Covid, malattie degli atleti, cardiopatie: parla Ivo Pulcini

martedì 19 aprile 2022


Settantasei anni ottimamente portati, originario di Leonessa, persona tanto competente ed equilibrata quanto umile, il dottor Ivo Pulcini, cardiologo, medico sportivo, posturologo, si occupa anche di medicina manuale osteopatica e alimentazione, ed è stella d’oro al merito sportivo e consigliere dell’Ordine dei medici e odontoiatri di Roma e Provincia. Ma soprattutto è, dal 2006, direttore sanitario della Società Sportiva Lazio (incarico riconfermatogli, l’autunno scorso, dal presidente Claudio Lotito). Con lui, come specialista di vasta esperienza, e, soprattutto, responsabile della salute quotidiana degli atleti di una delle principali associazioni sportive italiane, parliamo di vari temi “scottanti” in campo sanitario (e non solo): come Covid, malattie professionali dei giocatori, contrasto e prevenzione delle cardiopatie nello sport.

Dottor Pulcini, a due anni, ormai, dallo scoppio della pandemia da Covid-19, dopo più di 160mila morti solo in Italia e una battaglia che ha impegnato quasi tutti i settori della società, che bilancio sentirebbe di poter fare di questa lotta, dal suo punto di vista di medico sportivo?

Nella fase iniziale hanno dominato – com’è, purtroppo, logico quando ci si trova a fronteggiare un nemico abbastanza sconosciuto – paura e confusione. Poi, gradualmente sono subentrati buonsenso e ragionevolezza, che si son dovuti, comunque, arrendere sempre alla sovranità della legge. In questo caso specifico, dura lex, sed lex, che ha ottenuto ottimi riscontri con il vaccino. Anche se non possiamo affermare che il vaccino abbia debellato il Covid, dobbiamo prendere atto che ne ha ridotto le complicanze e la patogenicità. Purtroppo il Covid-19 non ha risparmiato nessuno e, oltre ai 160mila sunnominati, devo richiamare alla memoria e agli onori gli oltre 350 colleghi che hanno perso la vita sul campo...

Ma a suo giudizio, come si sono comportati, nella battaglia, i governi Conte 2 e Draghi?

Al di là di alcune incertezze o ritardi, ambedue gli esecutivi, in complesso, hanno preso provvedimenti logici e indispensabili: vedi, anzitutto, il tanto contestato uso delle mascherine, misura inevitabile quando ci si trova ad affrontare un virus, che può causare situazioni davvero drammatiche. Nello sport, la prima prevenzione d’una patologia del genere richiede la presenza d’uno staff medico preparato e affiatato, che lavori anche nella prevenzione secondaria (occupandosi, cioè, anche della dieta degli atleti, con opportuna idratazione del corpo e uso di integratori, sufficiente riposo. Qui alla Lazio, abbiamo subito pensato a tutto questo, e voglio ricordare che sin dal 23 febbraio 2020 ho consegnato alla direzione della società un Decalogo di prevenzione, in più lingue, che avevo preparato; mentre siamo stati i primi in Italia a mandare la squadra in lockdown. Non a caso, infatti, sino al 26 ottobre 2020 non abbiamo avuto alcun caso positivo di Covid-19, confermato dai tamponi negativi effettuati ogni 4 giorni sul gruppo squadra e non solo.

E dopo?

