Michele Nardi racconta la persecuzione giudiziaria

lunedì 11 luglio 2022


Il 14 gennaio 2019 i carabinieri di Barletta, su delega della procura di Lecce, procedevano all’arresto del dottor Michele Nardi (sostituto procuratore della Repubblica di Roma) per i reati di associazione a delinquere e corruzione. Dopo 30 mesi di custodia cautelare, di cui diciotto in carcere, Michele Nardi veniva condannato in primo grado alla pena di sedici anni e nove mesi di reclusione. L’1 aprile 2022 La Corte di Appello di Lecce ha annullato per incompetenza funzionale la sentenza di condanna, ordinando la trasmissione degli atti alla procura di Potenza.

Lei dottor Nardi si è sempre professato innocente…

Io mi sono professato innocente, e continuerò sempre a professarmi innocente, perché lo sono. Le accuse nei miei confronti sono basate sulle dichiarazioni di un presunto collaboratore, che ha prodotto certificazioni mediche da cui risulta che era un alcolista cronico affetto da sindrome paranoica. Abbiamo dimostrato in dibattimento che ha mentito su centotrentacinque circostanze fattuali differenti, alcune di queste le ha ribadite decine di volte, quindi mentendo centinaia di volte nel corso della sua deposizione.

E tuttavia lei è stato condannato. Quali sono le prove a suo carico, a parte le dichiarazioni di questo presunto collaboratore?

Io vivo e lavoro a Roma dal 21 febbraio 2006. L’accusa che mi viene fatta, e per la quale sono stato condannato in primo grado, è sostanzialmente quella di essere concorrente morale, cioè ispiratore, in atti corruttivi posti in essere da magistrati di Trani, cioè a cinquecento chilometri di distanza. Non ci sono intercettazioni telefoniche fra me e i presunti associati. Quindi, non comprendo come avrei potuto dirigere un’associazione a delinquere, se non con la telepatia. Nessuno mi ha visto prendere del denaro. Non mi è stato trovato del denaro se non quello proveniente dal mio stipendio. Né vi è prova che il presunto corruttore avesse disponibilità di tutto il denaro necessario per commettere queste corruzioni. Ma è bastata la parola di questo presunto collaboratore, supportata da qualche chiacchiera da bar, per arrivare a condannarmi sostanzialmente a morte: sedici anni e nove mesi dati a un uomo di cinquantacinque anni sostanzialmente significa condannarlo a morire in carcere.

Lei ha trascorso 18 mesi in carcere. Com’è stata la sua esperienza carceraria?

Terrificante, come del resto è facilmente immaginabile. Per i detenuti ero un magistrato, quindi un nemico da irridere e insultare. Per le guardie carcerarie un traditore dello Stato da trattare peggio degli altri detenuti. Per fortuna, ho conosciuto anche persone straordinarie, di grande generosità e umanità, che mi hanno aiutato a sopportare questa autentica tortura.

La sua custodia cautelare è stata annullata tre volte dalla Cassazione, ma lei è rimasto in custodia ben 30 mesi…

Il metro di valutazione utilizzato nei miei confronti è stato particolarmente severo. Sono stato lasciato in carcere anche durante la prima ondata di Covid, nonostante il servizio sanitario carcerario avesse segnalato autonomamente e di propria iniziativa al tribunale di Lecce le mie condizioni di particolare vulnerabilità, vista l’insufficienza respiratoria cronica preesistente. Evidente che un’infezione da Covid avrebbe messo in serio pericolo la mia vita. Questo, mentre per lo stesso motivo, venivano scarcerati i boss mafiosi. Mentre io sono stato lasciato in carcere dal tribunale, che ha ritenuto che non vi fosse alcun pericolo e bastava osservare la distanza sociale. Forse il tribunale ignorava quanto sono sovraffollate le celle delle carceri italiane…

Come ha vissuto il rapporto con i mass media?

I mass media sono stati lo strumento attraverso il quale la procura ha propagandato la propria tesi accusatoria. Non è mai stato dato spazio alle ragioni, agli argomenti e alle prove addotte dalla difesa. Hanno scritto una sentenza di condanna ancora prima del tribunale. Sui social poi, mentre io ero in carcere, i miei figli venivano aggrediti e minacciati di morte. Abbiamo presentato regolare denuncia alla procura locale, che ovviamente non ha mosso un dito. A oggi le centinaia di persone che hanno minacciato anche di bruciare vivi in casa i miei figli, per il solo fatto di essere i miei figli, non sono stati raggiunti nemmeno da una richiesta di spiegazioni da parte dei carabinieri o dell’autorità giudiziaria. Vede, la gente ama la forca, il popolo invoca sempre la crocifissione di chi è accusato di qualcosa, senza interessarsi se l’accusa sia fondata o meno. La folla è una bestia feroce senza cervello, facilmente manovrabile, manipolabile. Le grandi dittature del Ventesimo secolo lo hanno dimostrato ampiamente. Quello che davvero sconcerta è perché la gente non si renda conto che ogni volta che urla più forte, invocando pene terrificanti, esecuzioni senza processo, emette semplicemente delle condanne senza conoscere i fatti. Così la gente sta rinunciando a un pezzetto delle proprie libertà, dei propri diritti: di questo il singolo se ne accorgerà soltanto quando verrà toccato dall’ingiustizia, e prima o poi tocca a tutti, nessuno escluso. Nessuno si sente al sicuro quando le libertà e i diritti lasciano lo spazio al buio, dell’irrazionalità e della violenza.

Come spiega la sua vicenda giudiziaria? Un mero errore come tanti che si contano in questo Paese ogni anno o qualcosa di più o di diverso?

Voglio credere, voglio fortemente credere, alla buona fede di chi mi ha tenuto in carcere diciotto mesi. Di chi mi ha esposto al pericolo mortale da contrarre in carcere. Di chi mi ha comminato una pena degna di un omicidio e non di una corruzione. Di chi non ha voluto considerare le prove a mio favore. Di chi non ha voluto ammettere i testimoni indicati dalla mia difesa. Di chi ha voluto credere ciecamente alle dichiarazioni di un soggetto chiaramente inattendibile. Voglio credere fortemente alla loro buona fede, altrimenti non potrei voler tornare ancora a essere un magistrato, cioè un loro collega. Certo, appare strano agli occhi di tutti, non solo ai miei, che nonostante da oltre sedici anni io viva e lavori a Roma, venga trascinato in processi penali, i più fantasiosi possibili, dalle procure pugliesi. Ma il tempo rivela sempre la verità.


di Ruggiero Capone