La professionalità dimenticata

giovedì 13 ottobre 2022


Viviamo in un’era caratterizzata dalla produzione massiva dell’offerta formativa universitaria. I corsi di laurea proposti dalle università di ogni genere, statali, private e telematiche si moltiplicano ad ogni apertura dell’anno accademico. Se poi gli stessi siano realmente formativi e tali da inserire nel mondo del lavoro non è importante: ciò che conta è aumentare il numero dei laureati. Ma mentre fioriscono formazioni settoriali in ogni campo, le facoltà che un tempo erano considerate pilastri nella formazione universitaria riempiono la scatola dei ricordi: tra queste la Facoltà di Architettura.

Negli ultimi decenni, intorno alla figura dell’architetto aleggia una confusione generale per lo più dovuta dal proliferare di competenze sovrapposte e alternative, che hanno portato l’architettura ad un ruolo marginale. A dimostrazione di ciò basta dare un’occhiata alle lauree di accesso richieste per la partecipazione dei principali concorsi pubblici banditi per i profili tecnici, per lo più ingegneristiche. E non solo, nell’ambito del Censimento permanente della popolazione e delle abitazioni svolto dall’Istat alla domanda “In che cosa consiste la sua attività lavorativa?” alla voce “Attività organizzativa tecnica, intellettuale, scientifica o artistica ad elevata specializzazione” l’architetto non è in alcun modo menzionato tra le professioni riportate ad esempio. Eppure, basta oltrepassare i confini, per comprendere l’importanza che questa professione dovrebbe avere.

Purtroppo, anche in questo, i Paesi vicini fanno la differenza. E non occorre andare troppo lontano. In Germania, Francia e Spagna l’architetto è al centro di grandi progetti di riqualificazione urbana, governo del territorio e sostenibilità ambientale. È considerata una figura essenziale nei progetti ad ampia scala perché capace di fondere e conciliare aspetti tecnici, umanistici e culturali. E a casa nostra cosa succede? Viene dato il giusto riconoscimento a questa professione? La risposta è solo parzialmente positiva. Nonostante il Codice dei Beni Culturali richieda solo architetti per la tutela del patrimonio storico non vi sono effettivi sbocchi professionali. Così come appare ai limiti dell’assurdità la circostanza che l’esigenza di reperire tale figura sia stata avvertita, solo adesso, e solo in parte, per la gestione e attuazione del Pnrr.

Solo in parte, perché negli avvisi pubblicati ai fini del conferimento di incarichi di collaborazione per il supporto e la gestione delle procedure complesse riguardanti il Pnrr, la figura dell’architetto non sempre è richiesta. E questo nonostante la normativa attualmente vigente attribuisca piena competenza agli architetti in materia di valutazione ambientale strategica, edilizia e appalti. Senza poi dimenticare che nella bozza iniziale del Dpcm per il riparto delle risorse per il conferimento di incarichi di collaborazione per il supporto ai procedimenti amministrativi connessi all’attuazione del Piano, pubblicata il 7 ottobre 2021, della categoria professionale degli architetti non vi era traccia. Perciò, mentre l’Europa continua ad investire nella creatività, l’Italia dimentica gli architetti e ne sottovaluta l’importanza.


di Ilaria Cartigiano