Da ottobre 2020, col graduale arrivo della seconda ondata, parecchie squadre hanno avuto molti casi di Covid; ma a quell’epoca, era già operante il Protocollo anticovid della Figc, con misure stringenti. Tornando all’operato del Governo, direi che, nell’insieme, ha agito nel modo più ragionevole e razionale possibile, anzitutto ascoltando il Comitato tecnico-scientifico (nel quale, però, per lungo tempo non c’è stato neanche un virologo, ndr). Da medico sportivo, trovo un grande risultato il fatto che quasi tutti gli italiani, oggi, risultino vaccinati, e quindi protetti: questo, ovviamente, non poteva impedire che ci fossero pure casi di effetti collaterali dei vaccini stessi, anche gravi, come possibile riscontrare in molti farmaci. Con ciò non voglio né sminuire la portata di questi casi, né svalutare l’efficacia anche dei farmaci anti-Covid, come anzitutto gli anticorpi monoclonali: ma dobbiamo porci la domanda di cosa sarebbe successo, se in Italia non si fosse decisa la vaccinazione di massa dei cittadini. Teniamo presente che le nostre conoscenze su questo virus sono ancora limitate. Ad ogni modo, se un qualsiasi sportivo risulta sano, perché negativo ai test anti-Covid, e quindi agonisticamente idoneo, non vedo perché dovrebbe essere esonerato dal gioco. In assenza di provvedimenti specifici da parte dell’autorità sanitaria locale, è il medico che accerta lo stato di salute; come pure deve accertare, come previsto peraltro dal protocollo, con il return to play, l’avvenuta guarigione completa. Emblematico il caso di un ciclista e di molti atleti, che, spinti non solo dalla fretta, tornano a gareggiare solo perché asintomatici e manifestano poi problemi al cuore o ai polmoni.

Veniamo a un altro punto preoccupante. Negli ultimi anni, parlando specificamente del calcio ma non solo, diversi sportivi sono stati colpiti dalla temibile Sla, Sclerosi laterale amiotrofica (per non citar che un caso, Giovanni Bertini, celebre giocatore di Fiorentina, Roma e altre importanti squadre, morto appunto di Sla a Dicembre 2019). Se per la Sla ancora non si può parlare di vera e propria malattia professionale dei calciatori, a quali cause si può ricondurre la sua diffusione? Può essere responsabile l’uso – da parte di alcuni sportivi – degli steroidi anabolizzanti androgeni, coi loro possibili, consistenti effetti collaterali?

Posso dire intanto che, sinora, nella mia esperienza non mi sono capitati casi di Sla, una malattia ancora misteriosa e grave in grado di paralizzare nervi e muscoli, compreso il diaframma, con conseguenze letali. Per quanto ne so, le cause sono molteplici e riconducibili ad eccessiva – o errata – attività agonistica; l’uso, o, peggio, l’abuso di sostanze dopanti è sicuramente una concausa. Secondo altri studiosi possono incidere fattori esogeni, come i pesticidi usati per il prato da gioco, microtraumi ripetuti, il microclima, lo stress e il sistema immunitario con predisposizione genetica (mutazione), per almeno il 10 per cento dei casi.

E sempre negli ultimi anni, la cronaca purtroppo ha dovuto registrare vari casi di morte improvvisa di calciatori – spesso di giovane età – per patologie cardiovascolari difficilmente prevedibili. Cosa può dirci, dottore, su queste patologie così insidiose?

Esattamente, la gran parte di queste tragiche morti può essere riconducibile a una patologia nota come displasia aritmogena del ventricolo destro del cuore. Si tratta di una cardiomiopatia del ventricolo destro, da ricondurre a fattori di vario genere, anche genetici e costituzionali dell’organismo: patologia che, ovviamente, è ancor più grave se sono in atto processi degenerativi infiammatori del cuore (come, anzitutto, la miocardite). È curioso che, per motivi ancora da accertare, negli Usa è prevalente, invece, la cardiomiopatia subaortica ipertrofica del ventricolo sinistro. Mi continuo a documentare sulle morti improvvise da quando, nell’aprile del 1978, fui incaricato dal mio professore, Antonio Venerando, di organizzare il primo convegno internazionale di cardiologia dello Sport, come segretario scientifico. Fu così che conobbi il più grande conoscitore di ecocardiografie di allora e studioso americano di morti improvvise nello sport, il professor Barry Maron. Oggi possiamo prevenire le morti improvvise con il sistema Sds (Sudden death screening), che da circa quattro anni adotto a Formello e nel mio Poliambulatorio Pulcinilab.

