Diplomazia al femminile

giovedì 20 ottobre 2022


Sì è aperta ieri a Roma, nel Palazzo della Cancelleria, la Conferenza internazionale, articolata in due giornate, sul “Ruolo delle donne nell’intermediazione diplomatica dei conflitti”, organizzata dall’Istituto diplomatico internazionale (Idi). Questo appuntamento di grande interesse smentisce il luogo comune che considera questa attività un settore ancora oggi riservato principalmente agli uomini. Il convegno, aperto dal presidente dell’Idi, Paolo Giordani (del quale, a seguire, pubblichiamo l’intervento) ha approfondito il tema con un parterre di ministri e diplomatici di diversa provenienza geografica (Sud Sudan, Pakistan, Siria, Israele, Guinea Conakry, Albania, Kosovo, Perù, Etiopia, Senegal, Congo, Usa, Italia) e appartenenza religiosa, ma quasi tutto composto da donne, che ha dimostrato quanto sia determinante nelle crisi internazionali la specificità degli interventi connotati dalla presenza femminile. Due panel hanno caratterizzato la prima giornata: “Eguaglianza di genere, empowerment e protezione di donne e bambini in aree di conflitto e post-conflitto” e “Il ruolo delle donne nella società civile per fare avanzare l’agenda su donne, pace e sicurezza: esempi di eccellenza”.

Tra gli interventi che si sono susseguiti è stato particolarmente apprezzato quello dell’israeliana Achinoam Nini, in arte Noa, ben nota per il suo impegno per la pace e i diritti umani, che nel corso della sua relazione ha impreziosito la conferenza anche con alcuni momenti canori. Il senso dell’intero convegno è stato evidenziato proprio da Noa quando ha voluto sottolineare che il suo contributo “sarà meno legato a come dare potere alle donne e più a che cosa può fare una donna, semplicemente dando un esempio personale e raccontando progetti, passati, presenti e futuri” che hanno guidato la sua vita e “continuano a farlo”. La seconda giornata si divide in un panel su “Diplomazia firmale e informale a livello internazionale: il posizionamento delle donne professioniste nelle statistiche dei paesi target. Azioni da intraprendere” e una tavola rotonda tra i relatori con il compito di definire un documento finale.

L’intervento dell’avvocato Paolo Giordani, presidente dell’Idi

“L’evento a cui diamo ora avvio, vuole essere per l’Istituto Diplomatico Internazionale l’inizio di un percorso culturale ben più articolato e, mi si passi il termine, più ambizioso e che vorrei per così dire “inaugurare” dinanzi a questo nobile consesso: l’Agenda Idi 2028 sui diritti umani ossia una marcata e puntuale riflessione nei prossimi cinque anni, a partire dal 2023, sui trenta articoli della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo dell’Organizzazione delle Nazioni Unite e i successivi pronunciamenti che ad essa fanno riferimento, nelle felici scadenze del 75° e 80° Anniversario del citato Documento primigenio. Di ciò, questo Istituto diplomatico ha dato tempestiva ed opportuna comunicazione alle superiori istanze delle Nazioni Unite quali la Direzione generale Unog di Ginevra e l’Alto Commissariato per i Diritti umani, ricevendone da subito e anche nei giorni scorsi, certificazioni ufficiali di singolare plauso, elevato gradimento e prezioso quanto necessario e atteso sostegno.

Qualora si ritenga questa nostra iniziativa meritevole della vostra alta e competente considerazione, saremo davvero felici di ricevere in seguito gradite indicazioni e apprezzato supporto. Ciò detto, mi sia permesso soffermarmi brevemente sull’aspetto che definisce il nostro evento: il ruolo delle donne nella mediazione diplomatica dei conflitti ovvero non una mediazione tout court ma una mediazione che si qualifica espressamente come diplomatica. Non deve trarre in inganno tale precisazione che potrebbe a prima vista apparire pleonastica o distinguersi come endiadi: ogni mediazione in sé comporta l’esercizio dell’ars diplomatica, quella nobile attività umana che, sapientemente e tenacemente, sa comporre gli opposti – che è vero che si attraggono – ma per lo scontro, non per l’incontro.

In riferimento alle donne pertanto, è proprio la storia dell’umanità che ci fa cogliere la loro peculiare attitudine a saper mediare con sapienti e pazienti attese, gentilezza di tratto, fermezza di decisione e inaspettata energia. La nostra Conferenza multilaterale ha luogo a Roma, e per giunta in una sede di riconosciuto prestigio, storico ed architettonico quale il Palazzo della Cancelleria e allora, come non ricordare quanto la leggenda ci ha tramandato e che avvenne più o meno a poche centinaia di metri da qui, negli anni tra il 753 e 751 a.C., ossia pochissimo tempo dopo la tradizionale data di fondazione della Città stessa.

Mi riferisco a quanto riportato in merito dal grande storiografo latino Tito Livio (Padova 59 a.C. - 17 d.C.) nella sua opera forse più celebre, Ab urbe condita (capitolo 1, 13, 1-2), che descrive la storia di Roma dalla fondazione ad opera di Romolo (754-753 a.C.) all’anno 9 d.C. (anno della morte di Druso, figliastro di Augusto e al quale l’imperatore era molto legato). Tito Livio narra in questo frangente della sanguinosa guerra scoppiata tra i Romani, guidati da Romolo e i Sabini, comandati dal loro re Tito Tazio, conflitto che scoppiò a seguito dell’altrettanto ben noto e drammatico episodio del “ratto” delle donne sabine ad opera dei romani che, non avendo delle donne, erano destinati all’inevitabile declino della città, la cui popolazione, come tramanda la leggenda, era pressoché esclusivamente maschile.

