martedì 26 aprile 2022
Inviterei i colleghi magistrati a leggere il punto nel quale Piercamillo Davigo dice di avere rinunciato, com’era suo diritto, a sollevare questioni sulla competenza territoriale del Tribunale che dovrà giudicarlo.
Sappiamo tutti che, a differenza di quella per materia, la competenza per territorio è derogabile e conosciamo, altresì, le regole previste per l’ammissibilità dell’eccezione di incompetenza.
Ma non è tutto qui. Rinunciabile o no, l’eccezione investe direttamente uno dei principi sui quali si regge l’impianto costituzionale, che prevede, per ogni fatto, un giudice naturale precostituito per legge.
Convinto come ogni imputato di vedere riconosciuta la propria innocenza da qualunque giudice, Davigo mostra ancora una volta di non avere dismesso la toga (come gli è stato ricordato) e dà prova di scarsa sensibilità per temi che, invece, meriterebbero maggiore rispetto.
Il giudice naturale non è un accessorio insignificante nel sistema, ma la prima tra le garanzie riconosciute a chi deve rispondere di un reato. Di giudice naturale ce n’è uno e uno soltanto.
Naturalmente, l’accusato è libero di non rivendicare il suo diritto, ma la rinuncia non cancella il principio e non trasforma, come alcuni pensano, in teppismo processuale il comportamento contrario.
Viviamo tempi oscuri, nei quali l’erosione dei diritti, in molti casi, si presenta come un atto di coraggio proprio di chi, essendo innocente, crede di non averne bisogno.
Invece, no: quei principi, quelle regole, quei diritti sono espressione di una civiltà giuridica che speravo essere definitivamente radicata in noi tutti.
Bonnes chances, cher ami: spero non debba pentirsi delle sue parole. Ma, soprattutto, spero non dobbiamo pentircene noi, che in quei diritti crediamo da sempre.
di Mauro Anetrini