E a che punto è l’attuazione, in tutta Italia, del Decreto Balduzzi del 2012 (poi convertito in legge n. 189 del 2012), che, appunto per prevenire l’esplosione improvvisa di questo tipo di patologie, prevedeva, anzitutto per le società sportive professionistiche e per quelle dilettantistiche (escluse quante svolgenti attività a ridotto impegno cardiocircolatorio), l’obbligo di dotarsi di defibrillatori semiautomatici? Obbligo, ricordiamo, confermato poi anche dalla Legge Mulè del 2021, approvata dalla Commissione affari sociali della Camera in sede legislativa?

In Italia, oggi la mortalità per patologie di questo tipo è di circa 70mila persone all’anno: questa patologia ora sta scendendo, e potrà scendere sempre più, se in tempi ragionevoli si completerà l’attuazione appunto di queste leggi, con installazione e regolare uso dei defibrillatori presso tutti gli impianti sportivi e, il più possibile, anche presso aziende e luoghi di lavoro di altri settori. È in via di perfezionamento la realizzazione di apparecchiature medicali che, seguendo i celebri Protocolli cardiovascolari di Seattle (Washington), approvati pochi anni fa dalla comunità scientifica, possono addirittura permettere di prevedere, in un paziente, la possibile esplosione di patologie cardiovascolari anche molti anni prima del loro insorgere. Oggi possiamo prevenire le morti improvvise anche grazie ai corsi Bls-D, che effettuo a Formello, ogni due anni con il dottor Marco Squicciarini e il suo staff, per i giocatori e familiari: ora sono tutti in grado di salvare una vita in tutti i Paesi del mondo, con licenza Aha (American Hearh Association), usando il defibrillatore, che hanno anche sul pullman usato per i vari spostamenti. Voglio ricordare che non solo la Società Sportiva Lazio, ma anche altre strutture che presiedo, come ad esempio la Onlus “Un cuore per tutti...tutti per un cuore”, nel loro piccolo stanno dando il loro contributo a questa battaglia salvavita.

Cosa sta facendo, questa Onlus, per la prevenzione di queste gravi cardiopatie?

Da 22 anni organizza eventi di solidarietà a favore dei più deboli, specie dei bambini cardiopatici che senza intervento non sopravvivono: come la realizzazione di un reparto di cardiochirurgia pediatrica a Damasco, salvando circa duemila fanciulli cardiopatici, e di un villaggio in Argentina per 100 bambini tra i più poveri. In Italia, importante è stato anzitutto il regalo di 12 defibrillatori alla città di Leonessa (Rieti), che così è stata “messa in sicurezza” (cardioprotetta). E poi, l’organizzazione di corsi di riabilitazione cardiopolmonare anche per circa 50 missionari dell’Istituto “Don Orione”; che così porteranno nel loro mondo queste essenziali competenze in tema di defibrillatori. Infine, sempre grazie al dottor Marco Squicciarini e il suo staff, formiamo alle manovre di rianimazione cardiopolmonare (Rcp), all’uso del defibrillatore e alle manovre di disostruzione per neonati, bambini e adulti i neolaureati in medicina, presso l’Ordine dei medici di Roma, il più grande d’Europa.

Cosa desidera auspicare per il futuro, dottor Pulcini?

Che tutti i medici, un domani, abbiano pronto un defibrillatore in perfetto funzionamento, non solo nei loro studi ma anche, ad esempio, nelle loro auto, per poter tempestivamente intervenire in ogni situazione. Mentre, in chiusura di quest’intervista, va il mio più cordiale saluto al presidente Lotito e a tutti gli altri amici della Società Sportiva Lazio, e il mio più affettuoso ricordo all’altro grande amico Arturo Diaconale, scomparso poco più d’un anno fa, giornalista di prim’ordine che è stato a lungo responsabile della comunicazione della Lazio. Alla Sua famiglia, va un carissimo pensiero.


di Fabrizio Federici