“Praedicate evangelium”: la riforma della curia romana

venerdì 8 aprile 2022


L’entrata in vigore, il prossimo 5 giugno 2022, della Costituzione apostolica Praedicate Evangelium sulla Curia romana e il suo servizio alla Chiesa nel mondo, rappresenta uno dei punti culminanti del percorso riformatore avviato da Francesco sin dall’inizio del suo pontificato. Quella che segue ne costituisce una prima, pur articolata, lettura da parte di Manuel Ganarin, ricercatore di Diritto ecclesiastico e canonico al Dipartimento di Scienze giuridiche dell’Alma Mater Studiorum Università degli Studi di Bologna; a essa seguirà un esame più esteso dello stesso Autore, che verrà pubblicato sul n. 1/2022 di L-Jus.

È noto come Papa Bergoglio, recependo i suggerimenti formulati durante le Congregazioni generali che hanno preceduto il Conclave nel quale è stato eletto al soglio petrino, già nel 2013 abbia istituito un coetus ristretto, poi divenuto Consiglio, di cardinali per studiare un progetto di revisione della Costituzione apostolica Pastor Bonus sulla Curia romana (28 giugno 1988) promulgata da San Giovanni Paolo II. Nonostante l’iter nomogenetico sia durato ben nove anni, non sono mancati errori redazionali che, una volta segnalati, hanno sospinto ad emendare il testo normativo all’indomani della sua divulgazione nel bollettino della Sala stampa della Santa Sede del 19 marzo 2022.

Basti pensare all’articolo 93, che originariamente attribuiva al Dicastero per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti la competenza ad occuparsi “della regolamentazione e della disciplina della sacra liturgia per quanto riguarda la forma straordinaria del Rito romano”. La formulazione della norma, riferendosi alla forma extraordinaria, ossia alla liturgia romana anteriore alla riforma del 1970, riprendeva quanto stabilito dall’articolo 1 del Motu Proprio Summorum Pontificum di Benedetto XVI (7 luglio 2007), invero abrogato dall’articolo 1 del Motu Proprio Traditionis custodes di Francesco (16 luglio 2021), secondo cui “I libri liturgici promulgati dai santi Pontefici Paolo VI e Giovanni Paolo II, in conformità ai decreti del Concilio Vaticano II, sono l’unica espressione della lex orandi del Rito Romano”.

Si è dunque adeguata Praedicate Evangelium a tale innovazione legislativa, rettificando l’articolo 93, che adesso menziona i “libri liturgici precedenti alla riforma del Concilio Vaticano II”. Il nuovo articolo 93 compare nella versione della Costituzione apostolica riportata sia nel sito ufficiale della Santa Sede sia nell’edizione del quotidiano L’osservatore romano del 31 marzo 2022. Una versione che solleva gravi questioni di certezza giuridica inerenti alla promulgazione della Costituzione stessa, che dovrebbe verificarsi con la sua pubblicazione in uno dei fascicoli datati 2022 della Gazzetta ufficiale degli Acta Apostolicae Sedis. È tuttavia risaputo che essi sono dati alle stampe con cospicuo ritardo, impedendo così agli operatori del diritto ecclesiale di individuare, in mancanza di una chiara formula promulgatoria, quale sia il testo autentico (in lingua italiana o latina?) di riferimento.

