Il diniego al rilascio del permesso di soggiorno allo straniero condannato per stupefacenti

mercoledì 9 novembre 2022


Con la sentenza numero 6709 del 27 luglio 2022, la terza sezione del Consiglio di Stato ha respinto il ricorso di un cittadino nigeriano che aveva impugnato il provvedimento di rigetto dell’istanza del rinnovo del permesso di soggiorno del Questore di Arezzo. Le pregresse condanne penali a carico del ricorrente, in particolare per reati in materia di stupefacenti, esonerano infatti l’amministrazione dalla preventiva valutazione dei vincoli familiari, giacché ostano “ope legis” al rinnovo del permesso.

1) Il caso oggetto di scrutinio da parte del Supremo Consesso amministrativo, scaturisce dal diniego opposto dal Questore di Arezzo all’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro autonomo presentata da un cittadino nigeriano.

A fondamento del provvedimento di diniego venivano poste le diverse condanne penali riportate dal richiedente, talune per reati in materia di stupefacenti, la ritenuta pericolosità sociale in virtù di frequentazioni abituali di soggetti dediti alla commissione di reati, nonché l’insufficienza di redditi da lavoro autonomo. Per tali motivi, il provvedimento questorile veniva dapprima impugnato dal cittadino straniero dinanzi al Tar Toscana, il quale a sua volta respingeva il ricorso ritenendo legittimo il giudizio svolto dalla Questura, e successivamente appellato al Consiglio di Stato.

In ambedue i giudizi veniva censurato, in particolare, l’automatismo tra la condanna penale non definitiva e il rigetto del titolo di soggiorno, nonché la mancata considerazione dell’interesse all’unità familiare.

2) Delineati i contorni storici della vicenda in esame, viene in rilievo l’analisi della normativa di riferimento rappresentata dal combinato disposto di cui agli articoli 4 e 5 del decreto legislativo numero 286/1998.

L’articolo 4 del Testo unico sull’immigrazione contiene un’articolata disciplina sull’ingresso nel territorio dello Stato da parte del cittadino straniero. Per quanto qui d’interesse, merita osservare quanto disposto dal comma 3, come modificato dalla legge 189/2002, che contempla una serie tipizzata di ipotesi ostative al rilascio del permesso di soggiorno. Tra queste ipotesi di gravi reati figurano anche quelle disciplinate dal Decreto del Presidente della Repubblica 309/90 in materia di stupefacenti. Nel dettaglio, non è ammesso in Italia lo straniero “che sia considerato una minaccia per l’ordine pubblico e la sicurezza dello Stato (…) che risulti condannato, anche con sentenza non definitiva (…) per i reati inerenti gli stupefacenti (…)”.

Dalla lettura dell’ordito normativo in commento, si coglie la volontà del legislatore di tutelare al massimo grado l’ordine pubblico e la sicurezza interna dello Stato, di cui è sintomatica l’esplicita menzione delle sentenze non definitive di condanna, negando per ciò stesso il permesso di soggiorno al cittadino straniero tutte le volte in cui si sia reso responsabile di reati in grado di disvelarne la pericolosità sociale. In altri termini, la ratio della disposizione è quella di impedire l’accoglienza nel territorio dello Stato di soggetti che possano metterne a repentaglio l’ordine pubblico e la sicurezza.

Sullo stesso crinale prospettico si innesta la previsione scolpita nell’articolo 5, comma 5 del Testo unico, il quale prevede che “il permesso di soggiorno o suo rinnovo sono rifiutati e, se il permesso di soggiorno è stato rilasciato, esso è revocato, quando mancano o vengono a mancare i requisiti richiesti per l’ingresso e il soggiorno dello straniero nel territorio dello Stato, fatto salvo quanto previsto dall’articolo 22, comma 9, e sempre che non siano sopraggiunti nuovi elementi che ne consentano il rilascio che non si tratti di irregolarità amministrative sanabili”. Da questi richiami, la strada seguita dal legislatore appare chiara: attraverso la tassativa selezione delle circostanze ostative effettuata a monte, si riduce al minimo lo spazio di autonomia valutativa dell’organo competente al rilascio o alla revoca del titolo autorizzatorio.

