Il miracolo del neonato del Trapanese

venerdì 7 ottobre 2022


Nel Trapanese, nelle campagne di Paceco, in un campo di erba bruciata dal sole, in un sacchetto di plastica, adagiato sul ventre molle della placenta materna, è stato ritrovato Francesco Alberto, il neonato abbandonato di cui parlano le cronache. “La leggenda del bambino del sacchetto di plastica”: inizierà mai così una storia di amore, abbandono e rifiuto? E sarà mai per Francesco Alberto il sorriso misto di lacrime del suo primo giorno di vita? Come ci interroga questa maternità così scontata, naturale, biologica, sana, santa dirà qualcuno, perché tutti veniamo da lì, dal ventre molle di una placenta.

È accaduto che un contadino, che perlustrava la zona, abbia sentito dei vagiti: prima un singhiozzo, poi una concatenazione di urla strozzate, poi strilla come strillano gli appena nati quando hanno fame, freddo, paura e dunque ha capito che non poteva che trattarsi di qualcosa di anomalo. In genere, in una busta di plastica movente, ci si aspetta di trovare dei gattini o un cagnolino sfortunato, ma i gattini e i cagnolini non piangono a quel modo. Il contadino allora si è precipitato e, sì, si è reso conto che era un neonato quello all’interno della busta di plastica. Sgambettava, muoveva le manine raggrinzite, guardava quel cielo bianco che sventolava sul suo piccolo volto di uomo come un frusciante insieme di vele. Dove mi porta questo vento, questa mia barca che tanto dolcemente mi ha cullato e che ora, dopo una travagliata tempesta, mi ha deposto su un letto di paglia, sul mio ventre molle, con le vele di plastica che rispondono al mio soffio? E un po’ ha giocato, il neonato, come ha fatto via via in quel lungo tempo pacioso, poi si è messo a urlare e urlare fino a che una sagoma enorme e scura non ha incontrato il suo sguardo. E ha ripreso a sgambettare. L’uomo, dal canto suo, non ci ha pensato due volte e ha chiamato i carabinieri, i quali sono accorsi sul posto e anche loro hanno constatato che era proprio un bambino quello che urlava e sgambettava nel sacchetto di plastica. Un bel bambino, vivo e sano, che urlava disperato i suoi diritti.

Ecco, potrebbe iniziare così l’avventura di Francesco Alberto, come è stato chiamato il piccolo ritrovato nel Trapanese e salvato da una pattuglia di carabinieri, che lo hanno tratto fuori da morte sicura se fosse rimasto affamato, al freddo, con l’avanzare della notte scura e feroce? Salvato, avrebbero potuto chiamarlo, in fondo è un nome bellissimo, Salvatore diciamo, e non ci sarebbe stato nulla di illegale. Probabilmente, le infermiere che nelle foto si prendono cura del piccoletto trasportato all’ospedale di Trapani, mentre i medici constatavano il suo stato di salute e ne indicavano il prudenziale ricovero in rianimazione, si saranno interrogate sul nome. Già alla porta, il carabiniere che si era presentato per le formalità legali, si era detto disponibile ad adottarlo.

Chi, appunto. Ci voleva subito un nome, mentre erano prontamente scattate le procedure per rintracciare la donna che lo aveva partorito e abbandonato a quel modo. Sono stati visionati i circuiti delle telecamere della zona, sono state attivate le indagini preliminari, il reato per abbandono di quel frugoletto va dai 6 mesi ai 5 anni di carcere e dunque chi ha agito a quel modo rischia poco e molto. La madre anonima, se resterà tale, o trascinata in un processo per appurare chi è e perché ha fatto quel gesto sconsiderato, dovrà anche lei perdonarsi. Intanto le bianche infermiere, a cui forse è stato chiesto dai formalizzanti un nome, si saranno interrogate su che giorno fosse. E, guarda caso, era proprio il giorno di San Francesco, oltre tutto patrono d’Italia. Così è nata la leggenda di Francesco Alberto: primo nome quello del Santo e secondo nome Alberto come il carabiniere che, oltre a salvarlo, si è fatto subito “padre”.

Piacerà mai questa storia a lui, “l’uomo del sacchetto di plastica”, quando da grande dovesse leggere questo articolo? Aggrotterà la fronte, penserà ai suoi diritti, al fatto che è stato miracolato, si ricorderà dei gemiti, singhiozzi e strilli e capirà che, manco nato, era già il bambino delle televisioni, dei giornali, delle infermiere, dei carabinieri e del contadino. Chi saranno i suoi genitori adottivi, la famiglia in cui è cresciuto, Francesco Alberto? E sua madre, la cercherà, o cercherà nelle cronache se, rintracciata, è stata arrestata o condonata, o le sono stati dati i sei mesi per abbandono. Oppure la leggenda finirà qui, in questa pagina, se la cronaca giudiziaria fornirà altre notizie.

Quanto avrai da fare piccolo uomo scampato a una scatola, come l’altro neonato anche lui di recente ritrovato nei pressi di un ospedale, oppure come i tanti bambini delle ruote medievali finiti nelle braccia dei religiosi, salvati, campati e istruiti, o come i tanti altri angioletti per cui oggi la legge ha previsto che siano stabilite “culle” fuori degli ospedali o di altri centri che rievocano il passato, dove si possono lasciare in sicurezza i bambini. Così è oggi la vita. E la maternità. La madre di Francesco Alberto non rischierebbe nulla se avesse partorito “in anonimato” in ospedale, come è consentito dalla legge italiana. La stessa legge che permette alla madre “di non riconoscere il bambino, perché molte donne hanno il timore di risultare comunque rintracciabili o hanno situazioni familiari che non consentono loro di andare in ospedale”. Quanta fatica per nascere e per venire al mondo! Di questi tempi poi. Ma la sventurata madre, rintracciata o no, potrà sempre dire: “Io ti ho dato la vita”.


di Donatella Papi