Una panchina-ricordo per Ilaria Alpi e Miran Hrovatin

mercoledì 23 marzo 2022


Sono trascorsi 28 anni dall’uccisione in Somalia della giornalista Ilaria Alpi e del cineoperatore Miran Hrovatin. Morti alla ricerca della verità, come gli altri 30 giornalisti italiani ricordati in un pannello murale su iniziativa del Movimento “Ossigeno per l’informazione”. Restano ancora non chiariti i motivi dell’attentato ai due giornalisti anche se nel corso degli anni si è rafforzata l’ipotesi che avessero avuto notizie di un traffico d’armi e di rifiuti tossici. Quel 20 marzo 1994 sconvolse profondamente tutta la redazione del Tg3 situata nel primo palazzone dopo quello del Gr a Saxa Rubra. Il mazzo di rose poggiato sulla scrivania di Ilaria durante il funerale volle dimostrare che la giovane inviata era nel cuore di tutti, come lo era Maria Grazia Cutuli del Corriere della sera trucidata in Afghanistan. Il ricordo delle due croniste è stato portato avanti in vari modi. Un premio per l’inviata del Corriere. Una panchina per Ilaria e Miran davanti alla palazzina del Tg3, inaugurata domenica 20 marzo. Contemporaneamente si sono tenute alcune iniziative in memoria dei due giornalisti uccisi in Somalia. Un convegno al quale hanno partecipato i vertici dell’Ordine del Lazio e dell’Associazione stampa romana e di Ossigeno.

Una mostra presso la Fondazione dal titolo significativo “ Mi richiama talvolta la tua voce” a cura di Lodovico Pratesi e un allestimento di Fabio D’Achille contenente le immagini di Paola Gennari Santori dedicate a Ilaria, la telecamera di Miran e oggetti personali. Il sacrificio dei due inviati italiani ci riporta agli eventi di guerra di questi giorni, quando per trovare notizie di cui il lettore o telespettatore può fidarsi i giornalisti sono costretti a sfidare pericoli e violenze. Per la stampa il rischio è sempre dietro la porta. I media internazionali censurati da Mosca dopo la legge della Duna che ha alzato da 3 a 5 anni il carcere per chi diffondo “ notizie considerate menzognere sull’Armata russa) sono stati costretti a sospendere la loro attività dalla capitale russa. La Bbc, la Rai, Mediaset hanno ritirato i giornalisti, Facebook e Twitter sono stati bloccati. Il fuoco russo non ha risparmiato i giornalisti, ignorando il pass (Press) e il passaporto che identificava il reporter statunitense Brent Renaud, un cronista coraggioso che aveva girato documentari in Vietnam, Iraq, Afghanistan, in Libia. La sua auto è stata raggiunta da una raffica a Irpin, vicino Kiev.

Ferito anche il fotografo Juan Arredondo che era nel suo stesso taxi. Il primo morto in Ucraina è stato il cameraman della rete televisiva di Kiev sepolto dal crollo di un’antenna colpita dai colpi dell’artiglieria russa. A febbraio aveva evitato la morte dopo una imboscata l’inviato di Sky britannica Stuart Ramsay di ritorno da Kiev. La guerra in Afghanistan ha fatto registrare la morte di 55 giornalisti. L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia sta riproponendo l’ipotesi di far prevalere un’informazione unilaterale. Gli esempi sono molti: la chiusura di Radio Eco di Mosca che era stata la prima emittente che nell’agosto 1991 aveva documentato il tentativo di golpe, inaccessibili i siti di Deutsche Welle e di Radio Liberty. All’inizio di marzo il Comitato statale russo per l’editoria e i mezzi di comunicazione aveva prescritto a dieci testate di cancellare dai loro siti “notizie prese da fonti nemiche o erronee”. Per Mosca le notizie da pubblicare sono solo quelle dei “bollettini ufficiali”.


di Sergio Menicucci