La città post-Coronavirus

giovedì 16 giugno 2022


Riprendo un mio testo sulle “Città deserte da Coronavirus”, alla vigilia di risse estive e movide notturne che coinvolgeranno i ragazzini e i loro nonni, mentre sui tg infuriano omicidi familiari e le notizie sulle gang giovanili tra Gardaland e Milano. Qualcosa è cambiato dal lockdown che ha desertificato le città? Oggi le Riviere nei fine settimana sono più affollate di un vasetto di acciughe sott’olio. Alla faccia del raddoppio del prezzo della benzina, ci sono più auto che persone e le passeggiate al mare sono piene come le ramblas di Barcellona o la Vuccirìa di Palermo. Dobbiamo esserne contenti, oppure stiamo vivendo ancora isolati e terrorizzati, mascherinizzati e impauriti? Oppure viviamo dentro città-prigione, come nel film di John Carpenter 1997, Fuga da New York?

Cosa è cambiato in due anni, tra le immagini delle città d’Italia di Giorgio de Chirico, deserti epidemici, e quelle ingolfate, urlate, sfiorate dalla russificazione del territorio? Sono ancora piene di Storia, di architetture classiche, di monumenti umbertini, di tracce architettoniche del neoclassico prima giolittiano e poi fascista? Paul Virilio (1932-2018) è stato professore emerito dell’École Spéciale d’Architecture di Parigi, dove entrò nel 1968 per poi diventarne direttore e presidente del Consiglio d’Amministrazione. La Dromologia è la scienza fondata da Virilio: studia le dinamiche degli spostamenti, la velocità urbana e interurbana. È uno studio sociale del territorio, anche in relazione alla guerra e al potere.

I terrorizzati

Un importante testo di Virilio ha il titolo di “Città Panico” (2004). L’autore descrive le immagini di New York dopo la caduta del World Trade Center, di Baghdad dopo la fine della dittatura di Saddam Hussein. Ricorda la Parigi degli attentati islamisti e Gerusalemme col suo “muro di sicurezza”. Sono tutti esempi di “Città Panico che più di ogni teoria bla-bla evidenziano che la vera catastrofe della modernità è la metropoli, divenuta sede delle guerre contemporanee che hanno sostituito le battaglie “campali” in cui si fronteggiavano soldati in armi invece di cittadini inermi. Siamo inchiodati a uno stato di allerta permanente, ammonisce Virilio, per un incidente sempre possibile, sempre annunciato e sempre rinviato. Ogni telegiornale è un bollettino di guerra, e a ogni dramma lontano tiriamo un sospiro di sollievo. Abbiamo bisogno di un ministero della Paura per amministrare meglio città in cui è concentrata la ricchezza ma anche la fragilità del progresso. “L’incidente del futuro” (2002) descrive lo stesso contesto: dipendiamo e contemporaneamente detestiamo sempre più la politica. Ci fidiamo ciecamente degli scienziati e, contemporaneamente, diamo fiato alle trombe di chi preferisce la medicina prescientifica e grida contro i vaccini. L’etica e la fede sono materia di qualche articolo o documentario, nulla più nella nuova urbanizzazione il cui unico dio è il Panico. Se prima le città chiudevano le porte al nemico, oggi sono rinchiuse in una guerra civile continua, un ring da cui non si può fuggire.

Gli Indifferenti

Crimine e buona educazione sono la declinazione della stessa vita: vivono uno a fianco dell’altra. Nelle notti stellate estive bande giovanili di ragazzi fanno il paio con i cani dei loro genitori. I quadrupedi –sostituti dei figli – abbaiano liberamente su ogni balcone lungo le notti estive e invernali, mortificando il sonno dei vicini in nome della difesa dell’appartamento. Le bande dei rarefatti figli si saldano in patti di sangue basati sull’affermazione di un “noi” che certifica l’esistenza in vita con il teppismo, rompere vetri, scrivere sui muri, urlare alle tre di notte, pestare ragazzi di altre bande. Nella Città Panico ognuno ulula per affermare di esistere. L’altro viene adorato a parole con la post religione del politicamente corretto, ma nello stesso tempo viene odiato. Lo status del cittadino, terrorizzato dalla descrizione mediatica del crimine a livello mondiale e dal crimine di quartiere, è la coabitazione forzata. Ci siamo appiccicati all’altro per difenderci meglio. E questo ci consegna alla sparizione di ogni altra forma di incontro. Il disamore è la migliore forma di affetto nella Città Panico: meglio non amare, se tutti sono vittime di un futuro incombente. Eccoci preda della “Divina Indifferenza” di cui poetava Eugenio Montale e di cui scriveva Alberto Moravia.

Cesare disse “Alea iacta est” mentre varcava il Rubicone per invadere l’odierna Francia. Il terrorizzato e l’Indifferente non getteranno mai il loro dado e non prenderanno mai decisioni che non siano quelle previste dal contesto: o la rivolta teppistica e il crimine, oppure il tapparsi occhi naso orecchie e bocca con le mani della non volontà e dell’incapacità di sapere.

Il terrorizzato è lo specchio del terrorista

L’esercito russo ci invade? Non si muova una foglia! Abbiamo paura di cambiare in meglio: preferiamo il peggio. Però i nuovi barbari che detestano la logica, la convivenza civile, la scienza e i vaccini in una cosa hanno ragione: il panico è un prodotto dittatoriale. Peccato che il loro antipanico sia solo un altro tipo di paura. Ciò che ci aspetta è un futuro senza avvenire (senza divenire), nelle società dominate da una dittatura come nelle democrazie. Il futuro è schiacciato come un passero sotto un camion: è aperto solo all’incidente e alla sua mondovisione. L’invasione dell’Ucraina era di un’evidenza scontata da anni, così come la bomba atomica in mano ai folli komeinisti iraniani. Eppure, tutti hanno preferito rinchiudere fuori dalle mura della città ciò che stava succedendo, coperto da un muro di omertà mafiosa dei media mainstream. Oggi, però, i problemi sono dentro le città e il male non si ferma più con la maschera e il lockdown. È l’ora di tornare a cercare il meglio. La felicità è una conquista personale: non si può comprare, si deve pagarla in altro modo. Con una vita migliore, per esempio. E con il ritorno alla coscienza, lasciando perdere l’inconscio freudiano.


di Paolo Della Sala