Alessia Pifferi, chi è la madre malefica del Gender

martedì 26 luglio 2022


Madri malefiche. Ma questa le supera tutte. Non tanto per l’efferatezza del delitto, per il cinismo delittuoso. Alessia Pifferi, 36 anni, di Ponte Lambro nella periferia di Milano, è la mamma che ha lasciato per sei giorni la figlia di diciotto mesi sola in casa per andare dal compagno, lasciando morire la piccola di fame e di stenti. Diana se n’è andata così, nell’abitazione vuota e serrata senza un filo d’aria nonostante il caldo per non far sentire rumori ai vicini. E per evitare che la bambina abbandonata piangesse a squarciagola, la madre assassina le aveva lasciato nel lettino da campeggio, dove l’aveva adagiata dopo averla cambiata per un’ultima volta, un biberon nel cui latte, però, gli inquirenti temono che abbia versato mezza boccetta di benzodiazepine, un potente calmante. Poi ha raggiunto l’ultimo uomo con cui si era accompagnata, un elettricista di 58 anni, a Leffe, nella bergamasca, dove è rimasta per sei giorni. E pur tornando per mezzo pomeriggio a Milano accompagnando il tizio per commissioni, non le è passato neanche per un attimo di andare a vedere come stava la figlioletta. Ai carabinieri appena arrestata ha detto: “Sapevo che poteva finire male, ma non volevo perdere il mio compagno”.

I particolari che emergono sono uno più agghiacciante dell’altro. Alessia Pifferi ha avuto la bambina da un uomo di cui si rifiuta di dire il nome, l’ha partorita in bagno settimina e racconta che fino all’ultimo non si sarebbe accorta di essere incinta. “Solo quando ho avuto dei dolori lancinanti alla schiena”, mente. La nonna materna, che ora definisce la figlia “un mostro”, pare invece sapesse della gravidanza fin dal terzo mese. Diana è nata con problemi ai reni ed è stata ricoverata per un mese. Era gracile e smunta. “Rivolevo sentirmi libera”: così ha provato a giustificarsi la madre snaturata. Si era sposata, poi si era separata, poi si univa a uomini conosciuti sui siti di incontri, lasciando spesso Diana sola. Prima ore, poi pomeriggi, poi giorni. I vicini la descrivono una madre anaffettiva al massimo, raccontano che teneva la figlioletta con evidenti problemi psicologici e deambulatori quasi sempre sul passeggino, anche quando si portava gli uomini in casa. La sorella, che abita a poca distanza, per questo l’aveva allontanata ma lei aveva detto al compagno di Leffe che poteva stare tranquillo, perché la bimba l’aveva lasciata con la sorella al mare. “Così respira”, aveva finto. Insomma, una caterva di micidiali bugie raccontate con gelida naturalezza, che ricostruiscono i diciotto mesi dell’innocente come un calvario senza uguali.

Gli psichiatri arrancano. Il profilo di questa madre non è quello di una psicopatica classica, o della Medea che uccide i figli per gelosia o la madre bambina. Alessia Pifferi inaugura una nuova categoria: le madri omicide che hanno smarrito il femminile e la maternità. Si dirà che non si deve speculare sulle disgrazie, ma a mio parere non si può fare a meno di fare una riflessione sociale e politica su questo caso. Perché la domanda è corale: come è possibile che ciò accada?

Ci sono alcuni elementi che si congiungono in questa nerissima storia. Il primo riguarda proprio il femminile. Il principio di libertà ed emancipazione propagandato in questi anni è stato privato dell’adeguato corredo culturale, occupazionale e valoriale, che avrebbe dovuto formare donne per il lavoro, per le professioni, per la carriera. Donne sane, donne forti, donne valide e madri migliori di quelle del passato, più consce e più informate. Invece la libertà e l’emancipazione del progressismo sinistro, volendo scardinare i principi cattolici e tradizionali, hanno riguardato la sfera del sesso e pertanto si è creata una donna più sessuale di quanto non lo fosse mai stata. Le immagini delle star-influencer maliarde, ritoccate, dai seni abbondanti, dalle labbra turgide, accattivanti oggetti del desiderio si sono abbattute sugli strati sociali più bassi e più fragili determinando una forma di “prostituzione congenita”. Donne libere di andare con gli uomini senza remore e senza peccato, padrone del proprio corpo, del proprio orgasmo, dell’“utero è mio”. Quaranta sfumature di rosso e di grigio. Ma non solo con un uomo, con il fidanzato, con il compagno.

