mercoledì 2 novembre 2022
Bisogna affermare il principio liberale che l’educazione non può e non deve realizzarsi mai contro la volontà e la libertà interiore dell’educando, quando questi non vuole essere educato, accettando le conseguenze del suo rifiuto. Ne deriva che la funzione rieducativa della pena, prevista dalla nostra Costituzione, non può e non deve realizzarsi contro la volontà del detenuto rieducando. Se questi, come fanno i mafiosi irriducibili, non manifesta tale volontà dissociandosi dalla sua subcultura e organizzazione mafiosa e collaborando concretamente con lo Stato e persiste, invece, nella volontà di fare guerra allo Stato, quest’ultimo non può e non deve cercare di “rieducarlo” per forza.
Non deve nemmeno fingere di averlo rieducato, quando il rieducando non riconosce l’imperio e la superiorità delle sue leggi. Lo Stato liberale deve rispettare la volontà e la libertà di coscienza interiore di ogni individuo, anche quando si tratti di un mafioso e la sua coscienza morale sia perversa e incompatibile con il sentimento della comune umanità e con le leggi dello Stato. Davanti a quella libertà interiore, sia pure perversa, la maestà dello Stato deve cedere, anche se ciò significa lasciarlo in galera a vita e dover registrare un fallimento dello Stato per non avere potuto realizzare la funzione rieducativa della pena.
Viceversa, sarebbe un riconoscimento della parità o addirittura della inferiorità e debolezza dello Stato liberale rispetto a quello Stato anti-Stato che è l’organizzazione mafiosa in guerra con lo Stato liberale ed i suoi principi. I tentativi di rieducazione forzata sono tipici degli stati totalitari. Lo faceva Mao durante la sua sanguinosa “Rivoluzione culturale”.
Ma uno Stato liberale non può e non deve nemmeno tentare di educare o rieducare nessuno con la forza. Né fingere di avere rieducato un mafioso irriducibile per non ammettere un suo fallimento empirico. Anche perché in questo caso il mafioso, la sua subcultura e la sua intera organizzazione anti-statale interpreterebbero quella finzione come una vittoria e una conferma della loro superiorità culturale e politica sullo Stato liberale di diritto.
di Lucio Leante