo in corso a Messina Denaro davanti al gup di Palermo, sospeso durante la sua latitanza, nasce da una indagine della Dda coordinata da Paolo Guido che portò a decine di arresti. Una tranche si è conclusa con condanne a pene comprese tra 10 mesi e vent’anni mafiosi di boss e professionisti agrigentini accusati a vario titolo di associazione mafiosa. Condannati anche un poliziotto e un agente penitenziario che rispondevano, rispettivamente, di accesso abusivo al sistema informatico e rivelazione di segreto d’ufficio. Il processo, è stato celebrato in abbreviato. L’avvocata Angela Porcello, venne condannata a 15 anni e 4 mesi per associazione mafiosa. Secondo quanto ricostruito dai pm per due anni, nell’ufficio della penalista si sarebbero tenuti summit tra i vertici delle cosche agrigentine. Rassicurati dall’avvocato, i capi dei mandamenti di Canicattì, della famiglia di Ravanusa, Favara e Licata, Simone Castello, ex fedelissimo del boss Bernardo Provenzano e il nuovo capo della Stidda, l’ergastolano Antonio Gallea, a cui i magistrati avevano concesso la semilibertà, si ritrovavano nello studio della Porcello per discutere di affari e vicende legate a Cosa nostra. Le centinaia di ore di intercettazione disposte nello studio penale dopo che, nel corso dell’inchiesta, i carabinieri hanno compreso la vera natura degli incontri, hanno consentito agli inquirenti di far luce sugli assetti dei clan, sulle dinamiche interne, di coglierne in diretta, dalla viva voce di mafiosi di tutta la Sicilia, storie ed evoluzioni.

Stamattina sono stati trovati gli storici Ray-Ban da sole a goccia che indossava Matteo Messina Denaro da ragazzo, una bottiglia di champagne e il libro “Facce da mafiosi”: sono le ultime scoperte fatte dai carabinieri di Trapani nel corso di una perquisizione nella casa della famiglia del capomafia, in via Alberto Mario a Castelvetrano. Si tratta dell’ultima abitazione del boss prima dell’inizio della latitanza. Lì Messina Denaro viveva con la madre. In molte foto da giovane il padrino appare con gli occhiali da sole ritrovati.

Frattanto, si è avvalso della facoltà di non rispondere Andrea Bonafede, il geometra di Campobello di Mazara che ha prestato l’identità al boss Matteo Messina denaro e che è stato arrestato lunedì con l’accusa di associazione mafiosa. Bonafede dunque ha scelto di restare in silenzio durante l’interrogatorio di garanzia davanti al gip e al pm Piero Padova. “L’ho trovato bene. Aspettiamo la conclusione delle indagini”. Lo ha detto l’avvocato Aurelio Passante, il legale di Bonafede, il geometra che ha prestato l’identità al boss Messina denaro, uscendo dal carcere palermitano di Pagliarelli in cui si è svolto l’interrogatorio di garanzia del suo assistito arrestato, lunedì, per associazione mafiosa. Bonafede, davanti al gip e al pm Piero Padova, si è avvalso della facoltà di non rispondere.


di Mino Tebaldi