mercoledì 19 gennaio 2022
Un’opinione sempre più diffusa – così inizia il World Report del 2022 dello Human Rights Watch – l’organizzazione non governativa per la difesa e la promozione dei diritti umani con sede a New York – che le autocrazie siano in ascesa e le democrazie in declino. Sarebbero sempre di più le persone, in tutto il mondo, convinte che solo le prime siano in grado di risolvere molte delle problematiche che affliggono le società moderne. Il rapporto sottolinea come le voci dissidenti vengano sistematicamente messe a tacere in realtà come la Cina o la Russia; come in alcuni Paesi africani i colpi di stato militari siano ormai all’ordine del giorno; e come persino nelle democrazie consolidate si registri una pericolosa tendenza all’autocrazia, come nel caso dei Paesi dell’Est Europa, particolarmente Ungheria e Polonia e, fino a un anno fa, negli Stati Uniti d’America (vaghissimo riferimento all’era Trump). Secondo lo Human Rights Watch all’origine di questa “tentazione autocratica” nelle realtà democratiche, vi sarebbe l’incapacità, da parte dei leader, di affrontare le grandi sfide contemporanee: anzitutto il contrasto alla pandemia, ma anche ai cambiamenti climatici e alle diseguaglianze sociali. Se questi leader continueranno a fallire e se non riusciranno a fare propria la leadership visionaria che questa epoca richiede – si legge nel rapporto – rischieranno di peggiorare il clima di frustrazione e disagio che sono il terreno fertile per gli autocrati. Ma ecco che arriviamo al punto di nostro interesse. Nel rapporto si accusa apertamente l’Unione europea di essere troppo tollerante con gli Stati membri che si mostrano poco disposti al rispetto dei diritti umani o che mancano di osservare scrupolosamente i diktat delle varie organizzazioni non governative e associazioni schierate in difesa degli stessi (che poi in pratica, il più delle volte, è a questo che si riduce il rispetto dei cosiddetti “diritti umani”) e, in special modo, con quelli che hanno adottato politiche di respingimento dei migranti in viaggio verso il Vecchio Continente: sul banco degli imputati, di nuovo Ungheria e Polonia, ma anche Bulgaria, Grecia e Italia.
Già, anche il nostro Paese sarebbe tra gli “osservati speciali” per quanto riguarda le politiche sui diritti umani e sarebbe tra gli ultimi in Europa da questo punto di vista. Sono principalmente quattro i motivi che hanno spinto lo Human Rights Watch a pronunciarsi in questa maniera. Anzitutto, le politiche sull’immigrazione adottate dal Bel Paese, reo di aver rinnovato gli accordi con la Libia nel tentativo di fermare le partenze dei migranti e di avere, negli anni, adottato provvedimenti volti a ostacolare quelle organizzazioni che si occupano di prestare soccorso in mare a chi cerca di raggiungere il nostro Paese attraversando il Mediterraneo (vaghissima allusione alle sanzioni contro gli “scafisti dal volto umano” volute da Matteo Salvini quando era ministro dell’Interno). In secondo luogo, a determinare la posizione dell’Italia tra gli ultimi d’Europa quanto al rispetto dei diritti umani, vi sarebbe il recente affossamento del Ddl Zan, che l’organizzazione americana ha giudicato una legge assolutamente necessaria ai fini di un’uguaglianza effettiva tra tutti i cittadini. Ancora, l’Italia – secondo i funzionari che hanno stilato il rapporto – non garantirebbe più il “diritto” all’aborto: sebbene vi sia una legge che consenta alle donne che lo vogliano di interrompere la gravidanza entro i primi tre mesi, di fatto essa è di difficile applicazione, dato il gran numero di medici obbiettori di coscienza, che sono la maggioranza.
Infine, il nostro Paese avrebbe un grosso problema di stato di diritto. Finalmente – direte voi – qualcosa di sensato. Finalmente si riconosce il fatto che in Italia c’è un problema relativo all’uso politico della giustizia, alla farraginosità del sistema giudiziario e alla certezza del diritto. Invece no: per lo Human Rights Watch il problema sarebbe il sovraffollamento delle carceri e le condizioni in cui versano i detenuti. Sono io il solo a ritenere tutto questo allucinante? Certo, si tratta sempre dei soliti marxisti da salotto, dei radical chic che pontificano dai loro attici e si stracciano le vesti per la fame nel mondo mentre divorano tartine al caviale. Ciò non cambia che, personalmente, mi sento di restituire al mittente tali accuse, nei riguardi dell’Italia come di tutta l’Europa e degli Stati Uniti. Sicché sarebbe sempre più diffusa la convinzione che la soluzione ai problemi odierni sia l’autocrazia e che, per contro, gli strumenti offerti dalla democrazia non sarebbero sufficienti? Forse, il problema non è esattamente la mancanza di visione o di strategia da parte dei leader, ma il loro non avere un quadro chiaro della situazione e del sentimento popolare. Le maggiori preoccupazioni delle persone non sono i cambiamenti climatici, la pandemia e le disuguaglianze sociali. La gente ha molta più paura di perdere il lavoro o di vedere i loro figli non riuscire a trovarne mai uno capace di garantire loro una certa sicurezza per il futuro; di assistere al deprecabile spettacolo delle città messe a ferro e fuoco dalle bande di delinquenti che se ne sono impadroniti; di non potersi più permettere una casa e il necessario per vivere.