Dalla lettura di Praedicate Evangelium si evince come siano stati assemblati organicamente in un’unica fonte del diritto i provvedimenti che dal 2014 al 2022 hanno aggiornato singoli comparti della Curia romana. Ma la Costituzione apostolica si spinge oltre, introducendo rilevanti elementi di novità, come emerge sia dal Preambolo (I, nn. 1-12), sia dai Principi e criteri per il servizio della Curia romana (II, nn. 1-12). Un primo aspetto su cui si concentra la Costituzione apostolica è quello della missionarietà. La Curia romana, infatti, è concepita quale locus missionis che nel momento in cui svolge le sue attività è chiamata ad annunciare e a testimoniare il Vangelo e la misericordia di Dio “con il più alto senso di collaborazione di corresponsabilità e di rispetto verso la competenza altrui” (articolo 3) e in conformità all’impegnativo dovere di essere discepoli-missionari, mostrando esempio di dedizione, spirito di pietà, di accoglienza a quanti ad essa si rivolgono e di servizio” (articolo 4). È significativo che i primi articoli di Praedicate Evangelium si soffermino sull’Indole pastorale delle attività curiali (articoli 2-6) per rimarcare le peculiarità di queste ultime; e manifestino l’esigenza che il personale della Curia romana “oltre alla dedizione e alla rettitudine” di vita sia al contempo “qualificato” (articolo 7 § 1). Integrità interiore e attitudine professionale costituiscono quindi un binomio inscindibile e uno dei tratti più salienti del volto rinnovato dell’assetto curiale.

Un ulteriore tratto distintivo della Curia romana voluta da Francesco è la sinodalità, che si sostanzia secondo quanto precisa il Preambolo “nell’ascolto reciproco” (I, n. 4). In effetti, Praedicate Evangelium insiste a più riprese sulla necessità che sia attuata tanto la collaborazione intradicasteriale per favorire “un funzionamento disciplinato ed efficace, al di là delle diversità culturali, linguistiche e nazionali” (articolo 9 § 2); quanto la collaborazione interdicasteriale “in una dinamica di mutua collaborazione, ciascuno secondo la propria competenza, in costante interdipendenza e interconnessione delle attività” (articolo 9 § 1). Inoltre, durante la preparazione di un “documento generale” l’Istituzione competente dovrebbe trasmettere (“trasmetta”) il relativo testo alle “Istituzioni curiali coinvolte” – rectius interessate: non tutte le Istituzioni interessate, ratione materiae, potrebbero essere state coinvolte – “per ricevere osservazioni, emendamenti e suggerimenti, al fine di perfezionarlo” (articolo 29 § 1).

Nel novero di queste ultime dovrebbero ricomprendersi il Dicastero per i testi legislativi, che “assiste” le Istituzioni curiali per verificare che i testi normativi “siano conformi alle prescrizioni di legge universale vigente e redatti nella dovuta forma giuridica” (articolo 179); e il Dicastero per la Dottrina della Fede (Sezione dottrinale), al quale devono essere sottoposti i documenti che riguardano la dottrina circa la fede e i costumi per esprimere non più un giudizio, come stabiliva l’articolo 54 della Costituzione apostolica Pastor bonus, bensì un “parere […] che mediante una procedura di confronto e intesa aiuterà ad assumere decisioni opportune” (articolo 75). Queste innovazioni non rafforzano incisivamente il controllo preventivo effettuato dai due Dicasteri per la salvaguardia dell’unitas disciplinae e dell’unitas fidei: nel primo caso perché le Istituzioni curiali non sembrano obbligate a rivolgersi al Dicastero per i Testi Legislativi; nel secondo caso perché l’intervento del Dicastero per la Dottrina della Fede ora si concretizza in un parere obbligatorio quale esito di una concertazione su temi di rilevanza dottrinale che, di conseguenza, appaiono contrattabili.

Il metodo sinodale poi deve proiettarsi anche ad extra Curiae, ma pur sempre ad intra Ecclesiae, così da realizzare un altro principio cardine della riforma: la valorizzazione dei modi di espressione della Communio Episcoporum a servizio del Papa, dei Vescovi e di tutta la Chiesa (I, n. 7), in particolare le Conferenze episcopali, le loro Unioni regionali e continentali e le Strutture gerarchiche orientali. La Costituzione apostolica Praedicate Evangelium è disseminata di articoli che ingiungono ai Dicasteri di supportare e di collaborare con questi organismi episcopali, purché sia preservata la potestà propria dei pastori preposti alle Chiese particolari “nello spirito di una “sana decentralizzazione” (… per) le questioni che conoscono bene e non toccano l’unità di dottrina, di disciplina e di comunione della Chiesa” (II, n. 2).

