Il Ventennale della scomparsa: Marco Biagi, maestro di riformismo

lunedì 21 marzo 2022


L’ipotesi di aggiornare lo “Statuto dei lavoratori”, datato maggio 1970, in “Secondo statuto dei lavori” venne stroncata dalle Brigate rosse uccidendo il professore bolognese Marco Biagi, il 20 marzo 2002. Come altri esperti del diritto del lavoro (Massimo D’Antona, Ezio Tarantelli) il giuslavorista, collaboratore di vari ministri, si era reso conto della necessità di rivedere alcuni concetti e principi che avevano dominato in campo sociale gli anni Settanta e della contestazione studentesca e operaia. Con un pool di professori universitari aveva elaborato su iniziativa del ministro Roberto Maroni del governo Berlusconi un “Libro bianco” finalizzato a rendere partecipi tutti gli attori istituzionali e sociali delle riflessioni in corso in vista della ricerca di soluzioni confortate dal più ampio consenso possibile. Marco Biagi, una personalità di studioso proveniente dagli ambienti di sinistra, si stava accorgendo che da quella parte politica e sindacale non vi erano possibilità di rinnovamento, di portare avanti quei cambiamenti normativi che riteneva necessari e urgenti nel mondo del lavoro. Il suo riformismo trovò ostacoli prima nel mondo accademico e poi in quello sindacale. Divenne l’obiettivo principale degli strati di ambienti che aveva vissuto ed esaltato i diritti a ogni costo, fino alla formulazione del salario variabile indipendente.

Le nuove sigle dell’economia stavano invece abbattendo quel sistema di “certezze” che aveva dominato per decenni. Il tentativo di Biagi, con il “Libro bianco” era quello di avviare un nuovo assetto della contrattazione collettiva e delle regole del dialogo sociale, ivi compresa la riforma della disciplina del licenziamento individuale. In questi enti anni di Biagi si sono scritte tante cose ma il suo pensiero relativo alla nuova sistemazione del mercato del lavoro era rivolto soprattutto ai giovani e ai non garantiti. Il clima d’odio e di delegittimazione contro i “servitori dello Stato” durava ancora nel 2002 quando nella serata del 20 marzo il commando di due componenti dell’ultima compagine delle Brigate rosse (Marco Galesi e Nadia Desdemona Lioce) spararono 6 colpi alla testa al docente che stava rientrando a casa in bicicletta dalla stazione di Bologna dopo aver tenuto una lezione all’Università di Modena.

Gli irriducibili delle Brigate rosse volevano far passare Biagi come l’emblema dei diritti negati e del lavoro precario e quindi da abbattere. La proposta Biagi era solo un pezzo del riordino del mercato del lavoro. Tanti i riconoscimenti della validità delle ipotesi avanzate. L’obiettivo era far coincidere sviluppo economico e coesione sociale, investendo nel capitale umano. In definitiva, si trattava di modernizzare il diritto del lavoro, regolando il lavoro interinale, la durata del tempo di lavoro, la mobilità dei lavoratori, il lavoro non dichiarato. Era una proposta di riforma europea pensata per le future generazioni. Quello che non volevano le Brigate rosse e le altre organizzazioni rivoluzionarie della sinistra come Lotta continua e Potere operaio.

Marco Biagi, con il suo orientamento riformista era un ostacolo al mito dell’insurrezione armata, che si era sviluppata a partire dagli inizi degli anni Settanta soprattutto al Nord, sia per la concentrazione di scuole, università e fabbriche. Ma ormai il movimento brigatista, che aveva seminato terrore per lunghi anni, aveva perduto la guerra. Lo Stato dopo la strage di Via Fani, il sequestro e l’uccisione di Aldo Moro, dopo i duri colpi del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e la liberazione del generale Usa Dozier riuscì a mettere fine agli anni di piombo e alle stagioni della violenza terroristica.


di Sergio Menicucci