Queste sono le cose che veramente inducono le persone a temere per il futuro, non cambiamenti climatici, pandemia e disuguaglianze. Il problema, quindi, sta solo nell’incapacità, da parte dei leader democratici, di saper cogliere il punto e di mettersi al lavoro sulle cose che veramente contano; di offrire risposte concrete a problemi concreti; di parlare e agire in una maniera che la popolazione possa comprendere e approvare; di modulare le proposte e le politiche sulle aspettative della cittadinanza e sulle sue percezioni. Cosa che, invece, i leader autocratici non mancano certo di fare, consapevoli come sono che, gran parte del loro potere, deriva dal sostegno da parte della popolazione e dalla relativa approvazione delle politiche attuate dai governi. Gli autocrati hanno compreso che per ottenere l’appoggio popolare, il più delle volte, è sufficiente far sentire le persone al sicuro, rispetto a qualunque cosa li spaventi. Per contro, i leader democratici, nella loro crescente auto-referenzialità, sembrano averlo dimenticato. Forse è questo il motivo per cui le democrazie sono in affanno. Ma veniamo all’Italia. Dunque, le nostre politiche sull’immigrazione sarebbero disumane o poco rispettose dei diritti dei migranti? Detto a un Paese che si è fatto carico del problema praticamente da solo per circa trent’anni, sembra quasi una presa in giro. Cos’altro dovremmo fare? Dovremmo stendere il tappeto rosso ai migranti che sbarcano e nutrirli a ostriche e champagne? Dovremmo offrirci volontari per accogliere e garantire un futuro a tutta l’Africa?
No, la verità è che abbiamo fatto e continuiamo a fare anche troppo, o comunque decisamente più di quello che sarebbe dovuto. La normalità è quello che fanno gli ungheresi o i polacchi, non quello che fanno gli italiani, almeno per quanto riguarda la gestione dei flussi migratori. Perché la normalità è che gli Stati abbiano dei confini e che li si possa oltrepassare, per stabilirsi in un certo territorio, solo previa autorizzazione o invito a farlo. Non esiste alcun diritto di migrare: ma esiste il diritto di uno Stato a respingere gli individui che non desidera si stabiliscano nel suo territorio; esiste il diritto dei cittadini di quello Stato di non condividere i loro spazi (al cui mantenimento essi provvedono coi loro soldi) e le loro vite con individui non graditi per qualsivoglia motivazione; esiste il diritto dei cittadini alla sicurezza, corollario del diritto alla vita. I provvedimenti adottati finora dall’Italia per rendere effettivi tali diritti sono stati fin troppo blandi: perché non possiamo confidare solo nella buona volontà e nel senso del dovere dei libici, ma dobbiamo cominciare a sorvegliare noi stessi i nostri confini, adottando a nostra volta una strategia “muraria”. Secondo, l’affossamento del Ddl Zan è stata una vittoria del buonsenso. Avremmo forse dovuto conferire un potere inquisitorio alle associazioni Lgbt o lasciare che gli esponenti più radicali di tali associazioni portassero nelle aule il “marxismo arcobaleno”, pontificando su quanto sia vetusta e sormontata l’istituzione famigliare o l’assegnazione del genere in conformità al dato biologico; magari promuovendo stili di vita alternativi e controculturali (tipo relazioni aperte, poligamia e simili) o per tessendo le lodi di coloro che si sentono uomini, donne, “intersex”, etero, omo o bisessuali a giorni alterni? No, questa non è civiltà.
Questo non è rispetto e tutela delle persone omosessuali e transessuali – che è comunque doveroso – ma rivoluzione contro l’ordine del mondo e le sue fondamenta civili e morali. L’affossamento del Ddl Zan non ha nulla a che vedere con l’omofobia: abbiamo respinto la prepotenza e il fanatismo di una parte della comunità Lgbt che, con la benedizione e i supporto dell’ultrasinistra, si arroga il diritto di parlare a nome di tutti e vorrebbe conculcare la libertà di pensiero e d’espressione di buona parte della popolazione. Inoltre, l’Italia non consentirebbe di abortire? Esiste una legge che permette alle donne che lo vogliano di interrompere la gravidanza entro il terzo mese: è più che sufficiente. Che poi possa non essere facile trovare un medico abortista è cosa sulla quale nessuna legge può intervenire: la libertà di coscienza è sacra ed è (quello sì) un diritto fondamentale e inviolabile dell’individuo. Si dovrebbero obbligare i medici ad attuare una pratica che ritengono immorale o che va contro i loro principi? Questo sì che sarebbe lesivo della dignità umana, dal momento che niente è prezioso quanto la possibilità, per ciascuno di noi, di agire come riteniamo sia giusto. O forse si dovrebbero assumere solo medici abortisti – come tentò di fare la Regione Lazio qualche anno fa – introducendo così una discriminazione in base alle opinioni e alle convinzioni etiche? Da ultimo, siamo il Paese dove i magistrati abusano regolarmente del loro potere e dove tutto è certo fuorché l’applicazione delle leggi: e il problema dello stato di diritto, in Italia, sarebbe quello del sovraffollamento delle carceri e delle condizioni di vita dei detenuti? Diciamo solo che, se fossi un attivista per i diritti umani, mi preoccuperei molto di più delle difficili condizioni di vita delle persone oneste, che non di quelle di coloro che hanno determinato il verificarsi di tali condizioni e che, proprio per questo, si trovano dietro le sbarre. Abbiamo a che fare con l’ennesimo delirio buonista che tuttavia ci fa capire quanto sia ingannevole la retorica sui diritti umani, che il più delle volte è solo una delle maschere che il socialismo è riuscito a indossare negli anni, possibilmente una delle più pericolose, in quanto si appella alla coscienza e alla sensibilità di ciascuno di noi.
di Gabriele Minotti