Il punto più dirompente e rivoluzionario concerne invero il ruolo dei laici nelle strutture di governo apicale della Chiesa. Praedicate Evangelium puntualizza che ogni Istituzione curiale “compie la propria missione in virtù della potestà ricevuta dal Romano Pontefice in nome del quale opera con potestà vicaria nell’esercizio del suo munus primaziale. Per tale ragione qualunque fedele può presiedere un Dicastero o un organismo” (II, n. 5). Mediante tale affermazione, il legislatore sembra prendere posizione circa una complessa questione dottrinale ampiamente dibattuta nella Chiesa relativa alle relazioni tra Potestas ordinis e potestas iurisdictionis: stabilendo che pure i laici, sia uomini sia donne, possano esercitare quest’ultima nell’ambito della Curia Romana, posto che essa, secondo quanto precisato perentoriamente da Gianfranco Ghirlanda durante la conferenza stampa di presentazione della Costituzione Apostolica, è conferita per tramite della missio canonica pontificia e non del sacramento dell’Ordine. Così, l’articolo 14 § 1 prescrive seccamente che ogni Istituzione curiale “è retta dal Prefetto, o equiparato, che la dirige e la rappresenta” (articolo 14 § 1).

Quanto ai membri delle istituzioni curiali, ai sensi dell’articolo 15 “sono nominati tra i Cardinali dimoranti sia nell’Urbe sia fuori di essa, ai quali si aggiungono, in quanto particolarmente esperti nelle cose di cui si tratta, alcuni Vescovi, soprattutto diocesani/eparchiali, nonché, secondo la natura del Dicastero, alcuni presbiteri e diaconi, alcuni membri degli Istituti di Vita Consacrata e delle Società di Vita apostolica ed alcuni fedeli laici”. Quest’ultima norma introduce una sorta di graduatoria preferenziale e formalizza un requisito, quello della “natura” del Dicastero, che dovrebbero in futuro influenzare le nomine pontificie. D’altro canto, non potrà non essere considerata la peculiare natura di un Dicastero – criterio piuttosto ambiguo e inidoneo a circoscrivere debitamente l’apprezzamento discrezionale della suprema autorità – anche nella designazione dei Prefetti, perché se in linea di principio i laici potranno divenire Capi dei Dicasteri, ciò potrà verificarsi tuttavia “attesa la peculiare competenza, potestà di governo e funzione di questi ultimi” (II, n. 5): soddisfacendo ragioni di opportunità e pragmatiche le quali, se per un verso condurranno alla nomina di un laico alla guida del Dicastero per i laici, la famiglia e la vita o a quello per la comunicazione, per l’altro verosimilmente sconsiglieranno di affidargli, per esempio, il Dicastero per i vescovi, per il clero, per le chiese orientali o per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica.

Tra gli obiettivi perseguiti dalla Costituzione apostolica Praedicate Evangelium vi è, infine, quello di razionalizzare il numero dei Dicasteri e le funzioni attribuite alle Istituzioni curiali (II, n. 11). Il confronto tra Pastor bonus e Praedicate Evangelium in realtà rivela come il numero degli enti curiali non sia stato ridotto: se, infatti, la Costituzione apostolica del 1988 ne annoverava ventotto (Segreteria di Stato, nove Congregazioni, tre Tribunali, dodici Pontifici Consigli e tre Uffici), quella vigente ne annovera ventinove (Segreteria di Stato, sedici Dicasteri, tre Organismi di giustizia, sei Organismi economici e, sebbene non ricompresi tra le Istituzioni curiali, tre Uffici).

