De Cataldo in tivù contestualizza il crimine

sabato 12 novembre 2022


In quel terreno scivoloso, spesso ammaliante, talvolta diabolico della “giustizia spettacolo”, del crimine in tivù, della cronaca nera formato digitale, scende Giancarlo De Cataldo. Più che un debutto, è il prolungamento mediatico di una fama già robusta e consolidata nell’editoria. Perché il magistrato, scrittore, sceneggiatore e drammaturgo Giancarlo De Cataldo, 38 anni in magistratura e a lungo giudice della Corte d’Assise di Roma, è una delle firme più autorevoli della letteratura noir. La sua opera più nota, Romanzo criminale (2002), da cui fu tratto il film per la regia di Michele Placido e la serie televisiva diretta da Stefano Sollima, ha segnato una svolta. Ma l’intensa produzione è assai più vasta, poiché in fondo – come ha raccontato lui stesso – “l’idea di diventare scrittore è nata prima di vestire la toga, quando da ragazzino leggevo i romanzi dei pirati e poi divoravo le pellicole nei cinema”.

Con il romanzo Suburra (2013), scritto a quattro mani con il giornalista di Repubblica Carlo Bonini, De Cataldo ha portato nella cinematografia la mafia romana moderna, che sbarcò e sbancò su Netflix nel film e nelle serie dirette rispettivamente da Stefano Sollima e ancora Michele Placido con Andrea Molaioli e Carlo Capotondi. Dunque, una carriera doppia (giustizia ed editoria) rodatissima. Fino a lunedì scorso, quando appunto il magistrato-autore è apparso su Raiuno, in seconda serata, inaugurando con Cronache criminali la sua conduzione sul piccolo schermo.

La serie “Cronache criminali” si iscrive nel filone dei docu-reality e tratta undici casi di cronaca “iconici”, cioè storie che, dagli anni Sessanta ad oggi, hanno fatto epoca, segnando il destino di vittime ma anche il nostro tempo. Fatti e personaggi tutti fortemente suggestivi: dall’uccisione di Christa Wanninger negli anni della Dolce vita, agli anni di piombo con la morte di Pier Paolo Pasolini, ai grandi protagonisti del crimine come Pietro Maso e in tempi più recenti Luca Traini. Vicende e volti già noti, ma Giancarlo De Cataldo irrompe nell’universo mediatico più solo, più lui rispetto alle collaborazioni del passato, per affidare al suo tratto energico, severo, quasi intimidatorio, una sorta di correzione di rotta. Certo lui non lo dice, non lo dirà, ma è evidente che negli ultimi anni la cronaca nera abbia sviluppato un filone al di là del suo intrinseco e nell’Hellzapoppin’ del macabro e dell’orrore piegato allo spettacolo ha talvolta prevaricato realtà e rigore per declinare i delitti nel genere.

Non più solo cronaca e giustizia, ma i fatti adattati alle categorie. Femminicidi, figlicidi, sparizioni, oltre alla classica mala e le altre categorie del male. Un distacco a volte anche clamoroso dalle aule e dai codici, che, se da una parte ha attivato una partecipazione ampia, tutti 007, dall’altra ha gettato una crescente sfiducia nella giustizia e nel suo operato. Con i responsabili dei fatti criminosi nel ruolo dei mostri, dei carnefici maledetti che paiono proseguire nelle finzioni i loro diabolici piani.

De Cataldo, volente o nolente, non poteva che entrare in questo palcoscenico diversamente dai tanti pur bravi e appassionati conduttori. Riportando il rigore, le regole, quello sguardo che non è solo indignazione o furore, ma attendibilità. La tanto decanta certezza della pena. Con un interrogativo alla base: che vuol dire “narrare la legge”? Probabilmente mettere in atto quello che a un magistrato va stretto, ma che il giornalismo investigativo non può disattendere e che diventa aria e polmoni per chi veste l’animo del narratore. Cioè scrutare, osservare, capire, entrare, viaggiare dentro, visualizzare volti, vicende, particolari, cercare la trama. “Parto sempre da lì quando scrivo”, ha spiegato lui stesso.

“Ci sono delitti che ci colpiscono più di altri. Per esempio nella ragazza svedese, già protagonista di un mio racconto, ho immaginato nello sfondo della Dolce vita e alla vigilia della rivoluzione sessuale una ragazza ingenua, ma comunque disposta a farsi strada, l’ho vista come se fosse una preda facile per una città tentacolare e molto italiana come Roma”.

