venerdì 23 dicembre 2022
Ascoltare senza soluzione di continuità Forever young degli Alphaville servirebbe a poco. Quando viene oltrepassata una certa soglia anagrafica – che poi può variare a seconda dei casi, ma che convenzionalmente possiamo inquadrare nei 30 anni – tenere botta al bancone del bar diventa un esercizio che può condurre al massacro, soprattutto interiore. Che poi uno dice: sì, ma di testa sono sempre giovane. Ok, tutto vero: il problema però è che una mitragliata di tequila sale e limone (o di tequila bum bum) dà il via a una bomba chimica che il nostro organismo, ahimè, non è in grado di disinnescare. Non solo: anche le cene estemporanee prendono le sembianze del campo minato, dove quel bicchiere di rosso di troppo si trasforma in un montante di Mike Tyson, mandando al tappeto tutti i buoni propositi che hanno la stessa litania: “Eppure non ho mischiato le gradazioni alcoliche”. Inoltre, il fatto che oggi, 23 dicembre, il frontman dei Pearl Jam, ovvero il sempreverde Eddie Vedder compia 58 anni non è un’iniezione di linfa per raggiungere l’eterna giovinezza. Così, uno pensa che abbia ragione Mattia Torre, il quale in un suo monologo ricorda che “i figli invecchiano. Ma non invecchiano loro. Invecchiano te”.
“Il tempo ci sfugge ma il segno del tempo rimane” cantano i Baustelle. E allora andiamo a recuperarlo questo tempo, almeno con la mente, ripensando che più o meno 20 anni fa eravamo in grado di affrontare a testa alta, prima della discoteca o nelle serate distanti chilometri da libri e appunti, un plotone di esecuzione composto da roba decisamente imbevibile: B-52, grappa alla mela verde (o la serie di vodke in varianti assurde, come panna e fragola o frutti di bosco), rum e pera, Angelo Azzurro, Invisibile, Diavolo Rosso. Miscele esplosive dove fluttuavano gin e soluzioni variopinte ma allo stesso tempo spensierate, come chi andava a trangugiare quei beveroni. Il giorno dopo – o prima di andare a dormire – per smaltire la buriana bastava un panino dello zozzone (per chi non è di Roma, venditore non proprio oxfordiano che filosofeggia a bordo di camion bar, dove pure la mollica è grassa). Oggi, invece, le vie d’uscita sono una qualche soluzione salina al pronto soccorso o la Tachipirina. Quei momenti, dove uno era capace di digerire anche i sassi di Matera, rappresentavano l’occasione per assistere a soliloqui degni di nota, come “ci s’innamora solo a quindici anni... o a diciannove. Poi basta”. E se Jack Frusciante usciva dal gruppo, pazienza: un po’ di Lithium dei Nirvana ci placava, nonostante tutto.
Adesso, ça va sans dire, la paura fa 90 più di quei favolosi anni che hanno anticipato il 2000. E davanti a una grappa spacciata come la mejo che c’è, non resta che riporre la corona, perché non siamo più re. O meglio, lo siamo stati: chi più, chi meno. Forse Eddie Vedder non sarà d’accordo, ma lui è giustificato. Sicuramente, abbiamo guadagnato in esperienza. Un’esperienza che ha permesso di scoprire che ci si può innamorare anche a 25 anni. E che anche Forever young – alla lunga – ha il suo perché.
di Claudio Bellumori