Stop alla strage degli annegamenti con il nuoto “per tutti”

giovedì 21 luglio 2022


Siamo al sesto annegamento in due mesi, bisogna fermare la strage degli annegamenti. Mercoledì 20 luglio il piccolo Fabio, 4 anni, ha scavalcato un muretto, è entrato nella piscina degli adulti, dove l’acqua era troppo alta per lui, ed è morto annegato. È accaduto nella piscina di una polisportiva a Grotte di Castro, in provincia di Viterbo. Il bambino, originario con la famiglia di Bagnoregio, era affidato a un centro estivo. Un attimo di distrazione degli adulti è stato fatale.

Pochi giorni prima, il 16 luglio, un piccolo di 6 anni era morto annegato in Sardegna, nella piscina del Cala Luas, una struttura nella costa orientale dell’Ogliastra. Verso le diciotto un cliente del Resort aveva notato il corpo del bimbo nell’acqua immobile e con il volto rivolto verso il fondo. I bagnini sono intervenuti immediatamente, ma nonostante il massaggio cardiaco il piccolo non si è ripreso. Non è stato sufficiente neanche l’arrivo del 118 con l’elicottero dell’Areus, decollato da Olbia. Dopo un’ora di tentativi di rianimazione, ne è stato dichiarato il decesso.

Distrazioni, imprudenze, mancate vigilanze, ma anche un dato inequivocabile: l’importanza di saper nuotare. Tra tutti gli sport il nuoto dovrebbe essere obbligatorio, non solo per i suoi benefici, perché saper nuotare salva la vita. In un Paese come l’Italia immerso nel Mediterraneo, bagnato da sei mari e con circa 8mila chilometri di coste, essere un nuotatore è un’esigenza strutturale. Soprattutto nel momento in cui si registra anche un incremento della costruzione di piscine private. I dati più aggiornati indicano l’esistenza di 430mila piscine residenziali. Ancora poche rispetto ai 2 milioni dei francesi, 1,4 milioni degli spagnoli, 1 milione dei tedeschi e gli oltre 10 milioni degli americani. Stiamo parlando di piscine private dove difficilmente si svolge attività sportiva, ma dove cadere e affogare può capitare non solo a bambini e ragazzini, anche agli adulti. Come è sciaguratamente accaduto a Diongue Madiaye, un 21enne di origine senegalese morto annegato mentre faceva il bagno nella piscina di un importante hotel di Riccione.

Occorre implementare e rilanciare il programma Coni Ragazzi, il progetto sociale, sportivo ed educativo, frutto della collaborazione tra presidenza del Consiglio dei ministri, ministero della Salute e Coni, che nel 2017 aveva fatto registrare numeri importanti: 16.500 ragazzi dai 5 ai 13 anni che, attraverso una rete capillare di circa 800 società sportive dilettantistiche, hanno avuto la possibilità di praticare gratuitamente a più di 60 diverse discipline, all’interno di 1.400 impianti sportivi, per due ore a settimana.

Sport e corsi di nuoto per tutti. Ai miei tempi ho iniziato nei Centri Coni. Negli anni Sessanta, le piscine comunali erano aperte ai ragazzini dai 6 anni che praticavano il nuoto se non proprio gratuitamente, a prezzi davvero popolari, circa 15mila lire al mese. Oggi, soprattutto nelle cittadine, i Centri Coni scarseggiano e le società private, incalzate anche dai costi energetici, praticano prezzi esosi per le classi meno abbienti. Non si tratta di varare altri bonus in un crescendo irregolare e fuori controllo, ma di pianificare una politica sportiva che raccordi sempre di più scuole e centri sportivi, al fine di aumentare il numero degli iscritti, trovare risorse di base e portare allo sport un numero crescente di giovani.

Intendo fare una notazione: lo sport gratis non è educativo. I ragazzi lo fanno di malavoglia e senza impegno. Diversa erano la politica dei “prezzi popolari” e soprattutto le politiche idonee scuola-famiglia-giovani. Invece, si è implementato lo sport-spettacolo e le mode spesso stolte e controproducenti. Sono aumentate le palestre di pesi, difesa, discipline fondate su tecniche aggressive (non cito neppure le bizzarre discipline dai nomi fantasiosi) per energumeni e donne androgine che, tra macchine e integratori, fanno la fine dei fratelli Bianchi, i “mostri” che hanno fatto a pezzi il povero Willy Monteiro Duarte. Può dirsi sport questo? Il caso ha fatto scalpore, i fratelli Bianchi sono all’ergastolo in primo grado, ma non c’è stata una opportuna ricognizione del degrado sportivo di strutture dove circolano non solo integratori, ma anche droga e una mentalità culturista da “terrazze paradiso” per donne e uomini muscoli e silicone piuttosto che podi e medaglieri.

Eppure, lo sport agonistico coi i suoi tanti miti del tennis come Matteo Berettini, della corsa come Marcell Jacobs, del nuoto come Federica Pellegrini, vive una stagione felice. Ma anche i grandi campioni la smettano di fare soldi con la pubblicità contro la forfora. Il loro ruolo è anche quello di essere ambasciatori sportivi promotori di sport sani e formativi, di cui il nuoto è uno dei primi per una generazione di giovani che o sono davanti al computer o accarezzano l’idea di gonfiarsi i muscoli tatuati. Tornando a una vera politica sportiva, avremmo potuto salvare la vita di Francesco, il bimbo di 2 anni sfuggito a Santa Severa alla baby-sitter e ai bagnini, che si è diretto in mare da solo e in un palmo d’acqua ha trovato la morte. Oppure le vite del papà di 44 anni e del figlio di 8 sbattuti nelle acque di Fano dalle onde e annegati mentre l’amico e il fratello più abili nuotatori si sono salvati. Si parla di Ius soli e Ius scholae, ma che cittadinanza si vuole dare se non si garantisce un’educazione sportiva corretta, che non è solo il tifo da stadio, e pratiche atletiche di base per crescere con “menti sane in corpi sani”. Questo è un dovere.


di Donatella Papi