“Per una cultura di convivenza civica”

mercoledì 19 ottobre 2022


L’intensa campagna elettorale ha dimostrato che l’unico interesse della politica è stato dedicato all’economia e all’ambiente. Entrambi gli argomenti, a seguito della pandemia e della guerra in corso in Ucraina, hanno rappresentato gli unici interessi della politica, i leader dei partiti si prodigano a ipotizzare visioni e prospettare strategie economiche e geopolitiche che, se seguite, favorirebbero lo sviluppo economico e consentirebbero all’Italia di avere un ruolo di rilievo nel contesto europeo e mondiale.

Pur consapevoli della necessità di migliorare il “sistema Giustizia”, al quale è legato anche lo sviluppo imprenditoriale, non è stata compiuta nessuna disamina finalizzata a ipotizzarne migliorie tra l’altro visibili, note e certamente più facili da realizzare, né tantomeno è stato mostrato interesse a risolvere le problematiche inerenti: l’adeguamento ai tempi e alla Costituzione delle strutture penitenziarie. In occasione di alcuni suicidi recentemente avvenuti nelle carceri, nonostante la gravità del fenomeno la cui tendenza è in preoccupante aumento, sono stati dedicati soltanto brevi passaggi televisivi. La problematica è stata sostanzialmente ignorata dalla politica, come se le carceri non fossero territorio italiano e i detenuti non fossero persone ma rappresentassero unicamente il reato commesso. Il fatto che nessuna forza politica voglia dedicare attenzione alla gestione delle carceri e all’adeguamento del sistema penitenziario, fa dedurre che non è un argomento che riscuotere consensi elettorali: nella migliore ipotesi la politica lo evita, nella peggiore addirittura invoca l’inasprimento della pena per ricevere consensi.

L’esigenza di aver tralasciato nella campagna elettorale qualsiasi argomento che avrebbe potuto consentire strumentalizzazioni attraverso reminiscenze dei trascorsi politici fascisti è stata evidente in tutte le forze politiche, tutti sono stati cauti a prenderne le distanze, pertanto non comprendo come non si possa iniziare a immaginare la naturale evoluzione dell’ordinamento penitenziario, e di non identificare il carcere come regime unicamente punitivo. Prevedere pene alternative per persone non pericolose per la società civile sarebbe espressione di democrazia e civiltà, non farlo mi fa dubitare che nonostante sia quasi trascorso un secolo, sia stato ereditato il ricordo che qualsiasi trasgressione alle regole debba essere punita con il carcere. È mai possibile che le direttive e gli orientamenti generali che hanno ispirato i padri costituenti a redigere il sempre più citato art. 27, che esprime un concetto nobile e lungimirante sulle finalità rieducative a cui deve tendere la pena, ancora non sono state interpretate né applicate.

Le problematiche delle carceri se analizzate da vicino evidenziano disagi morali e materiali, entrambe sono la causa di gesti estremi, infatti nell’anno in corso si sono verificati circa 70 suicidi. Ci sono casi in cui anche dopo un lungo periodo di detenzione non si è mai avuto un colloquio con educatori e psicologi. In virtù della lentezza della macchina giudiziaria, ci sono casi in cui una persona viene incarcerata dopo decenni: quando ha già una vita nuova, è un padre di famiglia con un lavoro stabile e, entrando in carcere, perde tutto compresa la famiglia e lascia i suoi cari alla mercè degli eventi. Le carceri sono gestite in regime di sovraffollamento, nelle celle non vi è acqua calda, il rispetto della dignità umana non deve sottoporre il condannato a uno stato di sconforto che eccede il livello di sofferenza che deriva dalla restrizione e deve prevenire la tortura psicofisica.

Nel vivere uno accanto all’atro, per avere una minima percezione di privacy e per sottrarsi alla realtà e dormire, si assumono psicofarmaci che, pur se assimilabili a droghe, sono distribuiti a dosi industriali. A volte si ha la sensazione che la cosiddetta somministrazione della terapia sia un toccasana che, affidando al sonno il detenuto, risolve ancor prima del nascere le problematiche di tutti. La rieducazione deve certamente riguardare il singolo, sarebbe altresì necessario individuare le molteplici ragioni che inducono una tipologia di comportamento criminoso e agire all’origine sul sistema sociale. Al momento la priorità pubblica sembra essere focalizzata a punire per poi eventualmente rieducare in carcere e non di profondere energie per sviluppare una cultura di convivenza civica e lavorativa. Quando l’economia va male, non aiuta la serenità di crescita, vivere in condizioni d’indigenza influisce negativamente sulla salute e sulla psiche dei piccoli, fenomeno che nel tempo punisce la società che lo ignora.

(*)  Gino Sitri è un nome di fantasia per proteggere la privacy di un detenuto


di Gino Sitri (*)