La libertà è la vita

lunedì 21 novembre 2022


Piove, piove, piove, nuvolescamente, aperto, cielo aperto azzurro, nuvolaglia, pioviggina, non ho riparo, non vi sono mezzi che io sappia, vento, vento, non conosco la zona, mi sono distratto e sto non so dove, mi rivolgo ad una persona accanto, un autobus, un taxi, chiedo, mi accorgo che è uno straniero, un sudamericano, forse, tratti larghi, occhi larghi, colore accentuato, qualche ombratura, mi fa segno che non capisce, va bene, niente di male, mi giro, un’altra persona, seni ampliformi, gran gonnone, straniera, certa, ma insomma chiedo lo stesso, eccetera eccetera, io, ecco vorrei andare, scuote la testa, non mi capisce proprio, davanti a me un piccoletto, davvero piccolo, molto piccolo, un cappello a vaste falde, questo è sicuramente straniero. Ma vive in Italia: scusi, conosce per caso questa zona, come potrei, eccetera eccetera, i mezzi, dove, eccetera eccetera...Mi guarda stupito, mutolo, desisto. Ah, fortuna, un italiano, questo è italiano: per favore mi potrebbe dire eccetera eccetera, dove, eccetera eccetera, i mezzi, e così via, e così via... Mi fissa stralunato. Non è italiano. Allora in una sorta di vaneggiamento profetico, diciamo, come fanno i santoni che vedono nel futuro, immagino che potrei ottenere risposte per giungere in ogni luogo del pianeta, tranne che in Italia, che lo straniero sono io, accadrà, anzi, mi accade, sto vivendo in privato quanto si compirà diffusamente.

Mi impanico. Non so dove recarmi, e resto immobile, circondato dall’estraneità. Ma accade una variazione inimmaginata, un ragazzone, robustoso, scuretto di pelle, faccia decisa, capelli nerissimi, braccia consistenti, si rese cosciente, suppongo, vedendomi rivolto dall’uno all’altro, io, uomo di una certa età, con un bastone, biancheggiato di capelli e barba, lievemente curvo per l’altezza, che quell’uomo, io, non stava nelle più favorevoli condizioni, si accosta, toglie dalla tasca un telefonone grande come una scarpa, compone misteriosissime ditature e mi fa vedere dei lineamenti stradali a dirmi dove ero io e dove dovevo recarmi, il cammino, ovviamente non a piedi, ed anche i mezzi, di colpo, un mezzo di trasporto, il giovanotto si sbraccia, mi afferra quasi sollevandomi, sempre gesticolando per trattenere la macchina, apre la portiera, mi sistema le gambe, si accerta che sto ben messo, chiude la portiera cautamente, africano, sudamericano, straniero di certo, non una parola, vedevo il suo sguardo con gli occhi larghi fissarmi come se io fossi un bambino fragilissimo da mettere nella cuna al sicuro, e quando la macchina si mosse fece un cenno minimo con la mano, ed anche io. Aveva visto in me un anziano del suo villaggio, conservava egli il riguardo per gli individui in età, come accadeva anche da noi in passato? Nel girare intorno alla piazza la macchina tornò prossima al luogo di partenza, il mio soccorritore restava come a giudicare l’andamento, e salutò e lo salutai, un addio, credo, dato come un saluto. Che era stato, la nostalgia del padre? Appena si entra nel rapporto personale, quanta, quale umanità trabocca!

Gli individui ontologicamente, nella loro costituzione originaria, sono scissi, ciascuno in un giardino recintato, ontologicamente ciascuno è un’isola e intorno ha il deserto del mare oceanico, se bevo, bevo io, quel che mangio lo mangio io, quel che sogno lo sogno io, sono “individuo” in ogni istante, non è la morte che mi connota come individuo ma ciascun istante del vivere. Ma nell’aspetto non ontologico, sociale, siamo vincolati agli altri in maniera radicale, proprio le radici, i tronchi sono distanti isolati ma le radici attorcigliate. La duplice dimensione dell’uomo. Ritengo essenziale differenziare e fondare l’uomo sociale e l’uomo antologico (naturale). L’uomo ontologico è solo, unico, singolo, scisso, io; l’uomo sociale radicato all’altro e dovrebbe esserlo in maniera affermativa, in vicendevole accrescimento di vitalità, per ciò costituiamo la società, non per ostacolarci ma per accrescerci come individui con gli altri avendo per scopo la felicità! Bisogna, a tal fine, ripercepire la libertà che si sta dividendo dalla democrazia, la democrazia sta perdendo la libertà, è un “fatto”, avviene, gravissimo, dovuto fondamentalmente ai mezzi di comunicazione i quali convincono i cittadini ad avere un’opinione comune, oppressiva, soppressiva dell’individuo, svalutativa del singolo per l’essere comunicazione rivolta alla massa, diffusa, comunicata ad un soggetto collettivo che viene uniformato con la medesima informazione e degrada per essere alla bassa altezza del “pubblico”.

