Carcere, suicidi e il libro di sbriglia

giovedì 10 novembre 2022


Cos’ha detto Giorgia Meloni il 27 ottobre scorso, nel discorso programmatico con il quale al Senato ha presentato il suo programma di Governo? Che dall’inizio dell’anno sono stati 71 i suicidi in carcere. Quelli ufficiali. Li ha definiti “indegni di una nazione civile”. Bene. Si fa per dire, perché siamo arrivati a quota 74. Sempre ufficiali, vale a dire un bilancio approssimativo per difetto. Per arrivare a una cifra simile, occorre risalire al 2009, quando al 31 dicembre di quell’anno risultavano suicidi almeno 72 detenuti. 74 suicidi in 10 mesi. Per le carceri italiane è il dato più triste e drammatico degli ultimi 13 anni.

Ovvio che di questa situazione non si può ritenere responsabile Meloni e il suo governo, insediato da poche settimane. Tuttavia, si vorrebbe sapere e capire che cosa questo governo intende fare, al riguardo. Quali misure urgenti, oltre a promesse, assicurazioni, decreti di dubbia costituzionalità per quel che riguarda rave party e migranti o ergastolo ostativo. Si parla solo dei suicidi. Ci sono poi i tentati suicidi, sventati per il tempestivo intervento della polizia penitenziaria; e gli atti di autolesionismo. Quest’anno poi si registra anche il suicidio di quattro donne. Di fronte a questi numeri impressionanti bisognerebbe provare a capire il perché, e cominciare seriamente a ripensare il sistema penale e penitenziario di questo Paese.

Cominciare tutti noi, non solo i politici, a non usare più certe espressioni, tipo: “È finita la pacchia”; “Devono marcire in galera”; “Buttiamo via la chiave” “Vanno asfaltati”. Anche il linguaggio, le parole, hanno una loro importanza, e riflettono le nostre filosofie e culture, vocazioni e aspirazioni. Prima di concludere questa nota, una segnalazione libraria. Enrico Sbriglia, un nostro amico che il mondo del carcere lo conosce bene, per anni dirigente generale penitenziario, pubblica Captivi, presso la casa editrice dell’università Niccolò Cusano di Roma. In forma di racconti, attraverso gli occhi di un singolare direttore, si descrivono storie e vicende di detenuti e detenenti, come Marco Pannella chiamava gli agenti della polizia penitenziaria e tutto quel mondo che ruota attorno al carcere. Anche nei cosiddetti “palazzi” del Potere farebbero bene a leggerlo.


di Valter Vecellio