Negli anni 753 o 751 quindi, in una località non distante dal Colle Capitolino che insieme al Palatino, formarono il primitivo nucleo della città, denominata “lacus Curtius” ossia lago Curzio (forse individuabile nell’area degli attuali Fori imperiali nel perimetro dei cosiddetti Pantani nel Foro di Traiano), i due eserciti nemici si stavano affrontando in un cruento scontro quando ad un certo punto, ricorda Tito Livio, le donne sabine, accorsero portando con sé e mostrando i loro bambini nati nel frattempo, ponendosi in mezzo alle due schiere e implorando i loro padri e fratelli ed i loro mariti a interrompere immediatamente le ostilità. Il fragore della battaglia tacque immediatamente e gli avversari non solo fecero la pace ma da quel momento si fusero in solo popolo, al punto tale che il re dei Sabini, Tito Tazio, divenne fino alla sua morte, avvenuta circa nel 745 a.C., co-re di Roma insieme a Romolo.

Ecco qua, Signore e Signori, condensato un antichissimo episodio in cui le donne sono state protagoniste di una meravigliosa quanto imprevista mediazione diplomatica, facendo sì che dall’unione del popolo romano e dei sabini si avesse il primo vero nucleo del popolo romano organizzato, che avrebbe conquistato e civilizzato gran parte del mondo allora conosciuto con il diritto, l’arte, la cultura. A tale riguardo, vorrei anche rendere ragione del bellissimo quadro, scelto come immagine simbolo della Conferenza multilaterale, opera del grande pittore francese Jacques Louis David (Parigi 30 agosto 1748 – Bruxelles 29 dicembre 1825), realizzato nell’anno 1799 e custodito ed esposto a Parigi, al museo del Louvre, che illustra magnificamente l’episodio appena narrato.

Vediamo che al centro dell’opera campeggia la figura di Ersilia, moglie sabina di Romolo, che coraggiosamente con le sue braccia allargate si mette al centro proprio tra Romolo, in piedi armato di elmo e scudo con la lupa, in atto di brandire e scagliare con forza la lancia e Tito Tazio, re dei Sabini con spada, scudo ed elmo. Lo sguardo di Ersilia è rivolto supplice a Romolo e l’altro braccio è pronto a fermare il Re Tito Tazio: ritengo che il pittore Jacques Louis David abbia colto la vera “mediazione diplomatica” di Ersilia, sguardo supplice ma allo stesso tempo atteggiamento fermo, coraggioso, determinato nel portare a termine il proprio obbiettivo con la perfetta armonizzazione di sentimenti contrapposti che però raggiungono efficacemente lo scopo prefissato: la fine repentina del conflitto e la pace responsabile e duratura tra i popoli belligeranti.

Si individuano poi nell’opera d’arte le altre donne sabine che portando e mostrando i bambini nel frattempo avuti dai romani, interponendosi tra i due eserciti, hanno lo stesso comune intento che è la fine delle ostilità. Oso allora immaginare, quasi in punta di piedi, e lo dico davvero con vibrante emozione che, senza quella inattesa quanto efficace mediazione diplomatica delle donne sabine, probabilmente non sarebbe esistita la civiltà romana e, forse, dico forse, non ci saremmo nemmeno noi qua, questa mattina.

Mi piace unire a questo episodio tutte le situazioni critiche in cui, da allora in poi, fino ai nostri giorni, le donne sono state protagoniste primarie ed indiscusse di mediazione e soluzione tra conflitti; l’elenco sarebbe davvero lunghissimo e abuserei della loro pazienza nell’elencarle anche solo sommariamente, mi permetto però di ricordare due ulteriori esempi, il primo in ambito peculiarmente religioso, il secondo “laico”: il primo si riferisce alla sottile ed intelligente opera di mediazione posta in essere nel VI secolo a.C. dalla Regina Consorte di Persia Ester, che riuscì con la sua fede, la sua bellezza, dolcezza, saggezza, pazienza e determinazione ad evitare lo sterminio del popolo di Israele e a renderlo vieppiù gradito al Re Serse.

Il secondo conduce al cuore dell’amato continente africano, dove in tanti Paesi non si contano le complesse situazioni dove le donne sono in prima fila nel mediare, spesso in modo risolutivo e permanente. Avviandomi a concludere il mio intervento, mi permetto di affidare agli illustrissimi e chiarissimi relatori e relatrici, il rilevante onere di farci gustare in questi due giorni la spiritualità, il fascino, la forza e la tenacia dell’azione delle donne nelle situazioni di sensibile instabilità che, a volte, non sembrano avere via d’uscita se non quella dello scontro. La storia ci ha appena dimostrato il contrario; dico il vero allora che le donne, in tal modo, sono costruttrici di speranza e di essa il mondo, soprattutto oggi, ne ha immenso bisogno”.


di Laura Bianconi