L’ondivago primato della coscienza, perché quella di un medico vale meno?

giovedì 13 ottobre 2022


Nel corso della campagna elettorale e anche successivamente, durante i diversi dibattiti televisivi, molti ospiti dello schieramento di sinistra (più o meno radicale) hanno più volte denunciato il fatto, per loro deplorevole, che troppi medici in Italia oppongono alle richieste di aborto l’obiezione di coscienza prevista dalla legge. Pare addirittura che la percentuale, variabile da regione a regione, di medici obiettori superi in media la misura dell’85 per cento e ciò viene visto da costoro come una sorta di insopportabile scandalo al quale bisognerebbe porre fine.

Tutto chiaro dunque? Non mi pare. Infatti, questa censura forte e ripetuta contro l’obiezione dei medici verso la pratica abortiva credo che entri in rotta di collisione proprio con quel diritto all’obiezione di coscienza che le forze politiche di sinistra e radicali sbandieravano quando, decenni or sono, si trattava di far cessare l’obbligo della leva militare, visto appunto come una sopraffazione politica bellicista rispetto alla coscienza individuale tendenzialmente pacifista. In quegli anni, la pressione esercitata a livello politico, sociale e comunicativo fu particolarmente intensa e capillare, nel nome del primato della coscienza dell’individuo, considerata giustamente come un sacrario inviolabile dallo stesso ordinamento dello Stato. Infatti, come esito di tali pressioni, si ebbe la fine del servizio militare obbligatorio e l’introduzione del servizio civile alternativo, proprio in ossequio alle ragioni della coscienza.

Sorprende allora parecchio che quelle medesime forze politiche che anni or sono affermavano a gran voce il primato della coscienza, oggi, a proposito dell’aborto, censurino a ripetizione l’obiezione di coscienza dei medici: che forse esistono due forme di obiezione? Una buona, perciò consentita e una cattiva, perciò da combattere? O forse esistono coscienze rispettabili e altre che, per oscuri motivi, non lo siano? 

Si consideri, inoltre, come per un verso il giuramento di Ippocrate – sia nella sua versione originaria, sia in quella riveduta e corretta – impedisca al medico qualunque atto causativo di morte; e per altro verso, come nel momento in cui l’obiezione viene riconosciuta e prevista dall’ordinamento, perdendo la propria genuinità originaria, divenga null’altro che una deroga alle norme vigenti. E di questo parliamo, né più né meno.

Piuttosto, ci si chiede come mai nessuna obiezione sia prevista per il giudice che, sia pure indirettamente, partecipi alla procedura abortiva. Che forse il giudice non goda di una sua coscienza autonoma? Che forse possa giudicare senza coscienza? O con una coscienza che, come una fisarmonica, si espanda e si riduca a seconda delle circostanze? Anzi, forse proprio in virtù di questa assente previsione di legge, i giudici avrebbero l’occasione – se chiamati a partecipare a una procedura abortiva – di opporre una obiezione di coscienza tanto autentica quanto per loro pericolosa, per le conseguenze che ne potrebbero derivare a loro carico.

Ma chi ha mai detto che l’obiezione non debba comportare pericoli di varia natura per chi la professa? Anzi, più rischi comporta più essa sarà autenticamente testimoniata e più sarà socialmente credibile: una obiezione comoda e pantofolaia lo è assai di meno, perché la coscienza chiede di essere testimoniata e non semplicemente predicata.

Indimenticabile, in proposito, Re Baldovino del Belgio che nel 1990, per non promulgare con la sua firma la legge che legalizzava l’aborto, chiese e ottenne dal Parlamento di essere sospeso dalle sue funzioni: la legge fu promulgata da un luogotenente e non reca la sua sottoscrizione. Ma mi rendo conto che queste altezze dello spirito sono accessibili solo a poche anime nobili, capaci di guardare oltre. Ai più sono precluse.

(*) Tratto da La Sicilia


di Vincenzo Vitale (*)