La bimba di Kiev della maternità surrogata che nessuno vuole

martedì 16 novembre 2021


Il racconto della pediatra andata a Kiev, in Ucraina, a prendere la piccolina di 16 mesi abbandonata dalla coppia italiana che l’aveva avuta con una maternità surrogata, stringe il cuore. “Prima di saliere sull’aereo l’ho presa in braccio. La bambina ha iniziato a piangere. E adesso cosa faccio, mi sono chiesta?”. Queste sono state le prime parole. La dottoressa Carolina Casini lavora all’Ospedale Sant’Andrea di Roma e dal 2009 come volontaria della Croce rossa è stata in Etiopia, in Kenya, a Gaza, in Bangladesh, in Afghanistan. Ha soccorso migranti sulle navi a Lampedusa, ma questo “salvataggio” non lo aveva previsto. “Ho iniziato a cantare la ninna nanna che cantavo ai miei figli”, ha spiegato. Lei si è addormentata subito. È stato come rivivere la mia maternità, l’estasi che si prova con un bimbo tra le braccia. Poi ho pianto”. Lo immagino. Mi è capitato non solo di tenere un figlio piccolo, ma di stringere questi bambini meno fortunati e ricordo che fui attraversata da un brivido nel sentire il singulto del dolore dell’abbandono di quel corpicino contro il mio. Non era il singhiozzo che avevo ascoltato da mamma, era la paura e lo smarrimento dei bambini che nascono “soli”, che non hanno conosciuto l’odore e il calore materno, che ti lanciano quegli occhioni sgranati, che hanno i musetti corrucciati e basta poco per gettarli nella disperazione o sollevarli in gioie brevi come piccoli fulmini.

Alice (questo il nome di fantasia della bimba di Kiev), è nata 16 mesi fa da una coppia eterosessuale di italiani che l’avevano voluta “a tutti i costi”. Ma dalle cronache poco si sa su come siano andati i fatti: le ragioni dell’ordinazione, le forme di pagamento, il contratto, gli accordi, il tipo di surrogazione, cioè se i gameti erano dei genitori committenti e la surrogata ha solo portato a termine la gravidanza, oppure se anche ovulo o spermatozoi sono stati oggetto di donazione. Insomma, non conosciamo nulla sull’identità genetica della bambina. E neppure per quale motivo alla fine la coppia l’abbia rifiutata pur dopo averla riconosciuta. Si sa solo che per un po’ hanno mandato i soldi a una babysitter di Kiev, affinché l’accudisse, poi sono spariti. La “tata” se n’è occupata fino a quando le è stato possibile, poi ha scritto al consolato italiano e da qui il caso è diventato di competenza della Procura territoriale e del Tribunale dei Minori, i quali hanno contattato la coppia, che però ha confermato il suo rifiuto. Quali accordi erano stati stipulati? Sta di fatto che sono entrati in scena l’ufficio interforze composto da Polizia, Carabinieri, guardia di Finanza e Penitenziaria con la pediatra che è andata fino a Kiev per prelevare Alice. Per ora è stata tra le braccia della dottoressa Casini, degli agenti, ma in seguito che ne sarà di questa creatura? In questi giorni se ne sta occupando una “famiglia ponte”, di quelle che si mettono a disposizione in attesa di un affido definitivo. Pensate il vissuto di Alice, che dalla nascita è già passata di mano in mano, per carità tutte persone brave, che le avranno voluto bene e non dico che subirà i traumi dei bambini degli orfanatrofi, alcuni lager, ma sono accettabili queste procedure?

In Italia l’utero in affitto è vietato. Tuttavia con le spinte delle emancipazioni sessuali in corso si rischia di legittimare, in nome di non si sa quale tutela e libertà, forme di procreazioni pericolosissime, che oltretutto finiscono nei meandri di paesi ad alto rischio corruttivo. Non solo identità genetiche spersonalizzate, per cui un bambino può essere il frutto anche di cinque “genitori”, ma anche incroci di genitori, tra cui omosessuali e lesbiche, che non sono in alcun rapporto genetico col nascituro. E tutto questo mentre i crimini delle violenze, o le aberrazioni ideologiche come quelle di Bibbiano, dilagano ambiguamente. Pertanto anche questo caso va preso con le pinze e seriamente indagato. In Ucraina sono decine le agenzie di maternità surrogata e recentemente hanno sconvolto l’opinione pubblica le immagini di una grande nursery improvvisata nella hall di un hotel di Kiev con culle una accanto all’altra come in una catena di montaggio. Quarantasei neonati messi al mondo da gestanti a pagamento su commissione di cittadini di tutto il mondo, tra cui italiani, i quali a causa del Covid sono rimasti mesi a frignare disperati senza che nessuno andasse a ritirarli. L’avvocato della clinica delle surrogazioni ha esortato le coppie a richiedere ai paesi le deroghe per i lockdown per recarsi a prelevare i bambini. Agghiacciante no? E pure fin qui nulla di abominevole, ma non ignoriamo i traffici di neonati, di organi, di corpi e possono questi paesi che con tanta spregiudicatezza varano simili commerci offrire garanzie?

Per questo sostengo apertamente che in particolare con i Paesi dell’Est, per le loro storie difficili e regolamentazioni controverse, occorre essere molto stringenti e rigorosi sempre e in tutto. Sulle fecondazioni artificiali e sulla maternità surrogata ho scritto due libri (Per avere un figlio, Rusconi Editore e Come avere un figlio con la fecondazione artificiale, Sperling & Kupfer) e me ne sono occupata dagli albori di queste tecniche, attraversando i dati scientifici, la storia, le legislazioni, i principi etici e le conseguenze psicologiche. Alla fine ad essere onesti ci si rende conto che la naturalità degli eventi, la sua originaria biologia, il nesso stretto della procreazione all’interno della coppia naturale, cioè un uomo e una donna che si costituiscano madre e padre, è la meraviglia di un creato umano e celeste. Il resto il filosofo Stefano Zecchi lo ha recentemente definito “l’arroganza dell’uomo che vuole sfidare la natura”. Non ci credo alla favoletta di Alice che ora troverà la coppia adottiva che la amerà tanto e che conta l’amore non i legami biologici. Questa bimba ha già sofferto e pagato. Un domani si potrà solo dirle che la vita è un dono divino che va amata al di sopra di tutto. E che una mamma c’è sempre.


di Donatella Papi