Rappresenta certamente un’innovazione la categoria dei Dicasteri, ove confluiscono le ex Congregazioni e gli ex Pontifici Consigli, dando così luogo a un’uniformazione e a un appiattimento nominale per mezzo dell’uso di un termine, “Dicastero”, il quale oltre a non identificare con chiarezza e immediatezza la funzione prevalente, a presidio del principio direttivo di tendenziale distinzione delle funzioni a garanzia dei diritti dei christifideles, appare freddamente burocratico piuttosto che genuinamente ecclesiale. Quanto all’ordine delle Istituzioni curiali, compare per primo il Dicastero per l’Evangelizzazione, presieduto personalmente dal Papa (articolo 54) e anteposto al Dicastero per la Dottrina della Fede. Una collocazione giuridicamente irrilevante ma dal valore simbolico eloquente, che svela la volontà del legislatore di porre quale baricentro delle attività della Curia romana il principio della missionarietà. Riguardo invece alla redistribuzione delle competenze, vi sono luci ed ombre.

A titolo esemplificativo, non si può che plaudire alla delimitazione dei compiti degli Organismi economici alla Santa Sede e non anche allo Stato della Città del Vaticano, che previene improprie commistioni tra ordinamento canonico e ordinamento vaticano (articoli 205-227). Così come alla valorizzazione del Dicastero per i testi legislativi, di cui la Praedicate Evangelium esplicita alcune funzioni da tempo sviluppate in via di prassi (articoli 177, 178 e 182). Per converso, è assai discutibile il trasferimento dalla Congregazione per i vescovi al neoistituito Dicastero per il Clero della “competenza su tutto ciò che spetta alla Santa Sede circa le Prelature personali” (articolo 117). Una scelta che presuppone l’inquadramento della prelatura personale quale istituto o organo amministrativo di tipo associativo per una migliore distribuzione del clero, secondo una posizione dottrinale decisamente minoritaria.

Vi sono poi alcune attribuzioni che potrebbero percepirsi come fughe in avanti che aprono a nuovi scenari nel più ampio contesto della reformatio Ecclesiae. Per esempio, il Dicastero per i laici, la famiglia e la vita ha il compito sia di elaborare “modelli di ruoli guida per la donna nella Chiesa” (articolo 131), sia di valutare e approvare quanto proposto dalle Conferenze episcopali circa l’istituzione di nuovi ministeri e uffici ecclesiastici da affidare a laici, secondo le necessità delle Chiese particolari” (articolo 133). Si involvono, soprattutto nel primo caso, aspetti di rilevanza dottrinale che investono la competenza di più Dicasteri e potrebbero ripercuotersi a livello teologico e giuridico sul rapporto tra sacerdozio comune dei fedeli e sacerdozio ministeriale o gerarchico.

Tra le righe della Costituzione Apostolica, dunque, si intravedono altre riforme nella riforma della Curia romana, che riflettono al fondo l’incompiutezza sostanziale della Costituzione medesima, la quale dovrebbe essere dapprima metabolizzata e in seguito attuata secondo linee di indirizzo uniformi e durature. In altri termini, si renderebbe necessario assicurare delle fasi transitorie di stabilitas anziché rincorrere insistentemente le istanze riformatrici che emergono nella Chiesa con il rischio di accoglierle in assenza di un disegno strategico organico e coerente. Ciò non significa obliare o abbandonare l’immagine della Curia semper reformanda, la quale deve essere rinnovata sulla base delle necessità dei tempi; bensì restituire l’immagine di una Curia finalmente riformata, ove potranno consolidarsi principi e valori che si pongano nel delicato equilibrio tra tradizione e innovazione, così da avviare meglio orientati processi di cambiamento atti a non fossilizzare la Curia, che in quanto struttura di diritto umano mutevole nei secoli è ovviamente via via rimodellabile, ma auspicabilmente e realisticamente con metodo e gradualità.

(*) Tratto dal Centro studi Rosario Livatino


di Manuel Ganarin (*)