Ne viene un totalitarismo oggettivo anti individuale, uniformità cognitiva, quindi uniformità di opinione. I mezzi di comunicazione diffusivi associati a eventi generalizzati (guerra, pandemia) investono clamorosamente il singolo rendendolo collettivo nella vastità dei fenomeni sia informativi che quali accadimenti. È un micidiale trionfo della democrazia, intesa come potere dell’insieme, e la perdita del valore del singolo quindi della libertà, in quanto la libertà è stretta ai singoli, è stretta ai singoli, quando la libertà si pretende come libertà di insiemi siamo allo sterminio della libertà. Critica del singolo, valore dell’individuo, l’individuo conquista la sua libertà, sua, personale, per il suo essere chi è come singolo differente dagli altri singoli. Ontologicamente solitario! Ontologicamente, vale a dire: non appartiene esclusivamente alla società ma “anche” (soprattutto?) a sé stesso. Non si tratta di diritti naturali, si tratta della realtà naturale (ontologia naturale). Nasciamo nella società ma siamo anche (soprattutto?) esseri naturali, apparteniamo alla natura, ossia a noi stessi. La natura siamo noi stessi come individui singoli, viventi, mortali, io sono io, come io appartengo a me stesso. Se la società fosse in grado di non farmi morire avrebbe diritto a fare di me quel che vuole, ma se lascia alla natura di rendermi mortale lasci che la mia vita appartenga a me quale soggetto naturale.

Se me la devo sbrigare da solo con la morte, me lo sbrigo da solo nella vita, la vita, almeno, ripeto, per la mia costituzione naturale (ontologica). Nola società non permette questa zona ontologica, diventa, è diventata onnicomprensiva: siamo soltanto cittadini, non: uomini e cittadini. Sta accadendo questa metamorfosi, la pervasione collettivizzata degli uomini presi da comunicazione di massa generalizzata che invade l’insieme sociale uniformandolo. La democrazia dell’insieme sovrasta il singolo, quindi la libertà. La difficoltà di governare eventi complessi spinge chi detiene il potere a rendere delittuoso il dissenso, a rendere la maggioranza intollerante, a emarginare la critica criminalizzandola. E tutto questo avviene nelle società democratiche sempre meno liberali. Insisto, la democrazia si sta separando dalla libertà. Allora? I singoli, gli individui, ciascuno per sé ma oggettivamente uniti, devono impedire il trionfo della collettivizzazione della libertà. Questo inganno è totalitarismo. I singoli devono affermarsi nel loro giudizio critico. Non esiste un diritto alla libertà. Esiste la volontà di essere liberi. Io voglio essere, come io, libero di giudicare, sì e no, accetto, dissento. Non lo rivendico come diritto ma come mia conquista. Non esistono diritti naturali, esiste la volontà di ottenere la personale libertà critica. La libertà critica non è negazione. Ha senso affermativo, è il fondamento dell’esistenza individuale. Il singolo esiste come singolo se può proporre la sua peculiare opinione. In questi fenomeni mondiali, guerra, pandemia, mezzi di comunicazione, nanotecnologie invasive il singolo viene svalutato, e sente sé stesso svalutato, si aggrega sentendosi debilitato come singolo. Bisogna ritrovare il coraggio dell’opinione soggettiva. Ripetersi che sei un io con la tua opinione che vale se è la tua opinione non se la ammassi.

L’individuo non si potenzia aggregandosi, soltanto aggregandosi, ma se sta con gli altri valendo come singolo. Uomo sociale e uomo ontologico. La libertà collettiva non deve fare a meno della libertà individuale, e la libertà individuale è il diritto alla critica, il diritto alla critica è soprattutto dare importanza al singolo che la conquista. La società può non riconoscere questo diritto come diritto, lo si conquisti come capacità affermativa, potenza del soggetto che tiene alla propria individualità ed è associato restando individuo. È associato restando individuo! Che pretesa: muoio da singolo me stesso senza che l’universo mi possa soccorrere e dovrei consegnare la mia vita interamente alla società addirittura senza poter criticare! Il culto della maggioranza vale perché la maggioranza è maggioranza ma non vale come valore, in tal caso non c’è più differenza tra democrazia e totalitarismo. Siamo società di singoli individui associati, singoli individui, l’associazione non è trascendentale ai singoli individui né come valore né come diritto, non esiste un trascendentale sociale, esistono singoli individui associati, e conta la qualità individuale, la libertà senza qualità perde il valore della libertà, è una libertà inutilizzata. La qualità rende una società civiltà. Individuo, libertà, associazione di individui, qualità, civiltà!

Queste diramazioni vanno inculcate, rendere pedagogica questa mentalità. Non farsi trascendere dal conguaglio della comunicazione di massa, dalle tecnologie invasive, dalla svalutazione dell’individuo (sei solo tu che la pensi così, “noi” abbiamo una opinione diversa!). Si spalanca un’Era nuova, attivata contro l’individuo, persino geneticamente, nanotecnologica, bisogna creare anticorpi e convincere l’individuo che deve mantenere testa critica, associarsi ma come individuo, come sé stesso, tendente alla qualità. La libertà individuale qualitativa dà scopo alla società, il valore del singolo è sempre un valore sociale, auto elevarsi è consegnare agli altri quanto riusciamo a fare. Partire dalla soggettività per forgiare la società, libera-mente. I greci avevano orrore della morte. Che inventarono per “distrarsi”? La vita! Ossia, la civiltà. La bellezza! Un’esistenza vissuta nella pienezza umana (arte, scienza, filosofia, amore) dà alla morte almeno lo scacco di aver vissuto. Orribile morire senza aver vissuto! Senza civiltà. E la civiltà è l’apogeo della libertà.


di Antonio Saccà