La Roma di De Cataldo, la spietata Capitale che ritorna con i suoi eccessi, le sue trame, il suo gorgo. “Questa serie non è fiction – spiega – presenterò vari casi criminali risolti o archiviati, che però sono entrati in risonanza con le nostre inquietudini per la loro capacità di raccontare un’epoca”. E precisa: “Non ci sarà una ricostruzione di come sono andati i fatti, ma un discorso che cerchi di spiegare perché quel delitto è successo proprio in quella specifica stagione e perché ci ha colpito. Useremo filmati d’epoca, interviste e anche materiali girati adesso”.

Ecco la chiave e soprattutto la chiave che era caduta, smarrita, perché tanto questi anni di ideologia mediatica hanno “de-contestualizzato”, altrettanto Giancarlo De Cataldo ricolloca l’essenziale: “contestualizzare”, che significa non solo il fatto agghiacciante, la mostruosità del male, il colpevole per “gettare la chiave” e gridare il dolore, ma collocare ogni fatto, ogni storia, ogni atto dentro l’affresco più grande del tempo storico, politico, sociale. Il metodo unico di moventi e mandanti, la chiave di quell’umano che si perde e che è compito di ogni giustizia e ogni civiltà trovare.
“Cronache criminali”, da un’idea di Giancarlo De Cataldo e Giovanni Filippetto, ha la regia di Piergiorgio Camilli e il lavoro meticoloso e importante di una redazione di esperti, di tecnici, di professionisti oltre che di autori di rango. Lunedì scorso è andata in onda la storia di Terry Broome, una giovanissima modella americana, che uccise a colpi di pistola il quarantenne Francesco D’Alessio, figlio di un noto avvocato e proprietario della Cieffedi, una delle più importanti scuderie della capitale.

Si dà il caso che in quegli anni lavorassi alla Rusconi Editore e Rusconi ai tempi aveva già fatto della cronaca nera la lente di indagine del sociale, per cui voleva le storie, i protagonisti e i memoriali. Non so come riuscii a incontrare la ragazza dagli occhi verdi e i capelli ramati, che alle sei di una mattina nebbiosa, dopo una notte di stizza, droga e alcol, aveva fatto fuoco sul playboy. Effettivamente ricordo esattamente ciò che in “Cronache criminali” è diventato anche colori. Il rosso cupo della Milano da bere, le ombre dei riflussi, le luci della leggerezza dell’effimero che veniva dopo la stagione del terrorismo e delle stragi.

Un delitto emblematico, che anticipava i nostri diabolici tempi delle terrazze paradiso, delle notti dello sballo, delle droghe dello stupro, della illusoria escalation nei templi del sessismo e del grande mercato delle droghe, dove l’occulto affonda i suoi artigli. Terry Broome era una giovane spaventata, come altri segnata da un passato famigliare turbolento, che nella Milano da bere cercava il riscatto e la fortuna andando incontro all’inevitabile. L’idea che dal mondo delle passerelle e dalla moda, dal profumo del denaro e del lusso, dovesse passare alle aule del tribunale, dove catturata dopo la fuga, sarebbe stata giudicata e sicuramente condannata era l’ultimo capitolo per una giovane che aveva già imbracciato la pistola per fare fuoco contro i demoni di quelle emancipazioni sfrenate.

I fratelli Vanzina si ispirarono proprio al suo caso quando realizzarono “Sotto il vestito niente”, non per dilatare gli eccessi, per testimoniarli. Senza moralismi, come raccomanda De Cataldo. Con lucida osservazione. Fu così, ai tempi, anche per me. Con lucido sguardo mi venne di darle fiducia, di dire a quella giovane sovrastata dai fatti che non tutto è perduto quando si perde ciò che danna l’anima. E il magistrato-scrittore in questa trasmissione silenziosa, grave e autentica, lo dimostra. Cioè dimostra che, al contrario di quanto si potrebbe pensare, l’approdo nella legge è sempre la via giusta per condannare il crimine e liberare la persona.

Terry Broome fu condannata a quindici anni, poi ridotti a dodici. Oggi non esiste più Terry Broome. La giustizia l’ha inghiottita, da qualche parte c’è una donna che si è ripresa l’anima e la vita. Resta il mostro dei tempi che rugge e ruggirà con le sue forme diverse, non meno tentacolari, spettrali, diabolicamente feroci, che ancora ed ancora nelle strade, nelle case e nelle pieghe di ogni vita cercherà altro sangue e altre anime.


di Donatella Papi