Perché le “guerre stellari” intorno a Plutone ci riguardano (e ci devono preoccupare)

mercoledì 15 dicembre 2021


“Il mondo è mia rappresentazione”: così scriveva Arthur Schopenhauer nella sua più celebre opera sul “mondo come volontà e rappresentazione in cui la realtà viene rappresentata non come essente di per se stessa, ma come frutto della volontà plasmatrice del soggetto che è chiamato a conoscerla. In questo ambito si muove la oramai quasi ventennale disputa intorno al pianeta Plutone che ha avuto origine nell’estate del 2006 allorquando con le risoluzioni B5 e B6 la International Astronomical Union (Iau), riunita a Praga, ha deciso di rivedere le definizioni generali stabilendo cosa fosse un pianeta e cosa non lo fosse. In quell’occasione la Iau ebbe a forgiare una nuova categoria astrale, cioè il cosiddetto “dwarf-planet” (nano-pianeta), all’interno della quale si decise di far rientrare Plutone, portando così il numero dei pianeti del sistema solare dallo storico nove all’inedito otto.

Nonostante una simile vicenda possa apparire soltanto come una mera questione tassonomica priva di qualunque importanza, dietro di essa si cela, invece, un grave mutamento nel modo di concepire la scienza e nel ruolo che essa può svolgere nelle vite di tutti e di ciascuno. La Iau, infatti, pervenne alla riclassificazione di Plutone, non già sulla scorta di nuove evidenze scientifiche, ma in seguito alla decisione di rivedere i criteri sulla base dei quali si potessero distinguere le categorie di “pianeta”, “nano-pianeta” e “altri oggetti” all’interno del sistema solare esclusivamente sulla base di una votazione di una delibera da parte di una sessione dell’assemblea dell’Iau a tale scopo convocata. Se per di più si considera che gli iscritti alla Iau sono circa diecimila in tutto il mondo e che a Praga erano presenti solo un quarto di essi e che alla votazione della delibera che declassò Plutone da pianeta a nano-pianeta parteciparono soltanto quattrocento astronomi, cioè appena il 4 per cento di tutti gli studiosi mondiali, si cominciano ad evidenziare le profonde difficoltà del caso.

Il tema è stato di recente rianimato dal un articolo pubblicato sulla rivista Icarus a firma di otto planetologi che si stanno battendo affinché Plutone torni a pieno diritto nella famiglia dei pianeti. Tra gli otto scienziati figura anche Alan Stern, direttore del Southwest Research Institute del Colorado e già amministratore associato del Science Mission Directorate della Nasa nonché direttore della missione “New Horizon” della Nasa che, lanciata dalla Terra nel 2006 per studiare le sue caratteristiche fisiche, geologiche, atmosferiche, chimiche, sorvolò Plutone e il suo satellite Caronte nel luglio del 2015 fornendo immagini e dati prima insperabili ai fini della conoscenza più approfondita di queste remote e affascinanti regioni del nostro sistema solare.

Per Alan Stern la decisione del 2006 della Iau era afflitta da “scientific sloppiness” (sciatteria scientifica), mancando di rigore in quanto non fondata su una concreta realtà scientifica, poiché non soltanto fondata su una votazione, ma per di più su una votazione adottata da una ristrettissima cerchia rispetto all’ampiezza della comunità degli studiosi di astronomia. Dalla vicenda sorgono dei quesiti inevitabili: la scienza è quella che intende comprendere la realtà o quella che alla realtà si sostituisce con la rappresentazione che di essa si dà secondo la propria volontà? L’astronomia è ancora quella che pretende di comprendere le leggi che regolano l’universo, o si è ridotta ad una inedita forma “anagrafica” volta a rinominare, rifondare e ricreare, perfino, le leggi e le nature che regolano il cosmo? La scienza può fondarsi sulla metodologia “politica” delle decisioni adottate con votazioni? Le eventuali votazioni con cui la comunità scientifica adotta delle teorie devono rispecchiare almeno la maggioranza più uno dei membri della comunità scientifica medesima, o, invece, possono essere adottate anche da una esigua minoranza?

Certamente le metodologie scientifiche sono molteplici in virtù delle differenti discipline e dei risultati che si intendono ottenere, ma la dimensione epistemologica di base non può che essere comune a tutte le diverse discipline. L’idea che la comunità scientifica possa tramite una votazione – senza studi o esperimenti che smentiscono o confermano – stabilire cosa sia un pianeta e cosa non lo sia, significa che gli scienziati di oggi conoscono tutto delle loro materie e nulla della scienza. La scienza, specialmente quella più recente, infatti, è transitata nel corso del tempo dal modello espistemologico verificazionista, in base al quale tutto ciò che non può essere oggetto di osservazione e verificazione scientifico-sperimentale non esiste, al modello falsificazionista che ha liberato le energie razionali della conoscenza scientifica disancorando quest’ultima dal grave fardello dell’empirismo.

Oggi, però, in casi come quello di Plutone, che è soltanto uno dei molteplici citabili, la comunità scientifica, tanto inspiegabilmente quanto ingiustificatamente, ha abbandonato i sicuri porti del razionalismo per avventurarsi nei procellosi oceani dell’irrazionalità convenzionalista. Il convezionalismo è quel modello in base al quale la realtà non ha una sua essenza, così che in natura non esistono enti o eventi che corrispondono ai concetti utilizzati per identificarli, poiché i concetti stessi sono fissati in modo arbitrario, per convenzione, come, appunto, nel caso di Plutone declassato da pianeta a nano-pianeta. Come ha scritto Karl Popper, criticando l’ingenua visione convenzionalista, infatti, “il convenzionalismo non vede affatto nelle leggi naturali asserzioni sulla realtà, ossia giudizi sintetici: ci vede invece costrutti puramente concettuali”. In tal maniera, in definitiva, la realtà non esiste di per se stessa, ma è il frutto della rappresentazione degli esseri umani in genere e della comunità scientifica in particolare.

La questione, senza dubbio più articolata e complessa di come in questa sede possa essere delineata, è tuttavia preoccupante, perché in tal maniera non soltanto la scienza abdica alla propria vocazione razionale, facendo del principio d’autorità il sostituito del principio di ragione a cui invece dovrebbe adeguarsi, ma per di più perché si espone maggiormente alla sua strumentalizzazione ideologica o politica (ideologia e politica che non a caso sono i campi in cui il principio convenzionalistico trova la sua naturale collocazione ed espressione). Con l’adozione di questo modello, infatti, la scienza può facilmente esondare dai suoi limiti naturali divenendo facile strumento di controllo politico. Cosa potrebbe impedire che una ristretta comunità di scienziati stabilisca cosa è un tavolo e cosa una sedia adottando il metodo della votazione? Cosa potrebbe impedire ad un minuscolo gruppo di autorevoli esperti cosa è vita e cosa non lo è? Cosa potrebbe, allora, impedire che una ristretta conventicola di studiosi decida cosa è un essere umano e cosa non lo è? In conclusione, quindi, le “guerre stellari” di carattere epistemologico che si stanno combattendo tra il coraggioso manipolo capitanato da Alan Stern e la maggioranza della comunità astronomica internazionale costituiscono ben più grave questione di ciò che possa apparire, poiché rappresentano il limite tra ciò che è scienza e ciò che non lo è, tra la realtà e la definizione della stessa, tra la luce e l’oscurità, tra la razione e l’ideologia, con potenziali gravissime ripercussioni sulla vita di tutti gli essere umani qualora dovesse prevalere, seppur consensualmente, la fazione sbagliata.

 


di Aldo Rocco Vitale