Riorganizzazione e proteste alla “Stampa”, “Repubblica” e Rcs

mercoledì 19 ottobre 2022


I rapporti tra redazione e direttore nei tre più importanti quotidiani italiani (La Stampa, Repubblica e Corriere della sera) non sono buoni. Non c’è armonia. Anzi si ripetono decisioni unilaterali che creano tensioni e malumori. A Torino è stata convocata l’assemblea di redazione per decidere un pacchetto di giorni di sciopero da affidare alla rappresentanza sindacale, dopo l’esito negativo dell’incontro tra il Cdr e l’amministratore delegato della proprietà Gedi Maurizio Scanavino. La questione di fondo del giornale diretto da Massimo Giannini riguarda il clima giudicato “non sufficientemente collaborativo per affrontare la riorganizzazione del lavoro, il progetto Liguria Ponente”, con l’annuncio di una riduzione degli organici delle redazioni di cinque unità, la situazione dei carichi di lavoro delle province e dei carichi che deriveranno dall’aumento della foliazione a 48 pagine.

Protesta anche il comitato di reazione di Repubblica, il giornale diretto da Maurizio Molinari, che intende riorganizzare la direzione e l’ufficio centrale del quotidiano. Un elemento di contrasto è il ritorno al quotidiano di Walter Galbiati, che era uscito nel 2018 per occuparsi dei contenuti digitali della società Pirelli. Secondo il Cdr la priorità nelle assunzioni doveva essere data ai redattori in Jobs Act, criterio da tenere presente anche nella scelta dei ruoli di maggiore responsabilità. Il direttore ha nel frattempo attribuito varie deleghe ai due vice direttori Carlo Bonini e Francesco Bei. Inoltre, il caporedattore centrale Giancarlo Mola diventa responsabile anche del sistema, per meglio collocare i contenuti nei motori di ricerca.

Una lunga questione sui fotografi in redazione è stata risolta dalla Corte di Cassazione che ha affermato un principio al quale dovranno attenersi in futuro i giudici nelle cause di lavoro in ambito editoriale. “Costituisce – scrivono i giudici – lavoro giornalistico subordinato quello svolto da fotografi che, nel realizzare (pur con autonomia tecnica) foto a corredo informativo degli articoli, integrano la loro attività in un inserimento stabile del lavoratore nell’assetto organizzativo del giornale”. La Cassazione ha così dato ragione all’Inpgi e a 4 fotografi che potranno ottenere i contributi arretrati e vedersi riconosciuto dall’Ordine territoriale il diritto di accedere all’esame dei professionisti.

La sentenza è interessante perché arriva proprio nei giorni in cui un fotografo, Alessandro Serranò, dell’agenzia Agf che ha un canale preferenziale con il quotidiano Repubblica, con lo scatto dei “pizzini” di Silvio Berlusconi al Senato stava per mettere in pericolo la nascita del governo di Giorgia Meloni. Era il giorno dell’elezione del presidente del Senato Ignazio La Russa di Fratelli d’Italia e lo schieramento dei giornalisti era al completo sulle tribune. Soltanto lui si accorse del foglietto che aveva in mano Silvio Berlusconi, con giudizi poco lusinghieri sulla leader del centrodestra.

Il fotogiornalismo ritrovava il suo splendore e la sua forza. Una storia antica che risale agli albori della nascita della fotografia nel 1839, tecnica diffusasi rapidamente in America e in Europa. Già su Life i fotografi avevano acquistato una piena autonomia decisionale. Poi irrompono i grandi nomi da Robert Capa, Cartier-Bresson, Bischof, Seymour, Bruno Barbey, Bruce Davidson, Porry Pastorel per finire con il fenomeno dei “paparazzi” immortalati da Federico Fellini nel film La Dolce vita, con Tazio Secchiaroli e il “king” Rino Barillari, ancora sulla breccia con Il Messaggero.


di Sergio Menicucci