La libertà delle donne oggi è fluida! Si possono avere amanti occasionali, partecipare a orge, amori di gruppo, esperienze estreme, cambiare partner, vivere relazioni omosessuali, bisex, essere binarie oggi ed etero domani, scambiarsi con trans. Mi scuso se scrivo inesattezze, perché ne so poco e di tanto in tanto apprendo declinazioni che non riesco neppure a decifrare. Ma questo accade – anzi, molto di più – e va detto. Il sommerso progressista sessista deve emergere in tutta la sua evidenza e la gente, per di più in campagna elettorale, deve capire se legittimare questa fiera del disumano. Perché il programma prosegue con la droga libera, i matrimoni Lgbt, le maternità surrogate, ogni sesso e ogni accoppiamento sdoganati.

Quello che è accaduto ad Alessia Pifferi non ha nulla a che vedere con la psicosi, la droga, l’indole criminale. Sono le donne nuove del nuovo universo gender. E sono le figlie di quella “cultura abortista” per cui “è colpa vostra se mi ritrovo un bambino che non volevo”. Sono le degenerazioni del femminismo deviato del “corpo è mio e lo gestisco io” dentro le consorterie dei partiti ateisti post comunisti, che ai livelli alti, delle donne in carriera e spettacolo diventa il ruggito indipendentista che produce secche separazioni e vite proprie (Michelle Hunziker da Tommaso Trussardi, Ilary Blasi da Francesco Totti, solo per citare le ultime clamorose, quando non nuove coppie lesbiche o gay come il recente matrimonio di Francesca Pascale con Paola Turci), ma nella società scarna e povera di modelli sani, di riferimenti etici, di educazione e spessore il “piano Gender” produce “mostri”.

In questo senso, la tremenda fine di Diana, morta a 18 mesi, abbandonata da una madre che rivendica orribilmente il diritto di sé, diventa una vicenda socialmente politica. È il degrado dell’annullamento della famiglia. Infatti, in questa vicenda mostruosa non c’è più una sorella che tale possa definirsi, perché le sorelle scappano, ignorano, si dileguano. Non c’è una nonna, perché se non sei stata una madre, non sarai mai neppure una nonna. Non c’è una zia, un parentado, neppure un’amica, un gruppo, un vicinato. È la società indifferente e isolata del Covid-19, declinata verso la morte sulle note dei Gay Pride. E non ci sono i servizi sociali, per questo la vicenda è strettamente politica, perché occorre una riforma drammatica in questo settore dove si annidano deformazioni e connivenze. Perché la morte di Diana, per sei giorni chiusa in casa senza che qualcuno l’abbia cercata, sentita, si sia preoccupato di lei, un padre, una madre, un assistente, n-e-s-s-u-n-o, è la conseguenza anche del principio di autodeterminazione materiale e sessuale. Chi dice che l’omosessualità è un diritto e una forma di cura e di amore, sbaglia gigantescamente. La prova è nella scomposizione del femminile e del materno, che non appartiene più alla donna.

Alessia Pifferi mostra l’evidenza dell’annullamento naturale a favore di deformazioni come la maternità surrogate, i figli a coppie lesbiche e gay da una parte e l’aborto come principio dall’altra, fino al concetto di vita e morte evaporato nell’eutanasia. Tutto questo nelle menti fragili, povere, dannate si abbatte come uno tsunami orripilante fino all’orrore di questo caso. Ripeto: un fatto politico! Come lo era già il caso di Marina Patti, la mamma che ha ucciso a coltellate la figlia Elena di sei anni per un dispetto al papà che si era rifatto una vita. Come altri casi, che segnalavano la digressione dal femminismo come emancipazione per un arretramento devastante conclamato nelle “terrazze paradiso”, nella facilità con cui le ragazze si fanno oggetto e giocattolo di giochi pervertiti. Non solo femminicidi, uno sterminio.

Il caso di Alessia Pifferi diventa il profilo della donna privata dell’essere donna, madre e moglie per diventare un corpo sessuale, da cui è uscita casualmente una vita, in bagno senza neppure accorgersene. Di Diana non c’è una foto, un video, un compleanno, un battesimo. Non più una creatura, una figlia, ma un cuore battente tra pannolini pieni di vermi, finito di battere tra stenti e morsi. Questo è il sessismo progressista, il Gender, che si preoccupa solo di culi e vagine. Altro che Elodie a cui fa paura il programma della destra! Non si tratta di destra o sinistra. Bisogna agire senza tentennamenti. Non per far vincere una parte. Per salvare quello che è rimasto, per mettere le mani in questa melma e recuperare l’umano.


di Donatella Papi