A questo punto, tuttavia, giova puntualizzare che la rigida scansione della procedura può essere temperata al verificarsi di determinate condizioni. È il caso dei vincoli familiari alla stregua di quanto sancito dall’articolo 5, comma 5, ultimo periodo del decreto legislativo numero 286/1998: in tale situazione, il questore dovrà operare il bilanciamento tra gli opposti interessi alla tutela della pubblica sicurezza e alla vita familiare del cittadino straniero.

Ne consegue che nell’adozione del provvedimento di rifiuto del rilascio, di revoca o di diniego di rinnovo del permesso di soggiorno dello straniero che ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare, del familiare ricongiunto, ovvero dello straniero che abbia legami familiari nel territorio dello Stato, si dovrà tenere conto di alcuni indici legati alla natura e all’effettività dei vincoli familiari dell’interessato e dell’esistenza di legami familiari e sociali con il suo Paese di origine, nonché, per lo straniero già presente sul territorio nazionale, anche della durata del suo soggiorno nel medesimo territorio nazionale. (confronta  Corte costituzionale numero 202/2013).

3) Lo spirito che caratterizza le norme del Testo unico sull’immigrazione trova conferma nelle argomentazioni sviluppate dal Consiglio di Stato nella decisione in esame.

I giudici di legittimità, confermando un orientamento giurisprudenziale consolidato, hanno infatti ritenuto legittimo il diniego di rinnovo del permesso di soggiorno, in ragione della pregressa condanna per reati ostativi ed in particolare per reati in materia di stupefacenti, riportata dall’appellante. Questa circostanza dirimente vale ad escludere ulteriori valutazioni rispetto alla pericolosità sociale dello straniero, avendo il legislatore già operato in via preliminare una valutazione presuntiva, in relazione alla tipologia di reato e all’oggetto della tutela penale.

Svolto questo accertamento, al Questore non residuava che effettuare la valutazione comparativa ex articolo 5, comma 5, ultimo periodo, dettata dalla presenza di legami familiari (moglie e due figlie minorenni); una valutazione eseguita correttamente dalla Questura che ne ha dato atto nel provvedimento, in applicazione dei criteri elaborati dalla Corte costituzionale nella citata sentenza numero 202 del 2013, oltre a quelli elaborati dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo.

Non vi è stato quindi alcun automatismo procedurale, così come lamentato dall’appellante. In buona sostanza, l’amministrazione che pur dando atto dell’esistenza di vincoli familiari, ha accertato la sussistenza di condanne penali per reati particolarmente gravi come nel caso di specie, non è tenuta a motivare il perché gli interessi familiari siano considerati subvalenti rispetto alla sicurezza dello Stato. Ciò, in ragione del fatto che la condotta criminale del cittadino straniero diviene intollerabile per lo Stato ospitante, rendendo ineludibile il diniego di permanenza. D’altronde, sempre secondo i giudici di legittimità, la formazione di una famiglia sul territorio italiano non può valere quale garanzia assoluta di immunità dal rischio di revoca o diniego del rinnovo del permesso di soggiorno, ossia del titolo in base al quale lo straniero può trattenersi nel territorio italiano.

In questo senso, costituiscono ipotesi del tutto speciali e peculiari, i casi in cui i figli minori del reo siano esposti ad un imminente e serio pregiudizio derivanti dall’allontanamento dal territorio dello Stato del genitore. Per queste ipotesi, l’ordinamento offre in via eccezionale uno strumento specifico di tutela affidato al giudice specializzato dei minori, in forza di quanto disposto dall’articolo 31 comma 3 del Testo unico sull’immigrazione. La disposizione in esame prevede infatti che “il Tribunale per i minorenni, per gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico e tenuto conto dell’età e delle condizioni di salute del minore che si trova nel territorio italiano, può autorizzare l’ingresso o la permanenza del familiare, per un periodo di tempo determinato, anche in deroga alle altre disposizioni della presente legge.” Detta previsione sancisce a tinte forti la preminente la tutela della posizione del minore, ferma comunque la valutazione amministrativa in punto di pericolosità sociale del genitore.

Tutto ciò osservato, il Consiglio di Stato ha ritenuto il provvedimento questorile di diniego legittimo e sorretto da sufficiente motivazione secondo i parametri di cui agli articoli 5, comma 5 del decreto legislativo 286/98 e 3 della legge 241/90, respingendo così l’appello proposto dal cittadino nigeriano.

(*) Tratto dal Centro Studi Rosario Livatino


di Giuseppe Paci (*)