Coinvolgere il popolo

domenica 17 luglio 2022


Senza riferimento all’azione partitica ma di certo ovviamente alla situazione politica nel significato preciso, gli orientamenti di una società; ebbene, che vogliamo? Tentare o no di mettere fine alla guerra o continuare ad associarci agli attuali strenui sanzionatori bellicosi? Avversare, e come, la malattia inflazionistica, debilitantissima? Affrontare in che modo la risorta pandemia non rendendola fonte di dominio sociale, reclusione, impaurimento? Ovviamente nessuno si illude, nel caso della pandemia, che la “quarta dose” sarà per gli anziani e non si spargerà all’intera popolazione. Guardiamoci allo specchio. Attualmente né il nostro Paese, né l’Europa, né oltre l’Atlantico vi è il minimo risveglio in favore della pace, anzi certezza di durata. Ma nello stesso tempo si afferma che la guerra porta danni.

Sicché, non vi è programma di salvezza, di beneficio continuando come nel presente. Allora, perché continuare? Sull’inflazione avremo quasi certamente pestiferi esiti e non esclusivamente per le merci, ma caduta delle azioni, accrescimento degli interessi da corrispondere alle emissioni pubbliche, differenziale, se poi la moneta europea verrà scantonata, devalorizzata la situazione si danneggerà massimamente, coloro che vivono e sopravvivono di reddito fisso si impoveriranno di brutto, la domanda patirà, non dico che avverrà se i tassi saranno sospinti. Insomma, buio.

Potrei aggiungere la questione pandemica, se verrà affrontata come ragione per chiudere ne avremo i problemi avuti. Perché questa esposizione al negativo del resto nota a ogni cittadino? Perché non possiamo fare politica come la stiamo facendo! Non siamo in un periodo normale. A momenti di eccezione occorre rispondere con apporti eccezionali. Occorre un radicale cambiamento di prospettiva vitalistica, una propulsione politica che attinga non solo ai partiti e ai parlamenti ma direttamente al popolo e da parte di personalità che abbiano il carisma della salvezza nazionale (esiste). Certo, gli organismi di mediazione li abbiamo e devono operare ma vanno accesi non rendersi ritualismi burocratici.

Nei casi come gli attuali le mediazioni (partiti, sindacati, organismi rappresentativi) vanno infiammati in scopi di salvezza dentro i quali vibri la volontà nazionale di salvarsi, con tutto l’impegno del più remoto cittadino. È la Nazione intera che deve essere coinvolta non soltanto organismi rappresentativi. Il popolo! Il Governo di unità nazionale non deve restringersi al governo di molti o tutti i partiti ma dell’apporto contributivo alla salvezza da parte di tutti i cittadini.

In casi come il nostro occorre la “volontà generale”, anche di un individuo capace di impersonarla (un Charles de Gaulle, un Winston Churchill). Il ritualismo odierno burocratizza la drammaticità. Occorre che il politico si avvinca alla Nazione in rapporto diretto, “personale”, magari rendendo presidente con poteri dilatati il presidente della Repubblica. Un presidente carismatico, altrimenti burocratizziamo la politica. E cessino le liturgie giuridiche di un’osservanza spenta. Che vale dirsi europeisti, atlantisti, bisogna percepire se l’ossequio all’europeismo, all’atlantismo ci salva. Non è che se l’Europa sbaglia essere fedeli e dirsi europeisti vale a priori. Troppo formalismo, bisogna suscitare una religione politica, entusiasmo di salvezza. I popoli hanno risorse oceaniche se credono nei loro esponenti. E sono coinvolti direttamente. Anzi, cercano uno scopo entusiasmante. Significa psicologizzare la politica, l’economia? Sì! Attingere agli spiriti vitali.

Alla fede, alla fiducia in chi governa. Questo non esclude la competenza nei vari territori, ma il governo dei competenti non muove un ramo. I grandi fini promanano da slanci di fede, per questo le religioni sono insuperabili. Non concepire la politica come fonte di sacrifici ma di entusiasmo umano (e nazionale). Non operazioni di soltanto di ragioneria, elargizione di denaro quasi che la politica si risolvesse con la collocazione del denaro ma uno scopo spirituale, etico, entro il quale porre l’abilità dell’economista, da sola inefficientissima. La politica non può ricondursi ai calcoli sulla spartizione del denaro. Del resto, fallisce squallidamente.

E non ci sono rischi per la libertà, per la democrazia. Un potere che attinge al popolo per salvarlo entusiasmandolo a tal fine è la democrazia in atto, non cerca di dominare altri ma di non soccombere. Se continuiamo come nel presente la società non vivrà politica se non come eseguita da professionisti in doppiopetto in saloni con l’aria condizionata. Occorre un vento etico. È romanticismo politico? Sarà, ma la politica con il pallottoliere e i ritualismi con il popolo fuori dalla porta non lo coinvolgerà. E vivremo situazioni che senza intesa tra popolo e rappresentanza potrebbero suscitare il marasma.

Bisogna coinvolgere fin da ora la Nazione a un progetto di salvezza, direttamente, dal presidente al popolo. Personalizzare il rapporto tra popolo e chi governa. Un patto anche emozionale. Quando la crisi e se la crisi si accentuerà l’esigenza di un rapporto tra un governante e il popolo si imporrà. Ma certo, se la situazione non fosse quale è non faremmo queste ipotesi! La facciamo, la faccio perché t(r)emo che possa continuare come nel presente!


di Antonio Saccà